I blog degli altri

Leggere, scrivere, far di conto. Di quali altri strumenti abbiamo bisogno, in effetti, per condurre la nostra vita? Estendiamoli pure ma, all’osso, di questo si tratta: di saper prendere in noi, ascoltando, leggendo, le vite degli altri, le conoscenze, il pensiero, il “mondo” in cui ci troviamo “gettati”, nel quale, scambiando relazioni, costruiamo il nostro essere un discorso: che è tutto ciò che siamo, tutto ciò che esiste alla voce “Io”. E non è poco.

L’altra faccia di questa costruzione ci chiede di restituire ciò che abbiamo raccolto, nella relazione agli altri, pena la caduta del discorso che ognuno di noi è. Ascoltare e parlare, dunque, leggere e scrivere, condividendo uno sguardo che si va costruendo e, insieme, costruisce il significato di quell’<altro da noi>, fuori di noi, di cui siamo parte: il mondo, la realtà fattuale che, abitandola, trasformiamo, che condividiamo nella corresponsabilità, di ognuno per e con tutti.

Un paradosso? No. Solo il modo, il movimento, della relazione in cui consiste l’esistere, ponendo tutto ciò che è “altro da noi” nei termini di <mondo>, di cui il nostro prossimo, con tutto ciò che ci circonda, è parte, così come lo siamo noi per lui.

Lo strumento per fare questo, per vivere, è il linguaggio attraverso cui prende forma la struttura di questa relazione: noi ascoltiamo e parliamo, leggiamo e scriviamo. E facciamo di conto, che è ancora una modalità fondamentale del linguaggio.

Torna alla mente la domanda genialmente posta da Gregory Bateson, a se stesso e a noi, quando si chiedeva e ci chiedeva:

Quale struttura connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei noi con l’ameba da una parte e con lo schizofrenico dall’altra?[i]  Non si sarebbe potuto porla meglio di così.  Sta tutto qui, nella relazione tra le parti, nella “struttura che connette” le parti: in un linguaggio.

Possiamo utilizzare un’altra struttura: “In principio era il Discorso, la Parola, ed era presso Dio, ed era Dio”.  Senza alcuna blasfemia, solo tradotto un po’ laicamente – posto che vi sia sostanziale differenza.

Strano a dirsi ma questo sproloquio (non proprio, non del tutto tale, spero) segue alla domanda – ne abbiamo chiacchierato poco tempo fa – sulle biblioteche degli altri; sulle letture degli altri, e sulla scrittura che vi si lega: questa, la nostra, che condividiamo nello scambio.

Un passo, piccolo, verso la domanda su cosa porta <noi> blogger (mi sento a disagio nell’usare quel <noi> ma lo faccio ugualmente) ad operare.

Riprendo il filo del pensiero, se ci riuscirò – o meglio, provo a lasciarlo andare per la sua strada: di solito così facendo mi trovo ad una meta: ed è sempre sorpresa, per la verità, cui rimedio dicendomi che, guarda un po’, era proprio quello il luogo a cui desideravo arrivare, oppure che, senza idea alcuna di dove sarei finita, eccomi ad un punto, a qualcosa che somiglia ad un arrivo di tappa. Da dove sarà possibile guardarsi intorno, una forma di riposo attivo.

Si legge e si scrive, dunque. Lo facciamo tutti, non potendo sfuggire alla nostra natura “discorsiva” – vale anche per coloro che (credono di) non leggere e non scrivere e che, anzi, magari pure se ne vantano (non hanno tempo da perdere, hanno cose importanti da “fare”) e, così credendo, “leggono” erroneamente se stessi, le proprie relazioni e il mondo che condividono con ogni altro; e “scrivono”, restituiscono ciò che leggono del e sul mondo e sul proprio stare in relazione, in modo sgrammaticato, dis-ordinando l’uno e l’altro. Perché è impossibile non ascoltare e non parlare, non leggere e non scrivere, nei tanti modi in cui questo fare si declina, certo. “È impossibile non comunicare“[ii]  come è stato autorevolmente detto. Ed è impossibile, per questa via, non contribuire a dare forma al “mondo”.

E i blogger? Che fanno parte di coloro che scrivono, in uno speciale modo fondato sulla condivisione e sulla restituzione di ciò che leggono – dove ogni lettura proposta è esclusione di altre infinite possibili, è indicazione che propone uno sguardo, è scelta, che ha a che fare con un tempo di vita e un percorso singolari nell’universale?

Strano modo della scrittura, in posizione meta-, dove la scrittura parla della scrittura e, nel contempo, parla di chi scrive e di chi legge e, per l’appunto, di un tempo un luogo un’età da condividere – o forse, meglio, da estendere e sottrarre al tempo storico e al nostro individuale tempo dentro la storia, come accade per i libri che leggiamo, e che ne prescindono.

