Ingeborg Bachmann, “Tutti i giorni”. Da: “Il tempo dilazionato”, “Poesie”, a cura di Maria Teresa Mandalari, Ugo Guanda Editore 1978
Ingeborg Bachmann, una grande scrittrice del secolo scorso – che chiameremmo ‘contemporanea’ se la morte non l’avesse colta ancora giovane, a Roma, dove viveva, il 17 ottobre del 1973. Aveva 47 anni.
Una morte poco chiarita. L’incendio del suo appartamento, forse l’addormentarsi con la sigaretta accesa. Ustioni gravi, l’inutile ospedale.
Una poetessa che ha al suo attivo due sole raccolte di versi, “Il tempo dilazionato” (1953), da cui è tratta la poesia “Tutti i giorni” e “Invocazione all’Orsa Maggiore” (1956): poi, basta poesia. Aveva trent’anni e così decise. Nel tempo che le rimase, si espresse in una prosa preziosa, ma la cesura con la poesia fu netta. Scelta. Non revocata, per il suo tempo di vita.
Pure, quella cesura fu un’illusione, e la sua bellissima prosa la conterrà ancora tutta.
La sua poesia è stata parola ancorata al mondo, al suo tempo – dilazionato, guardato nei suoi più profondi recessi; ha portato la sua voce ad essere profetica, a un forte vedere, ascoltare, e sentire la valenza multipla, contraddittoria, della parola e della realtà.
“Tutti i giorni”, è una poesia che oggi parla con voce quanto mai forte, nella contrapposizione tra uno stato di guerra, “inaudito” (e quanti significati, assegnabili a questo aggettivo/sostantivo!) e la possibilità di un rifiuto del potere, la possibilità di dire no: ma la parola scelta – “L’inosservanza (di tutti gli ordini)” varrà ‘disubbidire’ o non anche ‘distogliere gli occhi’? O non anche l’incapacità, se non il rifiuto, di vedere?
Ci dirà di medaglie assegnate “per la diserzione dalle bandiere, per il valore di fronte all’amico, per il tradimento di segreti obbrobriosi”. Ma, quali ‘bandiere’ saranno ‘disertate’ e, se ‘il valore di fronte all’amico’ fosse cosa buona (ma lo sarà?), i ‘segreti ‘obbrobriosi’, per essere traditi non avranno richiesto che ne fossimo custodi?
Le parole: Inge lo sapeva bene, quale rischio le parole! L’ambiguità ne tramuta i significati, e fa convivere l’eroe con l’indifferente, l’impotenza con il coraggio, forse, dove il tacere dei fuochi di guerra ha su di sé ‘l’ombra d’eterno riarmo’ e dunque è: inutile? provvisorio?
Yalta 1945. E tutto ciò che ne seguì. Che si ergeva allo sguardo della sua poesia; era il 1953 quando “Il tempo dilazionato” fu pubblicato.
La divisione del mondo in due blocchi. La guerra fredda. Ed oggi, dentro un altro mondo che, certo, Inge non avrebbe potuto pensare; oggi, dentro i rischi che la guerra continua, mai cessata e anzi rinvigorita, porta al suo/nostro mondo (non ce ne sono due, è sempre quello, lo stiamo condividendo con lei), oggi le sue parole mostrano, ancora, il permanere di Yalta nell’illusione Schengen, e la faticosa, fragile speranza che l’illusione si inveri nonostante ciò che di Yalta permane, a falsificarla, senza che il mondo sappia un muoversi aldilà.
Tutti i giorni
La guerra non viene più dichiarata,
ma proseguita. L’inaudito
è divenuto quotidiano. L’eroe
resta lontano dai combattimenti. Il debole
è trasferito nelle zone del fuoco.
La divisa di oggi è la pazienza,
medaglia la misera stella
della speranza, appuntata sul cuore.
Viene conferita
quando non accade più nulla,
quando il fuoco tambureggiante ammutolisce,
quando il nemico è divenuto invisibile
e l’ombra d’eterno riarmo
ricopre il cielo.
Viene conferita
per la diserzione dalle bandiere,
per il valore di fronte all’amico,
per il tradimento di segreti obbrobriosi
e l’inosservanza
di tutti gli ordini.