Freya Stark, «Lettere dalla Siria», Edizioni La vita felice 2014
Traduzione di Daria Angeli
«(…) uno pensa più che mai che il Mediterraneo sia uno stagno
dove i bambini del mondo cominciarono a giocare per primi ai pirati.»
«E poi una meravigliosa visione! Dal lato sinistro sono sbucati dei cammelli: prima un paio qua e là, poi sempre più numerosi, finché un intero branco ci ha circondato, cinquecento o più Sono uscita dalla macchina e mi sono confusa in mezzo a loro per fotografarli. I due capi beduini, vestiti magnificamente, erano arroccati in alto e dondolavano lentamente con il movimento delle loro bestie: mi hanno gridato qualcosa, ma l’arabo beduino è al di là di ogni comprensione. Non ho parole per dirti che vista meravigliosa fosse: come se uno si trovasse all’improvviso nella vera e propria alba del mondo, tra la gente di Abramo e Giacobbe.»
Ho atteso a proporre questo libro, dopo averne più volte parlato[i], perché, parrà strano, occorre potersi distanziare almeno un po’ da una lettura, per scriverne. E fatico a distanziarmi da quest’opera straordinaria, che continuo a riprendere, a indagare. C’è un intero mondo di storia, all’interno, che necessita di essere conosciuta, senza che, peraltro, il non conoscerla bene impedisca il godimento della lettura, per la capacità di queste lettere di restituirci intero il fascino di luoghi, e gente, e vite ignote – unitamente a uno sguardo, libero e limpido, anche sul nostro mondo, su italiani, francesi, inglesi, missionari con le loro signore, ognuno a diverso titolo occupante quei territori per conto, al tempo, della Società delle Nazioni, per conto di una religione, o di politiche di aggressione travestite da Trattati di pace.
Queste lettere-diario di viaggio, scritte da Freya Stark alla madre, al padre e, in attesa di incontrarla, all’amica Venetia Buddicom (che l’avrebbe raggiunta a Damasco, per condividere parte del viaggio), sono rimaste a lungo in possesso dell’editore inglese John Murray che ne propose la stampa nel 1942 quando, mentre Londra era sotto le bombe naziste, ritenne che sarebbero state una fonte di incoraggiamento a sopportare l’insopportabile.
Sono lettere che, con suprema indifferenza e leggerezza, non raccontano un viaggio facile. Raccontano fatiche, disagi pesantissimi, malattia, mentre la determinatissima giovane signora (era il 1927 e Freya Stark aveva trentaquattro anni) programmava e portava a compimento un progetto che sarebbe iniziato con un inverno (di freddo atroce, di scomodità e di sofferenza fisica, fuori portata di un’assistenza medica adeguata) a Brumana, in Libano, una Missione/convento inglese in montagna sopra Beirut, a imparare a fondo l’arabo, come si legge nella Presentazione dell’opera a cura di Hilarius Moosbrugger.
Da lì, iniziata la primavera, avrebbe affrontato, con l’amica, il viaggio a dorso di mulo, tra le incognite degli incontri e gli ostacoli che il potere politico le frapponeva, attraversando il deserto siriano fino a Damasco e a Gerusalemme.
Vi riuscirà. E, arrivando a Gerusalemme, scriverà alla madre:
«Com’è stato tutto bello: le scomodità svaniscono, per lo meno dalla memoria “attiva” e resta e cresce la bellezza di tutto ciò che abbiamo vissuto. E la gioia sta nel fatto che io sia riuscita a farlo, dopotutto, e il mio stupido vecchio corpo, tutto sommato, abbia retto bene al gioco.»
Leggere queste lettere equivale a compiere, con la protagonista, un viaggio e una maturazione impossibili, arricchiti da uno sguardo nuovo, dentro un intreccio di bellezza, colori, luce, soprattutto luce, dal cui bagliore ci si riposerà dentro il salotto della missione, dentro la camera da letto-luogo di riunione, che non conosce privatezza, delle case druse, dentro le conversazioni femminili; seduti sulle pietre delle case dei villaggi, cristiani, drusi, musulmani; alla presenza dello sceicco del luogo e alle prese con problemi di protocollo da intuire, e poco a poco, apprendere.
Ho detto di un riposo dalla bellezza: lo troveremo nelle cronache degli incontri, in particolare, con gli occidentali che Freya Stark dovrà frequentare in questo viaggio, e nel racconto che la sua penna ne farà, con divertita e controllatissima esasperazione.
Sarà dunque un riposo, nutrito di umorismo, non della protagonista bensì offerto a chi legge, che gusterà a fondo il sottile, amabilmente feroce gusto per il commento irriverente; che segnala, se ce ne fosse bisogno, come quelle che stiamo leggendo siano precisamente lettere, vere, scritte alla madre, al padre, all’amica Venetia. Questa verità aggiunge gusto al piacere di leggere una grande scrittrice, su questo non vi è dubbio alcuno.
