Il cagnolino rise

John Fante, “Chiedi alla polvere”, Einaudi 2016

Traduzione di Maria Giulia Castagnone

Introduzione di Alessandro Baricco

 

Nessuna possibilità. Dico davvero. Non avrò alcuna possibilità di dire qualcosa di questo libro. Non è un libro: è un pezzo di vita e ogni parola è quel momento lì, quel sentimento, quel fatto, quella rabbia; felicità, senso di colpa, dolore, angoscia, bellezza vissuta e allegria; fiducia, totale, in sé e nel mondo; piacere di vivere. Ogni parola non potrebbe essere altro che quella, nessun sostituto possibile e impossibile ogni altro ritmo.

Potrò solo parlare di emozioni.

Sono incredula avendo, finalmente, incontrato John Fante. Felice e incredula di aver incontrato un autore che avrebbe dovuto esser impossibile non aver mai letto. Di cui ora dovrò leggere tutto, ma proprio tutto.

Parlando dei racconti di John Fante e di questo libro Charles Bukowski, suo grandissimo estimatore, ha detto che sono “scritti con le viscere e per le viscere, con il cuore e per il cuore”[i]

Chiedi alla polvere”: Un libro di cui non si può Parlare, lo si può solamente Leggere: lasciando parlare il libro e ascoltando, vedendo, annusando, toccando cose e esperienze. Dentro ogni parola, ma proprio dentro ognuna, ci sono la vita, del protagonista e dei suoi “personaggi”, anche se risulterà arduo chiamarli tali e non semplicemente per nome; c’è la vita dei passanti, che il protagonista incontra, che osserva; con cui, avendoli osservati, è già entrato in rapporto: lui – Arturo Bandini, alter ego dell’autore – è fatto così, è uno che crea legami e poco importa se reali o frutto di fantasia; saranno, tutti, reali e importanti; produttivi di effetti sulla sua vita e sulla sua scrittura, sulle vite che ci restituirà. Saranno rapporti dotati di calore, odio amore odio amore, niente mai sentimenti blandi, e tuttavia sempre sentimenti pronti a cambiare verso, che diverranno esperienze, pronte ad essere travasate sulla pagina.

C’è il quartiere, c’è quella vetrina, c’è una folata di vento; c’è quella palma stenta e incatramata di smog: e ogni cosa diviene pietra angolare su cui costruire una relazione e una storia. Un racconto.

Questo è sicuramente un romanzo. È sicuramente una parte (la terza, in effetti) di una autobiografia.

Il luogo: Los Angeles, anni trenta.

John Fante

Lui, l’autore-narratore, è Arturo Bandini, e il libro è un romanzo ed è lui, che gira per il vecchio quartiere di Bunker Hill portando con sé la rivista dov’è pubblicato il suo primo racconto, “Il cagnolino rise”, storia in cui non c’è alcun cagnolino, men che mai che ride; lui che osserva, prende parte alla vita dei luoghi, vive incontri, si pone domande in cui mette dentro tutto, proprio tutto ciò che ingarbuglia la vita di un ragazzo di vent’anni, una vita faticosa difficile e fiduciosamente scelta: nella grande città dove tutto sarà possibile, lontano dalla  famiglia, madre e padre, rimasti al paese; una stanza, in un hotel tenuto da una vedova cui deve mesi di arretrati, nel quartiere di Bunker Hill insieme devastato e ricco di luoghi e di vite intense, dolorose e allegre.

Vi è pure il caso di veder scendere da un’auto, davanti al portiere gallonato di un Hotel  una donna, ed era bella, portava una pelliccia di volpe argentata e quando attraversò il marciapiede  e varcò le porte girevoli fu come una musica.”

“Cosa non darei per godermela un po’ pensai, mi basterebbe un giorno e una notte, ma proseguii e lei non fu più che un sogno mentre il suo profumo indugiava nell’aria umida del mattino”.

La passeggiata e la vita continuano.

 Mi incantai davanti alla vetrina di un negozio di pipe e ci rimasi un sacco di tempo mentre il mondo intero spariva ad eccezione di quella vetrina e delle pipe. Le fumai una per una, immaginando di essere un grande scrittore e di scendere da una grossa auto nera con un’elegante pipa di radica in bocca e in mano un bastone da passeggio, seguito dalla donna con la volpe argentata, visibilmente orgogliosa di me.

