“Il Grande Quaderno”, “La Prova”, “La Terza Menzogna”

La trilogia della città di KAgota Kristof, “La trilogia della città di K”, Einaudi 2014

Si trovano in camera nella casa della gioventù. Claus scioglie il cordino con cui è legato il suo vecchio cappotto. Posa cinque quaderni sul tavolo. Peter li apre uno dopo l’altro.”

“Sono veramente curioso di sapere cosa contengono questi quaderni. E’ una specie di diario?”

Claus dice:

“No, sono delle menzogne.”Delle menzogne?”

“Sì, delle cose inventate. Delle storie che non sono vere ma potrebbero esserlo.”

Scelgo di cominciare dalla fine, dal punto in cui (“La Terza Menzogna“) si avvia lo scioglimento della storia, se così si può dire, perché niente, in questa storia, è costruito per essere sciolto.

Davvero difficile parlare di questo libro, anzi di questi tre libri che, muovendosi dentro la stessa (ma veramente la stessa?) storia, e intorno agli stessi (anche questo, difficile dire se sia vero) protagonisti, si presta in molti modi alla ricerca di significati.

Il primo modo, semplice, sta nel trovare, recuperare, una trama, uno svolgimento logico e temporale della vicenda narrata, per contrastare e contenere il dolore, come se il <capire> potesse dare senso alla follia – la follia della guerra e la semplice banale follia degli esseri umani – nei tanti modi in cui, in ognuno che legga, si aprono pezzi di ferita, pezzi di memoria addolorata, pezzi di memoria accorata di rapporti mancati, creduti tali, mai stati e dunque impossibili da chiudere.

Comunque pezzi. Metterli insieme, rattoppare, ricostruire un sé, un lui, un loro, è un’operazione che lascia vuoti, cicatrici, là dove i rammendi non hanno potuto nascondere gli strappi. E dunque ogni ricostruzione è necessariamente una menzogna, un’invenzione di senso che lascia vuoti irrisolti, perché vale per tutti la necessità di mentire per dare un senso alla vita che, comunque la si ricostruisca, è un libro. E’ il proprio Grande Quaderno.

“(…) Sono convinto, Lucas, che ogni essere umano è nato per scrivere un libro, e per nient’altro. Un libro geniale o un libro mediocre, non importa, ma colui che non scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza lasciare traccia.”

Il Grande Quaderno”, “La Prova”, “La Terza Menzogna”: sono tre libri ognuno dei quali è, a modo suo, concluso in sé. In particolare i primi due potrebbero non avere il seguito, non avere, a chiusura “La Terza Menzogna” che, certo, scioglie l’enigma ma confermandone l’impossibilità, perché l’aporia è la cifra stessa di questa narrazione e l’accettarla è il suo scioglimento.

La narrazione si svolge su tre diverse e incompatibili dimensioni:

C’è il “noi” quale io narrante del primo libro, “Il Grande Quaderno”, la seconda persona plurale per mezzo della quale i protagonisti, due gemelli senza nome (e senza tempo e senza luogo), narrano la loro storia di bambini lasciati dalla madre, causa la (una) guerra e i bombardamenti nella Grande Città, ad una Nonna Strega, che comunque li terrà con sé e nella cui casa lavoreranno e impareranno la durezza estrema necessaria a sopravvivere confinando dentro di sé la sofferenza.

Questo libro sarà una favola cattiva, costruita con frasi secche, brevi, essenziali, che non lasciano nulla né al non detto né all’emozione. E’ la rappresentazione, l’invenzione e la fantasia di una scuola di vita che il “noi” sostiene, facendo giustizia della solitudine e dell’abbandono.

I gemelli della favola brutta sono disumani e invincibili. E sono uno: fino alla scelta di separarsi e all’emergere del due: Lucas e Claus.

Su tutto la guerra, la frontiera, soprattutto la frontiera, senza che il di qua e il di là siano luoghi diversi, se non per – ancora, sempre – la realtà, la necessità, della scissione, la costrizione a vivere scissi.

Nel secondo libro, “La Prova”, il racconto è svolto alla terza persona singolare da un narratore esterno che racconta la vita di Lucas, che attende il ritorno di Claus, la ricerca di scioglimento dell’anagramma che lega, identifica e rende intercambiabili i due nomi/fratelli e che, da ora in poi, impedirà al protagonista di vivere un “io” perché, dove non ci può più essere un “noi”, l’io diventa il gioco del nome, che rende irrisolvibile la scissione. Come dire che se le lettere del nome sono state consumate per costruire Claus non ne avanzeranno per dare vita a Lucas. Ma è solo una mia fantasia, la mia parte, o una parte della <mia> menzogna che, come lettrice, contribuisco, colludendo con l’autrice, a creare. Impossibile non farlo.

Su tutto, i personaggi che contornano la storia di Lucas, che si stagliano, storie autonome, capaci di vita propria, a fronteggiare la vita di Lucas, dentro relazioni che saranno intense e dolorose per il loro non potersi realizzare. Grandi personaggi, ognuno centrale per sé, ognuno dotato di propria vita indipendente e che, insieme, mostrano l’impossibilità di vivere e di essere di Lucas/Claus.

Le morti: molte e indifferenti – ma tra i personaggi ci sono scheletri, nel senso vero di ossa riesumate di persone care, ricostruite, lucidate, che manterranno una verticalità obbligata, a negarne la vita così come la morte, sempre, l’una e l’altra, impossibili.

C’è la morte di Mathias, il bambino storpio di cui Lucas aveva fatto un proprio figlio e il dolore che dovrà trovare, ancora una volta, il modo di essere accolto e negato. Mathias diverrà un altro scheletro nascosto tra le righe del racconto e nella vita; conservato, curato, protetto.

C’è infine la prima persona, l’io narrante singolare che si avvierà solo a un certo punto del terzo libro, “La Terza Menzogna” dove è contenuta – come dire trattenuta, arginata, repressa e dunque impedita – la vera storia, che sarà confermata dalla sua conclusione necessaria, e dalla attesa di una seconda conclusione, in un futuro ormai prossimo.

L’io narrante di questo terzo libro, la prima persona che riferisce e narra di sé, saranno in realtà due voci che si alternano: sarà Lucas a parlare, sarà Claus a parlare; e ci sarà un terzo diverso modo di essere del personaggio, che questo libro sviluppa e che conferma la dualità frantumata e l’impossibilità dell’incontro.

Un libro che si rilegge, questo è sicuro. Doloroso, anche questo è certo, ma vorrei dire, un libro necessario, come quello che ognuno deve scrivere nella propria vita in cui, va anche detto, ognuno deve anche leggere un proprio libro. E può essere questo. Lo può essere davvero.