“Con una nostalgia infinita o forse senza nostalgia…”

Mo Yan, “Le sei reincarnazioni di Ximen Nao”, Einaudi

Traduzione di Patrizia Liberati

Da molto tempo desideravo sia rileggere sia proporre questo grande romanzo di Mo Yan. E rifuggivo dal compito. Così come sono finora fuggita dal “rischio” di leggere altro di questo autore. Strana cosa. Anche perché leggere questo romanzo è stato, nel ricordo come nella rilettura, un’esperienza impagabile per intensità.

Tant’è che, mentre d’abitudine, quando un libro mi assorbe tanto quanto questo, la sua rilettura, senza soluzione di continuità, è per me la regola –  non lascio il libro, mi ritrovo a rileggerne pezzi, a saltare da un punto all’altro e, infine, a rileggerlo daccapo – in questo caso non è stato così. Dopo la prima lettura sono quasi fuggita da una intensità che chiedeva un suo tempo per venir assorbita; anche da una fatica, che il libro richiede, per la lunghezza, per la complessità della storia, con i suoi personaggi, i nomi difficili da memorizzare, i fatti, storici, sottesi agli avvenimenti, che fanno da supporto alla fantasia – e che costituiscono, volendo, ma non necessariamente, il tema del libro. Il libro peraltro è adeguatamente fornito di un glossario dei nomi.

Leggendo, risulterà difficile identificare un confine, per molti versi da non ricercare, tra storia mito e invenzione. Il messaggio transiterà ugualmente, ponendoci di fronte, come in un grande affresco, ad una piccola società contadina, con la sua terra, i suoi alberi da frutta e i fiori, con la vita dura di chi la abita, con i diversi caratteri umani, i modi dei comportamenti; incontreremo una cultura ancestrale – la cui estraneità ci mette alla prova – sottoposta ad un cambiamento senza pari; ad una rivoluzione, in effetti, in senso proprio, di cui vedremo,  guidati da uno sguardo ironico e insieme complice e affettuoso, il realizzarsi confuso, violento, e insieme fiducioso e abborracciato – e l’ossimoro ci sta tutto – in cui si integrano valori, credenze, mitologie temprate dai millenni, con nuovi riti connessi ad un sogno e ad un progetto totalizzanti: almeno fino ad un “contrordine compagni” che assumerà la forma di nulla negare del percorso compiuto.

Per non parlare delle bugie, esplicite, di cui la storia è (fintamente) costellata. Un bugiardo grandioso, questo Mo Yan, che usa la menzogna come invenzione e come mezzo per affermare, con tanta più forza, verità sostanziali: e la bugia si costituirà come parte del reale, un modo tra i tanti dell’apparire del mondo, trasfuso in ideali, tenuto insieme dal colloquio tra tutti i viventi; carnale, scurrile e sbruffone, dentro una trama di regole, di obblighi e lealtà familiari che non contraddicono il nuovo che avanza.

Premio Nobel per la letteratura 2012

Si inorridisce e si ride, in queste pagine, mentre, tra i personaggi, troveremo a più riprese un certo Mo Yan, uno con velleità da scrittore, fanfarone, millantatore e impiccione, e purtuttavia di una qualche utilità; descritto e utilizzato quale fonte di racconti, fantasie, interpretazioni che, assumendo forma di verità possibili nel mentre vengono negate attraverso la semplice attribuzione al personaggio (di nessuna affidabilità), consente di far passare altre “verità” – o di negarle, se risultasse opportuno.

Bugiardo esperto, il personaggio Mo Yan, non c’è dubbio; di cui il Mo Yan autore, altrettanto esperto, fa dire al narratore di turno – perché tra gli espedienti del romanzo vi è anche il cambiamento della voce narrante:

“Certo, quello ne inventa di storie!”  E il lettore resta lì, basito, covando una domanda: È previsto che io ci creda?

È un fatto: dal 1950 al 2000 – è l’arco temporale in cui si svolge questa narrazione – in Cina è passata la storia. Rimarremo affascinati di fronte ad una declinazione della rivoluzione maoista, nel pieno del suo farsi faticoso, duro, sofferto e intransigente – e crudelmente comico – come sono sempre le fedi. Fino ad un chiudersi del cerchio nel suo opposto (o no?): che si realizzerà senza che nulla della storia di quella fede e dei sacrifici che ha richiesto venga mai ufficialmente revocato.

Un po’ di trama – si fa per dire. Si tratta infatti di una storia corale, di molte storie, della narrazione di una civiltà alle prese con un cambiamento (importante? centrale? forse, ma non è detto) che sembra lasciar intatte le sue fondamenta, le sue strutture; che solo alla fine, quando quel cambiamento avrà esaurito la propria spinta mostrerà, forse, il suo vero volto, non voluto, non progettato, avvenuto. Solo forse.

