Elizabeth, Katherine, Virginia e le altre

Notte e GiornoCome sempre, un libro apre domande, mostra percorsi diversi, porta a individuare connessioni: è un hub. Così, il romanzo di Elizabeth von Arnim, punto di arrivo di altri percorsi, non si fa lasciare, ha ancora vie da indicare, connessioni da esplorare. Il bello, trattandosi di libri, sta nel fatto che, diversamente da quanto accade in un aeroporto, non occorre sapere dove si andrà; si può andare, e la meta sarà un altro hub, che consente pure il viaggio nel tempo. Rimanendosene sul divano.

Mi intriga la storia di vita della von Arnim che, per vicinanza come per distanza, apre ad altre storie.

Di Elizabeth von Arnim (1866 – 1941), il cui vero nome era Mary Annette Beauchamp, leggendo “Il giardino di Elizabeth ci si forma l’immagine di una signora dalla vita socialmente ed economicamente sicura, trascorsa tra libri e fiori, capace di guardare con lucidità alle diverse vite femminili che incontrava, di raccontarle con affettuosa ironia, proponendo alle sue lettrice nuovi pensieri, aprendo prospettive. Ma la sua vita non fu questa. Fu una vita con grandi asperità.

Nata a Sidney, in Australia, da genitori borghesi, la famiglia rientrò poco dopo in Inghilterra. Elizabeth ebbe una vita adulta che non è eccessivo definire turbolenta, e che certo le sue origini non avrebbero indotto a profetare. Tuttavia, qualcosa in famiglia doveva esserci, in termini di intelligenza femminile, cultura, forse eccentricità? Elizabeth era prima cugina di Kathleen Beauchamp, che conosciamo con il nome d’arte di Katherine Mansfield.

Si sposò, nel 1991, con il conte Henning August von Arnim-Schlagenthin (1851 – 1910), più anziano di lei di sedici anni e di cui, come nel caso di lei, il romanzo può indurre l’immagine errata di un uomo ‘civile’, corrispondente al carattere che associamo al termine ‘prussiano’: serio, di ferrei principi, un po’ rigido.

Anche in questo caso non è stato del tutto così. “L’uomo della collera” è stato un uomo davvero irascibile, difficile, che le ha procurato gravi problemi, perdendo tutti i propri beni, creandole dunque anche serie difficoltà economiche e sociali.

Fatto interessante, avendo egli reso difficile alla moglie pubblicare (comportamento altamente disdicevole per una donna, all’epoca), quando, con i suoi libri, lei ha iniziato a guadagnare bene, non sembra abbia provato un grande disagio: ricordiamo che, al tempo, tutto ciò che una donna guadagnava apparteneva al marito.

La coppia ebbe cinque figli, quattro bambine e un maschio (evidente, credo, la ripetizione delle gravidanze fino all’arrivo del sospirato erede); ed Elizabeth rimase comunque vicina al marito, fino alla precoce morte di lui (compianto? Mah!) avvenuta nel 1910.

Fu, comunque, donna di grandi amori, ebbe varie storie, e sposò in seconde nozze il duca Francis Russell, primogenito fratello del filosofo, (dopo un legame con H.G. Wells che mantenne per lei grande stima.) E anche questo non fu un buon matrimonio, e finì con una brutta separazione.

Ed Elizabeth vagò, tra Francia, Italia, Inghilterra, Svizzera, Stati Uniti, dove morì, nel 1941. Aveva settantacinque anni, aveva vissuto la sua faticosa vita, essendo divenuta peraltro un’autrice di grande successo.

Nello stesso anno 1941 moriva suicida Virginia Woolf, che Elizabeth conosceva bene, mentre Katherine Mansfield, sua cugina, cui era stata molto legata, era morta Tutti i racconti, di Katherine Mansfielddi tubercolosi nel 1923, a trentacinque anni, dopo una difficile vita segnata da gravi malattie e dalla depressione. A differenza di Elizabeth, Katherine Mansfield, che sarebbe stata riconosciuta come la più grande scrittrice di racconti del suo tempo, aveva grandi difficoltà a pubblicare e non trovava riconoscimento. Molta parte della sua opera fu pubblicata dopo la sua morte, per merito del marito, lo scrittore John Middleton Murray.

Katherine fu amica-rivale di Virginia Woolf, facendo parte, marginalmente, del gruppo di Bloomsbury: le deve essere ascritta, se non mi sbaglio, una stroncatura del romanzo “Notte e Giorno” della Woolf: poi se ne dispiacque, mantenendo comunque un rapporto ambivalente con il gruppo, cui era legato il marito. Non vorrei sbagliarmi ma la casa editrice di Leonard e Virginia Woolf, la Hogart Press, che, oltre alle opere di Virginia Woolf pubblicò la prima edizione di La terra desolata, di Thomas Stearns Eliot, non pubblicò mai la Mansfield (almeno finché Katherine visse). E Virginia, capace di non dormire per l’invidia che le causava la scrittura di Ivy Compton-Burnett, era molto ambivalente verso Katherine – sarebbe interessante, in effetti, studiare i rapporti della Woolf con le donne, tra la teoria e la pratica, ma mi pare indubbia la sua difficoltà nella relazione: con donne-scrittrici, ma si potrebbe dire, in effetti, con <le donne> in carne e ossa, come persone, salvo quando subentrava un rapporto d’amore.

Del gruppo di Bloomsbury non facevano parte altre donne: anche la sorella di Virginia, la pittrice Vanessa Bell, ne era divenuta esterna, a suo modo: le due sorelle erano molto legate, ed era molto forte il legame di Virginia anche con i figli di Vanessa, ma neppure questo grande affetto evitò difficoltà di rapporto non banali.

C’era, ci fu, Dora Carrington, pittrice, vicina al Bloomsbury per il suo legame con Lytton Strachey che Dora amava profondamente. Due mesi dopo la morte di lui, e dopo un primo fallito tentativo di suicidio, Dora terminò, sparandosi, una vita che senza di lui non trovava senso. Sulla sua vita qualcuno ricorderà un bellissimo film – “Carrington – con Emma Thompson nel ruolo.

E’ interessante: nessuna di queste donne era circondata, o legata, nel suo lavoro, ad altre donne – in alcuni casi molto vicine, contigue – e se Virginia Woolf, nonostante la sua malattia, la disperazione che ha assorbito buona parte della sua vita, è stata sicuramente l’ape regina, circondata dai suoi uomini importanti (dalle donne, apparentemente, solo in quanto amanti), anche per le altre è stato così, sono vissute circondate, e spesso massacrate, da uomini. Dovessimo dire, non gliene è venuto molto bene, ma forse era inevitabile. Chissà se lo è ancora.

Perdonate, sono pensieri in libertà. Privi di qualsivoglia conclusione. Ma la libertà è importante e lo è, talvolta, anche lasciar vagare i pensieri.