Finché una storia non raccoglie tutte le altre – le fantasie, i progetti, l’amore e l’odio . condensando, nella relazione a sé, la storia del grande scrittore e del ragazzo dall’educazione cattolica alle prese con il bisogno, il desiderio, l’inesperienza  e il peccato; con l’ateismo che incombe ma fa lo stesso, c’è la mamma, al paese, che aspetta le sue lettere ed è contenta di sapere che va a messa (anche se il motivo è unicamente la possibilità di guardare le ragazze, fingere di urtarle inavvertitamente, scusarsi con gentilezza, e loro tanto contente di un giovanotto così compito), e lui non crede, non sa bene se crede più, ma quando le cose si fanno difficili ecco il bisogno di pregare, una risorsa.

Pregai; certo, pregai. Per ragioni sentimentali. Dio Onnipotente, mi dispiace di essere diventato ateo, ma hai mai letto Nietzsche? Ah, che libro! Dio Onnipotente, voglio essere onesto. Ti farò una proposta. Fai di me un grande scrittore e io tornerò alla Chiesa. A proposito, Signore, devo chiederti un altro favore: fa’ in modo che mia madre sia felice. Del vecchio non mi interessa; lui ha il suo vino e la sua salute, ma mia madre si tormenta sempre. Amen.”

Ed ecco comparire Camilla Lopez, la giovane cameriera ispanoamericana del bar, una ventenne alta e dritta, che non era bella ma quando camminava, servendo i clienti, danzava.

C’è la storia di un’altra donna, Vera Rivken. Storia a sé. Storia importante, centrale, personaggio che appare, e scompare, potente e concluso in sé.

Il romanzo si chiude con un “Prologo” – che avrebbe dovuto stare in apertura del libro ma che l’editore scelse di porre alla fine perché non era certo utile premettere, in apertura del romanzo, la storia e la sua conclusione –  in cui John Fante, sempre nelle vesti di Arturo Bandini, ci parla ancora di questo libro e di quei suoi vent’anni, della storia di Camilla, che ha amato tanto mentre lei amava un altro che non la voleva. Mentre Arturo continuava a tentare di prendersi cura di lei. E a tentare di farci all’amore.

Ci sono altre storie, altre vite, in queste pagine, racconti a sé e pennellate al quadro, inattesi punti di luce: non una potrebbe mancare.

C’è “il pittoresco, il bizzarro e il bello”. C’è un amore, intenso fino a far male, per la gente –  ma anche per i topi che abitavano la sua stanza all’Hotel, storia che a un certo punto ha dovuto finire perché “si erano affezionati troppo e un giorno salirono fin sopra il mio letto e si sistemarono sui miei piedi, eravamo grandi amici però, cavolo, si moltiplicavano come cinesi e la stanza era troppo piccola.

C’è una scrittura particolare, capace di cambiare timbro e ritmo svariando dal soliloquio, dal pensiero tra sé e sé che non chiede coerenza e può, deve, compiere bellissimi salti logici, alla descrizione del luogo, a chiazze improvvise di colore – o del multiforme grigiore della polvere – allo schizzo del tipo umano, mai, proprio mai, folla indifferenziata, ogni personaggio ma anche ogni figura di sfondo, una frase ed eccolo, eccola; ai dialoghi, scritti con tecnica magistrale che il lettore non sentirà il bisogno di cogliere, ammirare, che si limiterà a godere.

 “L’ho intitolato Chiedi alla polvere, perché in quelle strade c’è la polvere dell’Est e del Middle West, ed è una polvere da cui non cresce nulla, una cultura senza radici, una frenetica ricerca del riparo, la furia cieca di un popolo perso e senza speranza alle prese con la ricerca affannosa di una pace che non potrà mai raggiungere. E c’è una ragazza ingannata dall’idea che felici fossero quelli che si affannavano, e voleva essere dei loro.”

Questo romanzo è il terzo, della serie autobiografia di Arturo Bandini, ed è uscito nel 1939.  Preceduto da “Aspetta primavera Bandini” e “La strada per Los Angeles”, si concluderà con “Sogni di Bunker Hill”, storico quartiere del centro di Los Angeles, ora totalmente cambiato: abbattuti i vecchi edifici vittoriani, spianata la collina, il quartiere è divenuto una moderna area di grattacieli.

Questo romanzo – e forse, non li ho ancora letti, ma credo di poter dire “questi romanzi” – costituisce, anche, la memoria dell’anima originale di una città, nelle parole della sua polvere, la memoria di un popolazione “vecchia e prossima a diventare polvere essa stessa, lì lì per morire, quelli nel cui sangue c’è la polvere dell’Indiana e dell’Ohio e dell’Illinois e dello Iowa, che saranno polvere e moriranno senza radici.”

Un luogo, un libro, che esplode tutta la forza – con la disperazione e la felicità e l’onnipotenza – della giovinezza.

 

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[i] https://ilmestierediscrivere.wordpress.com/2011/12/20/charles-bukowski-chiedi-alla-polvere-di-john-fante/