Qualcosa sull’autore: Dino Buzzati

un-amore-buzzatiDino Buzzati Traverso, 1906 – 1972. Di lui si sa che è bellunese, essendo nato nella villa di S. Pellegrino di Belluno, che dal 1881 è proprietà della famiglia Buzzati Traverso, nella cui chiesetta è sepolto, come ha desiderato, essendo S. Pellegrino il luogo cui sentiva di appartenere, pur avendo sempre vissuto a Milano.

Il padre, Giulio Cesare, originario di una antica famiglia bellunese, insegnava Diritto Internazionale all’Università di Pavia; era un insigne giurista, che ebbe parte in importanti consessi di diritto internazionale.

Il professor Traverso aveva sposato Alba Mantovani, ultima discendente di una famiglia patrizia veneziana, i Badoer Partecipazio, i cui ascendenti risalgono al 900 d.C. Il fratello di Alba Mantovani, Dino, di cui il nipote porta il nome, fu un letterato, la cui notorietà oggi è pressoché scomparsa, amico di E. De Amicis e, a sua volta, collaboratore del Corriere della Sera.

La coppia ebbe quattro figli: un fratello di Dino, più giovane di sette anni, il genetista Adriano Buzzati Traverso è stato uno dei maggiori scienziati italiani. Nulla risulta degli altri due (e io mi sono fatta la fantasia,  a spiegazione del silenzio su di loro, che fossero due sorelle: una fantasia, appunto, la cui eventuale verità non risiede nei fatti).

La protezione della propria vita privata, di ciò che sta dentro le mura di casa, la protezione di ciò che è intimo, costituisce la nota dominante della vita di Dino Buzzati, che, per altro verso, nelle proprie opere, dirà tutto di sé e del proprio mondo interiore  – tutto ciò che vale – anche attraverso il silenzio.

Una prima infanzia dorata, dunque, in una famiglia che, alla solidità economica univa la sicurezza che fornisce una storia familiare importante e, soprattutto, un ambiente di elevato spessore culturale.

La tenuta di S. Pellegrino fu per Dino Buzzati il luogo della vita, e di un’infanzia chiusa, all’età di quattordici anni – era il 1920, la guerra era terminata da due anni – dalla morte, causata da un tumore al pancreas, del padre. Il dolore per questa perdita causò, nel figlio, il timore di ammalarsi della stessa malattia, di cui, in effetti, morirà nel 1972, a soli 66 anni.

In quello stesso anno 1920 Dino compì le sue prime escursioni sulle Dolomiti, e da qui, dall’esperienza precoce del lutto e dal prender corpo del suo amore per la montagna, è possibile seguire il formarsi del carattere di quello che sarà uno dei grandi scrittori del nostro ‘900 e, forse lo si ricorda poco, uno dei grandi cronisti nella storia del giornalismo italiano.

Scrittore precoce – il suo diario fu tenuto, con una breve interruzione, per tutta la vita – si laureò tuttavia in giurisprudenza, sulle orme del padre. Ancora studente stava tuttavia già facendo pratica al Corriere della sera.

Il suo primo romanzo, «Barnabo delle montagne» uscirà nel 1933. E già in questa prima, notevole, prova, emergeranno i temi che segneranno la sua narrativa, e che troveranno nel capolavoro, barnabo-delle-montagne«Il deserto dei Tartari» un punto di eccezionale compiutezza: il bisogno di dare un senso alla vita e, soprattutto, aderirvi; e sempre la montagna, anche nel “deserto”, come luogo del pensiero, della bellezza, dell’interiorità e, propriamente, della compiutezza, assicurata dalla solitudine.

Una vita breve e senza clamore, quella di Dino Buzzati. Eppure, una vita molto intensa, di una persona che, silenziosamente, ha fatto della comunicazione la propria cifra, nascondendosi nel privato e svelandosi nelle opere, quasi che solo attraverso la scrittura, attraverso il segno grafico, e la commistione dei due, fosse autorizzata la parola. E quasi che, per assicurarne l’ascolto, la fonte dovesse rimanere in ombra, perché nulla distraesse l’ascoltatore.

