Alla ricerca di un personaggio e di un tempo: qualcosa su Curzio Malaparte

Il 19 luglio scorso sono stati sessant’anni dalla morte di Curzio Malaparte.

Mentre leggo “Maledetti toscani”, oscillo – mi piace, mi irrita, mi diverte, mi affascina (dio mio, il linguaggio! Quest’uomo danza con le parole! Non gli manca certo lo scilinguagnolo!). Ora ne sono certa: è un grande, che ha fatto dell’esser antipatico il proprio marchio, a tal punto da risultare, a proprio grande scorno, sommamente attrattivo. Talora avviene che si distragga dal proprio obiettivo, e gli scappa di mano la poesia. Quanto alla scrittura: pare ci sia nato, con parole in bocca e in punta di penna. E tuttavia, cos’è quel qualcosa che…?

Dev’essere il fatto che lui è lui; il fatto che – posso dirlo solo di questo libro in corso di lettura, ma credo sia così – egli sovrasta ciò che scrive, è uno di quelli che non stai a sentire per ciò di cui parlano, per le storie che raccontano; stai a sentire loro, possono raccontare quel che vogliono, fa lo stesso. Per scoprire, solo poi, che ciò di cui parlano è importante.

Il fatto è che, mentre leggo, non mi trattengo dall’andar scovando cose di lui, e godo – il termine non è eccessivo, credete – dello scoprire di lui, del suo tempo, delle sue, più o meno tali, avventure, magari anche niente di che, ma vuoi mettere il divertimento.

Dentro una vita, pure breve, in cui non ci sarebbe, in verità, nulla che giustifichi il riso, c’è uno che ironizza, favoleggia, ricama, sbruffoneggia.

Non è una buona cosa, per chi legge, essere attratti più dal personaggio dell’autore che dall’opera, di cui infatti qui non potrò parlare; e perdersi, in corso di lettura, per andare a cercare chi era costui. Pure, con questo autore, questa cosa ci sta tutta; difficile separare l’uomo e la sua scrittura, non foss’altro per riguardo verso uno che ha tanto lavorato alla propria immagine – senza neppure saperlo, può essere: gli veniva bene.

Detto così, detto per ora, da queste poche pagine in lettura, ci sono, per l’appunto, queste pagine, c’è la sua scrittura in cui la sua personalità ha avuto, quale insopprimibile bisogno, l’emergere – forse anche per poter dire le cose che ha detto, bastian contrario ad ogni costo e, a suo modo, di una cattiveria limpida e sincera, nelle sue scelte: quelle giuste (ci saranno state, immagino), quelle sbagliate e quelle confuse.

E mi chiedo: cosa sarà della sua scrittura quando il tempo avrà trascritto la cronaca dei suoi anni in storia, e gli animi si saranno placati, definitivamente; quando il “personaggio” che sceglie di recitare una “mala parte” non parlerà più, giornalisticamente, mi vien da dire, a gente che <sa> di cosa parla?

La verità è che mi sto preparando, a distanza di oltre cinquant’anni, a rileggere “Kaputt”, e “La pelle” – forse, solo forse – e intanto prendo le misure all’uomo, nel suo tempo di vita. Ci giro intorno; e chissà che qualcun altro non legga questi libri per me – ammetto una mia qualche “malafede”, da opporre a una “malaparte” che sto recitando.

Kurt Erich Suckert – il nome d’arte Curzio Malaparte, nascerà poi (e anche qui ci sarebbe una storia), con il formarsi della sua carriera di scrittore – nasce il 9 giugno del 1898 a Prato, da padre tedesco e madre italiana. Ha sedici anni nel 1914 e, poiché l’Italia non è ancora entrata in guerra, si arruola volontario, per combattere in favore della Francia, nella “Legione garibaldina”.[i]

E già il carattere del nostro si è rivelato. Leggendo di questa storia, un pensiero mi ha attraversato il cranio – subito cacciato (che razza di pensieri! Ridete pure): “Ma la sua mamma e il suo papà glielo hanno lasciato fare? Se era mio, lo massacravo di schiaffi”. Ho subito respinto i deliri mammoni, ma mi par giusto confessare.

In breve: Il giovane Kurt, di ritorno dalla guerra, combattuta nell’esercito italiano, in cui è stato inquadrato nel ’15, scrive un libro, “Viva Caporetto!”, che pubblicherà in proprio, ottenendone l’immediato ritiro con l’accusa di vilipendio delle Forze Armate. Difficile, nel ’21, far passare un’esaltazione della sconfitta di Caporetto: ma basterà cambiar titolo, e il libro sarà ripubblicato: “La rivolta dei santi maledetti”.

In seguito, il simpatizzante anarchico, poi repubblicano, Kurt, divenuto Curzio Malaparte, si innamorerà di Benito Mussolini, parteciperà alla Marcia su Roma e finirà per iscriversi al PNF. Sarà un entusiasta della prima ora, tra i firmatari, nel 25, del “Manifesto degli intellettuali fascisti” di Giovanni Gentile.

Perfetto: salvo iniziare subito a cambiare idea. Nel contempo, caro amico di Piero Gobetti, che scriverà la prefazione al suo libro “Italia barbara”, nel ’31, a conclusione di un percorso, tutto fuorché silenzioso, di allontanamento dal partito fascista, pubblicherà in francese “Technique du coup d’etat”, contro Hitler e Mussolini.

Il libro gli costerà il confino, seguito naturalmente dall’espulsione dal Partito Fascista. Riemergerà a una libertà (immagino sorvegliata) per opera di Galeazzo Ciano, suo amico, la cui fine è nota, ottenendo anche di lavorare al Corriere della Sera (sua firma, “Candido”, essendogli proibita la firma con il proprio nome).

