Insalata mista

abbuffateDopo un periodo di abbuffate, ci starebbe; ma più che altro, finite le feste, ci si trova alle prese con resti vari, bocconi sparsi di golosità che intasano congelatori frigoriferi e dispense, e inducono alla crisi di coscienza: buttare no, non va bene; arrangiarci su qualche pranzo e cena, dal punto di vista della salute, non rappresenta il massimo, non corrisponde alla dieta bilanciata che sarebbe necessaria. Purtuttavia: è la sola strada che consentirà di non sprecare e, solo a seguito, riprendere le buone regole, soddisfacendo nel contempo il palato (perché, ecco, si tratta di bocconcini golosi, e “non sprecare” dà anche, ancora, piacere). Poi, solo poi, riassumeremo i corretti comportamenti alimentari. Avendo ben presente che non di solo pane vive l’uomo.

Mi accorgo infatti che il pistolotto si applica anche alle letture di questo periodo. Sempre di cibo si tratta, per la mente e per il cuore, che devono ricevere la loro quota di piacere tanto quanto il palato e, saltuariamente, godere di eccessi e abbandono di ogni buona regola di moderazione. Ne deriverà, come accade per il cibo, qualche danno collaterale?

Anche sì, nel rischio che vengano sprecate buone letture, per accumulo di libri regalati, di acquisti suggeriti da conversazioni inusuali, frutto di scelte operate in un tempo privo di regola e dunque privo della quiete e dell’attenzione necessari.

Come fare? Esiste l’usanza del distribuire i resti tra amici. Potremmo vedere insieme cosa si è accumulato, cosa si trova in attesa, alla mia tavola. E se non ce la farò a finire i resti, potreste portarvi a casa un qualcosa per uno, da leggere a vostro gusto. Poi, magari, darne una restituzione. Mi piace l’idea di un cibo che non si esaurisce e che, più gente ha nutrito più è in grado di nutrirne, in una specie di moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Facendo un po’ d’ordine: ci sono, innanzitutto, i due libri, letti, cui avevo accennato, di due giovani autori, che ho apprezzato e che desidero proporre. Per farne memoria si tratta di:

Giulia Depentor, «Il vestito verde», Lettere animate 2016;

Stefano Merenda, «Il tempio della piccola foresta», Algra Editore 2016.

Incappo subito in un inciampo (sempre colpa delle feste). Mentre mi accingevo a scriverne, ho scoperto di aver prestato ad un’amica «Il tempio della piccola foresta». Cosa mi attendevo? Probabilmente che, nella voracità delle feste, lo leggesse la notte stessa e restituisse il malloppo il mattino seguente? Ovviamente, se lo è portato a casa, e dovrò attendere di andarmelo a recuperare (tra non molto).

Poi, l’accumulo si fa grave. Due libri, in corso di lettura, che sento importanti:

luther-blisset-qLuther Blisset, «Q», Einaudi 2012

Marguerite Yourcenar, «L’opera al nero», 1986

La rivoluzione luterana in Germania, guerre di religione, nell’Europa tutta, lotte di potere tra principi. Il Rinascimento, nuove idee, il mondo sta cambiando.

Sono tanti i modi in cui la realtà dei giorni e del tempo di vita si intreccia con la lettura; per il bisogno di fornirle un senso, per l’urgenza di fuggirla, comunque nella inevitabilemarguerite-yourcenar-lopera-al-nero relazione. E in questi giorni, mentre, spente le luci di una falsa pace in terra, ci raggiungono da ogni dove immagini di stermini, immagini di file di profughi nel gelo, volti disperati, gli ululati delle sirene, e vengono rimbalzate rivendicazioni, pseudo ragioni, espresse nel linguaggio di deliri più o meno religiosi e di politiche più o meno cieche; in questi giorni, non so, forse il bisogno di capire, di esplorare quei nodi di miseria, e speranza in un al di là; il furore dell’operare una giustizia-vendetta, per una nuova vita nell’al di qua; e la fuga, nostra, della nostra parte del mondo, nel bisogno di prendere una posizione difensiva, trovando un, e solo un, colpevole, una e solo una ragione del tutto, che ci lasci fuori, beninteso, che ci rassicuri di una nostra innocenza; in questi giorni, la sola cosa che mi pare di poter fare, che sento il bisogno di fare, è leggere.

Mi sono trovata tra le mani questi due libri. Ancora due riletture. Ma diverso il momento. Nuove letture, dunque. Una in corso, massiccia, che chiede appunti e note a margine; l’altra più contenuta, certo, più agile alla fruizione, forse, ma altrettanto pregnante.