Siamo a Brumana. Freya abita presso una signora, M.lle Audi, e studia la lingua araba le cui basi già possiede, patendo tutto il freddo che può essere patito sulle montagne del Libano. E frequenta necessariamente l’ambiente della missione.

«Ho discusso della missione con il mio amico quacchero Mr. Chamoun, il direttore della scuola siriana. Egli è intelligente e affascinante. Mi ha chiesto di partecipare al “Comitato dei cercatori della verità” presso Mr. Davidson. Io gli ho detto che sono una cercatrice di verità, ma non nei comitati, (…).»
«Passo il mio tempo cercando di resistere a gentilezze e consigli (…) se cominciassi a fare ciò che mi consigliano, molto presto finirei con il condurre un asino.»
«Ieri sono stata a prendere il tè alla missione. (…) Trovo queste signore davvero soffocanti. Persino quelle più giovani sembrano avere tutte un interesse superficiale verso la vita e rimpiangere solo la vivacità che è stata loro negata; non pensano ad altro che al loro meschino percorso esistenziale di arrogante superiorità. (…) Spero di non diventare così, di non sentirmi mai infastidita da idee non mie, di non giudicare il mondo, con tutti i suoi cambiamenti nella sua crescita, secondo una serie di formule congelate. Quando le persone imprigionano in compartimenti stagni nelle loro menti ottuse persino le cose NUOVE come chiaramente inamovibili, è davvero deprimente. Non sono nemmeno simili ai busti del Pincio, che perlomeno sono stati UOMINI VERI, prima di morire.»
Persino dentro la prigione francese, a Shahaba, nel deserto della Siria, dove Freya e Venetia giocheranno a equivocare tra l’essere prigioniere per sospetto spionaggio e l’essere ospiti, gentilmente invitate dagli ufficiali della guarnigione di stanza nel territorio, preoccupati per l‘inusuale presenza femminile nella zona; riuscendo persino a farsi prestare comodi e larghissimi pigiami per dormire; tra bagagli sequestrati e la determinazione a proseguire, totalmente libere, il viaggio; in un difficile equilibrio, soprattutto per Freya che conduce il gioco, tra il nascondere e l’evidenziare la sua padronanza della lingua araba, che può giocare a sfavore del far cessare i dubbi sugli scopi del loro viaggio: imparare l’arabo e conoscere? Si è mai sentito?
«Ieri sera il pasto è stato comico. Loro hanno sperato di “farci parlare”, il che è stato divertente. Io e Venetia abbiamo avuto un minuto per noi stesse, poiché non hanno potuto rifiutarci la possibilità di incipriare i nostri nasi, e in fretta e furia abbiamo deciso il nostro piano d’azione»
Riusciranno a farsi accompagnare per una cavalcata nei dintorni. Venetia riuscirà anche a far sognare un giovane ufficiale, acconciata nei pantaloni di lui, da cavallerizza. Ma le idee sono chiare.
«Dubito che egli riesca a comprendere la nostra spensierata indifferenza verso tutte le interferenze con i nostri piani; vedremo cosa accadrà domani quando cercheremo di andarcene. Una cosa è piuttosto certa: non lascerò che questo venga trasformato in un tour condotto dai francesi.»
Perché: no, viaggiare e desiderare di conoscere non può, non deve, risultare strano.
«Forse la gioia della scoperta non risiede in quello che ci risulta strano, quanto piuttosto nell’improvvisa consapevolezza che siamo a casa in un nuovo orizzonte, esteriore o interiore non importa, affrancato in una terra da cui siamo attesi: che il nostro cuore o il cervello, viaggiatori esperti ma smemorati, riconoscono con gioia»
Tra i libri non pubblicati in Italia di e su questa grande autrice e grande donna, a tutt’oggi pubblicata nel Regno Unito, c’è anche una interessante biografia scritta da Jane Geniesse, dal titolo Passionate Nomad: The Life of Freya Stark. Una cara amica, il cui giudizio stimo molto e che lo ha letto, me ne ha parlato con entusiasmo. Io, purtroppo, non leggo l’inglese. Ma segnalo, per chi fosse interessato – compresa l’editoria italiana che ovviamente non può sentire la mia voce. Pure: hai visto mai! C’è stato uno, che gridava nel deserto, e vedi un po’ cosa ne è seguito. Dopotutto, io, non chiedo tanto.
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[i] letture-in-corso-alla-ricerca-di-freya-stark/
alla-ricerca-di-freya-stark-segue-due-giorni-ad-asolo/
https://lalibraiavirtuale.com/2016/07/24/e-mentre-tutto-accade-io-leggo-i-miei-libri/