E poi e poi. Costruirà, nel 1936, la sua bella villa a Capri, opera dell’architetto Adalberto Libera (con cui tuttavia, forse, Malaparte litigò finendo per costruire su di un progetto proprio: storia da indagare meglio, interessante). Nel frattempo, era fissata la data del suo matrimonio con Virginia Bourbon Del Monte, vedova di Edoardo Agnelli, madre di Gianni Agnelli, cui dovette rinunciare per la strenua opposizione del (non divenuto) suocero, Giovanni Agnelli, che minacciò, e inizialmente ottenne, di togliere alla nuora, se avesse sposato Curzio Malaparte, la potestà sui figli. Motivo dell’opposizione fu il fatto che Malaparte era inviso al regime fascista.

Personaggio interessante, Virginia Bourbon Del Monte: americana per parte di madre, fu lei che organizzò l’incontro tra Papa Pacelli, il generale Karl Wolff, comandante delle SS del Nord Italia per trattare la ritirata ordinata delle truppe tedesche da Roma, riuscendo, in tale occasione, anche a far liberare dalla prigione di Via Tasso l’allora partigiano Giuliano Vassalli.

La guerra non era ancora finita, ma già vi era un mondo da ricostruire, anche per il nostro, affetto da problemi di salute (tubercolotico, diceva di lui il regime; malato in conseguenza di un’intossicazione di iprite che lo aveva colpito nel corso della prima guerra mondiale, parrebbe).

Divenne giornalista del quotidiano “Il Tempo”, fondato nel maggio del 1944, che pubblicò il suo primo numero il cinque giugno 1944, giorno in cui le truppe angloamericane entrarono in città, direttore e fondatore Renato Angiolillo. “Il Tempo” aveva raccolto nella sua redazione firme prestigiose: Corrado Alvaro, Massimo Bontempelli, Vitaliano Brancati, Mario Praz, Alberto Moravia, Guido Piovene e altri, tra cui Curzio Malaparte, nella redazione culturale condotta da Enrico Falqui.[ii]

“Il Tempo” divenne rapidamente un giornale di primaria importanza, anche perché molta parte della stampa italiana era stata sospesa in quanto collusa con il passato regime – dovendo dire come anche la pubblicazione de “Il Tempo” sia stata fermata, dopo due soli numeri, in quanto portava, nel sottotitolo, la dicitura “Quotidiano socialdemocratico”, per tornare rapidamente in edicola, con il permesso americano, con il sottotitolo “Quotidiano Indipendente”.

Nel corso della sua attività giornalistica, è da segnalare l’intervista che ottenne da Mao Zedong nel 1957, e che suscitò l’invidia mai sopita di Indro Montanelli, altro toscano dalla lingua biforcuta, nemico, se non personale (chissà) sicuramente professionale. Ed è divertente il racconto che Massimo Fini farà, in un suo articolo, su come Montanelli, ormai vecchio e malato, abbia inventato, parlando con lui, una propria intervista a Adolf Hitler, per pareggiare i conti; e di come Malaparte, malato di tumore, sul letto di morte, a soli cinquantanove anni, inveisse “No, non posso morire prima di Montanelli!”[iii]

Il nostro finì per avvicinarsi al PCI, che lo accolse, lo respinse, non lo iscrisse (credo), lo apprezzò, mah!, e dove trovò tuttavia l’amicizia e la stima di due personaggi diversi tra loro come Giorgio Napolitano e Palmiro Togliatti; sempre risultando scomodo e anomalo: in un ‘Italia dove praticamente tutti si sono riciclati, lui non ci riusciva proprio a non far parte per sé.[iv]

Curzio Malaparte è appartenuto ad una generazione che, diciamo, non si è fatta mancare nulla; che ha contato, tra le proprie fila, un grande numero di personalità eccezionali – esistono tempi che favoriscono, nel bene e nel male, l’emergere di qualità umane peculiari, che non sanno evitare di prender parte e pagarne il prezzo.

Lo scrittore: dovrò conoscerlo meglio, è certo, e non dovrei confonderlo con la sua vita.

Sarà possibile? A torto o a ragione, è stato un interprete del suo tempo e, certamente, una porta d’accesso capace, forse, di restituirci, di quegli anni, un’immagine meno piatta di quanto l’iconografia ufficiale abbia fin qui proposto. Cosa, questa, che, nella sua partigianeria caratteriale, non avrebbe probabilmente immaginato.

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[i] Anche questa una gran bella storia: la “legione garibaldina” fu creata da tale Peppino Garibaldi (nipote di Giuseppe Garibaldi, rivoluzionario, come il nonno, in diverse parti del mondo con il padre Ricciotti Garibaldi, figlio minore di Giuseppe e di Anita, rivoluzionario a sua volta, sempre in giro per il mondo, a fianco del padre Giuseppe). Era composta da italiani e inquadrata nella Legione Straniera francese. Nelle sue fila, combatterono, nel primo anno di guerra, giovani repubblicani, mazziniani, ferventi interventisti. Una storia molto interessante quella di Peppino, per non dire di quella di Ricciotto e dei suoi fratelli (qui):  http://www.cinquantamila.it/storyTellerThread.php?threadId=GARIBALDI+Peppino). Non la conoscevo. Né conoscevo il fatto che il nostro eroe dei due mondi avesse trascinato figli e nipoti, a loro volta in giro per il mondo a fare i rivoluzionari, fin quasi ai tempi nostri (Peppino Garibaldi è morto nel 1950). Non posso, ora, seguire questa storia ma fatico a lasciarla e non deviare.

[ii] Fonte Wikipedia

[iii] (qui)

[iv] (qui)