Dino Buzzati è una voce che narra – che si tratti di un articolo di cronaca, di un romanzo, di un racconto, di una favola (Vedi: «La famosa invasione degli orsi in Sicilia», Mondadori 2000, pubblicato a puntate sul Corriere dei Piccoli, nel 1945). O di un disegno, di un quadro.

Un carattere chiuso, montanaro e aristocratico, amante di un dire essenziale.

Eppure no, questa descrizione, che credo corrisponda alla vulgata su di lui, non si combina con il mestiere – giornalista, cronista – svolto per quarant’anni; con la necessità propria del suo lavoro di stabilire relazioni, di incontrare e parlare – e certo, soprattutto di porsi in ascolto. Sempre.

la-famosa-invasione-degli-orsi-in-sicilia-buzzatiAscoltare: assorbire storie; e ascoltarsi dal proprio interno, nel confronto-incontro della propria vita con il mondo che lo circondava; interrogarsi, per restituire tutto di sé e di ciò che, ascoltando, e ascoltandosi, aveva maturato.

Dino Buzzati è uno scrittore che scompiglia il pensiero attraverso una scrittura piana, chiara, senza fronzoli, che descrive un’interiorità faticosa, dolente; dritta al punto, districando fatti e sentimenti. Una scrittura parlata. La parola calda, ma essenziale, di un uomo che ha trascorso la vita a dare notizie, aiutare a comprenderle; i suoi articoli di “nera” – e non solo, perché le sue cronache hanno coperto molte aree – hanno accompagnato i lettori italiani del Corriere della sera e del Corriere di Informazione, per essere infine raccolte in diverse pubblicazioni che rischiano di passare sotto silenzio – e infatti, si trovano con difficoltà.

Nella sua riservatezza, e nel molto che dice attraverso il silenzio, c’è il suo rapporto con il mondo femminile, con la donna, molto presente e tutta da leggere nei suoi disegni, molto assente nei suoi scritti – l’eccezione, grandissima, è «Un amore», il romanzo pubblicato per la prima volta nel 1963, opera assolutamente d’eccezione tra gli scritti di Buzzati. Una “confessione”?

Dino Buzzati si sposerà, nel 1966, con Almerina Antoniazzi, per vivere con lei una vita di soli cinque importanti anni. La coppia si era conosciuta nel 1960, lei diciannovenne, lui cinquantaquattrenne, avviato all’età anziana. E Almerina sarà “la sposa bambina”, nascosta, protetta, che di sé e della sua vita con lui dirà: “Quando Dino scrive, la sera, io ricamo tovaglie e lenzuola, oppure lavoro a un piccolo telaio. Ma certo quando mi paragono alle altre mogli di scrittori, come Mimì Piovene, che leggono i manoscritti dei mariti, li copiano a macchina, un pochino mi vergogno”. Riportando queste parole, Lorenzo Viganò, sul Corriere della sera, nell’articolo scritto il 23 novembre 2015, alla morte di Almerina Buzzati, commenterà così: “Lui non aveva mai voluto che Almerina conoscesse «Buzzati», i suoi tormenti, le sue paure; così, prima di passarle la copia del «Corriere», strappava la pagina con il proprio articolo e le nascondeva i libri che pubblicava. Voleva che conoscesse soltanto «Dino». E così è stato fino alla morte di lui, quando un giorno prese i suoi diari, partì per Cortina e li lesse d’un fiato, conoscendo finalmente chi le aveva vissuto accanto.[i]

La prossima recensione proporrà «Il deserto dei Tartari».

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[i] http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_novembre_23/addio-ad-almerina-sposa-bambina-dino-buzzati-138b524c-91d6-11e5-98d3-3899a469cdf7.shtml