Libri antichi, libri moderni, contemporanei, storie senza tempo e indagini su cose, fatti, pensieri; libri che costruiscono una catena temporale altra, un diverso ubi consistam che non potrà sottrarsi al trascorrere dei giorni, che neppure lo contrasterà, trasformandolo tuttavia in un diverso “discorso”, in un mondo altro, in un modo della vita che trascende, senza negarla, la individuale immanenza dell’essere nel mondo di ognuno. Ecco, è ancora <la struttura che connette>, una diversa struttura, che dà forma a un mondo altro: parallelo? Non credo, no. Tutto si tiene, immagino. Come in un fantasy, reale (ma cosa vorrà dire mai?) a patto che lo si accolga come parte del discorso.

Il fatto è che mi sto intestardendo nella ricerca di parole che non trovo per dire qualcosa che, oggi, qui, sento importante (per me), nel bisogno di condividerlo; per misurarne un modo della realtà.

Nel frattempo, leggo restituzioni di libri interessanti, che premono all’uscio, ristretto, dello scorrere del mio tempo immanente, nel mondo dei miei giorni costretto da un sentiero angusto, dove i fatti, gli incontri, ogni evento, è richiesto di scorrere in fila ordinata, da un prima a un poi, e via uno via due via tre.

Libri spingono, premono per passare, calpestano altri libri; insieme a libri dal carattere timido, o invece sornione, che sanno come vanno le cose e un po’, forse, a torto o a ragione presumono di sé. Sono quelli che, nel momento in cui altri si distraggono, impegnati nella lotta per la supremazia, sanno cogliere il varco, mentre nessuno se ne accorge. Par di sentirla, la risatina soddisfatta.

Occorre dire buoni! State in fila! C’è posto per tutti! Uno alla volta, massimo due e no, questo non è il tuo turno, sta al tuo posto. Dopo, dopo! Hai un appuntamento? No? E allora ecco là, devi passare all’altra fila, lo vedi il cartello? C’è scritto “Wishlist”.

Non sai l’inglese? Male! Va bene, per questa volta: “Lista dei desideri”. Come? Te ne vai? Troppo da attendere, dici? Che ci posso fare!

Lontano, in un angolo, facendo attenzione, si ode una voce che ridaccchia, voce conosciuta. Certo, è il professor Umberto Eco – si trova tra quelli che non spingono, che sanno come, tra i litiganti, lo spazio per entrare, lui, lo troverà sempre. La sua voce dice dei libri che non si sono mai letti ma, possedendoli, prendendoli in mano, è quasi “come se”.

Chi lo sa se questa cosa funziona, oltre che attraverso il possesso fisico del libro non letto, anche utilizzando le recensioni che si leggono, attraverso la condivisione colloquiale delle letture altrui? Chissà se varrà per tutti i libri che non riusciremo mai a leggere ma di cui abbiamo ascoltato. Sappiamo bene, tutti, che la lista dei desideri non sarà mai esaurita; per non dire di quell’altra, tremenda lista dove, in fila ordinata – loro no, non spingono, al massimo ti guardano male mentre ostentatamente, con fatica, li ignori – stanno tutti quei libri che <dovresti> assolutamente leggere, quelli che, come diceva italo Calvino “Hai Sempre Fatto Finta D’averli Letti Mentre Sarebbe Ora Ti Decidessi A Leggerli Davvero.”(qui)

I blog degli altri. Una miniera. Che mi consente, ed è cosa pregevole, di conoscere l’esistenza di libri interessanti, talvolta importanti (per loro natura e/o per me, nel momento dato) tra cui scegliere, venendo utilmente e piacevolmente orientata nella lettura.

I blog degli altri: che consentono pure di fare <come se>. Un modo per poter dire a te stessa che – ancora Italo Calvino, “È Quasi Come Se Li Avessi Letti Anche Tu”.

Non saranno infatti più, per te, degli sconosciuti. Prima o poi, magari, ci si incontrerà. Nel frattempo, sentiamo di essere, se non veri amici, dei buoni conoscenti. Anche il solo conoscerci, così, è piacevole. È un piccolo risarcimento dall’insopportabilità del limite.

C’è quel posto, sai, un blog, ci si incontra gente davvero interessante!

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[i] Gregory Bateson, “Mente e natura”, Adelphi 1984 pag. 21

[ii] Watzlawick, P., Beavin, J.H., Jackson, D.D. (1967). “Pragmatica della comunicazione umana“. Astrolabio, 1971.