Il protagonista Ximen Nao – ma forse sarà meglio definirlo il narratore, colui che parla attraverso le voci e i punti di vista delle sue reincarnazioni – è stato un possidente terriero, buono, onesto, giusto, ingiustamente giustiziato nel corso della rivoluzione che ha tolto la terra ai proprietari per assegnarla alla collettivizzazione, dando luogo ad un nuovo ordine sociale.

Ximen Nao viene dunque ucciso senza poter parlare a propria difesa.

Nel regno dei morti egli si ribellerà, violentemente, a tale morte ingiusta. Per due lungi anni tormenterà Re Yama con le sue proteste e con la pretesa di reincarnarsi nella sua vita precedente. E Re Yama lo sottoporrà ai più tremendi, insostenibili tormenti, senza fiaccarne la resistenza, finendo per cedere e farlo accompagnare nuovamente nel suo mondo, alla sua famiglia, alla sua terra. Alla sua identità? Si suppone.

Ma Re Yama imbroglia – o forse no, forse si tratta di altro, lo si comprenderà in chiusura – e Ximen Nao si troverà in una situazione che mai avrebbe immaginato.

“Il portone di casa mia era socchiuso, e attraverso quello spiraglio scorsi gente che si affaccendava in cortile: che avessero saputo del mio ritorno? Mi rivolsi ai demoni soldati:

Fratelli, grazie del disturbo!

Vidi un sorriso sornione sulle loro facce blu (..). Mi ritrovai in una penombra giallastra, come fossi sott’acqua; un grido esultante risuonò improvviso nelle mie orecchie:

È nato!

Spalancai gli occhi e vidi il mio corpo coperto di un liquido appiccicoso, disteso dietro le chiappe di un’asina.”

È nato Nero, l’asino, la prima delle reincarnazioni di Ximen Nao che, avendo solo finto, al momento di uscire dal regno dei morti, di bere la pozione che avrebbe dissolto la sua memoria di una vita precedente, tutto ricorda e dei ricordi è preda attraverso tutte le sue reincarnazioni, che avverranno sempre dentro la sua famiglia di origine, o per meglio dire nella casa che era stata la sua e nella vita di quel cortile e di quel paese, in affiancamento ad uno dei suoi più o meno diretti discendenti.

Le reincarnazioni proseguiranno, fino al ritorno al mondo umano, in chiusura, nelle vesti dello strano bambino Lan Qiansui, che “il giorno del suo quinto compleanno, (…) chiamò il mio amico e, con l’aria di qualcuno che sta per mettersi a recitare un romanzo, gli disse:

Inizierò a raccontare la mia storia dal primo gennaio 1950…”

La storia avrà quale protagonista il contadino Làn Lian (Faccia blu), un uomo al servizio di Ximen Nao che, dopo la morte di quest’ultimo, ne sposerà la concubina,  Yungchun, dando inizio a una vicenda lunga tre generazioni, e a nuovi protagonisti, ai quali si affiancherà, devotamente, una delle reincarnazioni del vecchio padrone, voce narrante, nelle sue nuove spoglie, di sé e della storia della comunità, lungo tutta la vicenda della Cina moderna, dalla rivoluzione all’attuale, vogliamo chiamarlo revisionismo? – diciamo nuovo assetto di combine con il mondo capitalista. Un assetto di cui, involontariamente, Làn Lian, sarà stato profeta e precursore; egli che, brutto, dalla faccia segnata da una voglia di color blu che ne ricopre una metà (e blu sono i servitori di Re Yama, nel mondo dei morti), avendo avuto assegnato un piccolo pezzo di terra dal Presidente Mao, dice lui, rifiuta di entrare nella cooperativa in cui è organizzata la proprietà comune della terra.

Làn Lian proseguirà la sua attività come lavoratore in proprio, amando il Presidente Mao e facendosi forza delle sue parole secondo le quali nessuno doveva essere costretto, ma solo invitato, a entrare nel collettivo.

Làn Lian vivrà emarginato, quando non peggio, dalla comunità, che tuttavia non riuscirà ad aver ragione della sua presa di posizione.

Una grande saga, dove tutto è realtà, e della realtà ha la fantasia, la brutalità, la violenza, la bellezza e i sogni.

Dove scoppiano i fuochi d’artificio, senza che necessariamente, o non del tutto, ci sia una festa; dove piovono anatre – ma il fatto ha una sua spiegazione, anche se ne vengono fornite versioni diverse. Dove nessuna rivoluzione consentirà mai di mancare ai doveri verso la famiglia; dove tuttavia l’amore travolge la vita come avviene ovunque; dove non c’è alcuna difficoltà a far convivere le fedi tradizionali con il nuovo ordine, e ad ogni problema è possibile trovare un accomodamento, magari, come sempre avviene, con qualche brutalità di passaggio.

Poi, che la vita sia bella, difficile, faticosa, fantasiosa, sempre, è cosa nota.