Cosa vi sto cercando? A parte l’ovvio, il già veduto, nella storia del mondo; il non compreso. Anche la storia di chi ha agito respingendo l’impotenza, fornendo di senso la fame, la sofferenza, propria e dei propri figli; la prevaricazione dei diritti, l’umiliazione. E ha cessato di subire. Ha sperato? Ha chiamato Dio un qualcosa e lo ha calato nella propria vita, nel proprio mondo, lo ha reso dichiarazione, spada di giustizia-vendetta. Poteva farlo senza chiamarlo Dio? Sarebbe possibile farlo ora? Sarebbe diverso? Non so. Meglio che non mi ci provi.

Non so se completerò bene queste due letture; se potrò farne una qualche restituzione.

Nel frattempo, si esce, le mattine sono fredde ma il tempo è bello. Si va in città. E non resisto alle bancarelle dei libri usati, in questo caso presso la libreria Santi Quaranta, dove ho trovato:

gli-dei-hanno-seteAnatole France, «Gli dei hanno sete», Einaudi 1951. Prefazione di Arrigo Cajumi, Traduzione di Fanny Mallé

Mai letto. Copertina di cartone leggera, azzurra, vissuta, come le pagine, leggermente ingiallite; nome del vecchio proprietario scritto, all’interno, in alto a destra, una calligrafia lieve, piccola, scolastica, dal tono femminile; e invece c’è un nome d’uomo. C’è anche la data di acquisto, 3 dicembre 1957.

La mia curiosità si esercita, con fantasie, sul proprietario, che ha lasciato questo libro a tanta distanza di anni, ma forse no, forse il libro gira per bancarelle da tempo. Sono curiosa, cerco su Google. Chissà che fine faranno i miei libri, e se qualcuno si interrogherà sul loro percorso.

Tra parentesi. Ho scritto: “Cerco su Google”. Non ce la faccio a usare il verbo googlare, eppure potrei, credo, dopotutto lo ammette la Treccani. Non si tratta di un rifiuto del neologismo – se c’è una nuova realtà in uso, occorrerà pure assegnarle una parola nuova che la inserisca nel linguaggio; è che, non so, mi crea disagio usarla, mi trovo ad assegnare a questa parola, chissà perché, il senso del fare qualcosa di scorretto, tipo curiosare impropriamente, guardare dal buco della serratura, spettegolare, qualcosa del genere. “Cercare su Google” è più asettico.

Non leggerò presto, subito, questo libro, ma ovviamente lo maneggio, sbircio, gli rivolgo domande, sollecito risposte, cose così. Sono incuriosita anche dalla prefazione. Arrigo Cajumi, nome che non mi suggerisce riferimenti ma che mi provoca una eco. Risultato: sono in attesa di un piccolo libro, tra i molti di questo autore, che scopro critico, giornalista, attivo durante il periodo fascista, da oppositore. Non si tratta di una delle sue opere principali, anzi, neppure di un’opera, non nel senso di qualcosa che <lui> abbia data alle stampe. Sono pagine di un diario scritto negli ultimi giorni della Grande guerra, da soldato al fronte, e recuperate.

loffensiva-scritta-col-lapis-arrigo-cajami Arrigo Cajumi, «L’offensiva scritta col lapis (22 ottobre – 4 novembre 1918). Trascrizione e riproduzione del manoscritto», Otto/Novecento Editore 2014. Prima edizione 1994 dalle Edizioni La vita felice

Una pubblicazione interessante. Mi incuriosisce ulteriormente la casa editrice, mai sentita. Proviamoci: la <googlo> (che ridere, mi diverte!) e, vedi un po’, è un marchio della Editrice La vita felice, quella che ha editato il bellissimo «Lettere dalla Siria» di Freya Stark e, trent’anni fa, prima e sola, questo libro; che dunque, se vogliamo dire, è una ristampa.

Un buon incontro, questa Casa Editrice. Determinata, nelle sue scelte. Quanto ad Arrigo Cajumi, vedo che ha anche curato la pubblicazione, nel 1956, delle poesie di Ernesto Ragazzoni. Lo ricordate? Protagonista (figura reale e romanzata) del romanzo di Marco Malvaldi «Buchi nella sabbia», Sellerio 2015 (qui)

Sul mio tavolo c’è sempre Ingeborg Bachmann. I racconti raccolti in «Il trentesimo anno»; c’è «Malina», che attende, che viene preso, lasciato e ripreso. Dovrò decidermi.

E ad uno ad uno, ne avevo già accennato, i racconti (ma si possono chiamare racconti? No) di D. F. Wallace «Brevi interviste con uomini schifosi». E i racconti di Donald Barthelme, «Atti innaturali, pratiche innominabili», Minimum Fax 2005. Prefazione di Aimée Bender. Da tempo in lettura lenta. Lettura faticosa. Prima o poi ne racconterò, credo.

C’è altro, purtroppo, ma mi devo fermare. Volete aiutare e condividere? Fate sapere.