La nuova traduzione di un libro molto amato: una attesa poco edificante

È il momento, credo, di aggiornare un mio vecchio post, datato 8 maggio 2018, in cui commentavo l’attesa di una nuova traduzione, uscita prevista per ottobre-novembre 2018, a cura di Ottavio Fatica, di “La compagnia dell’Anello. Il signore degli anelli”, per la casa editrice Bompiani. (qui: ).

La notizia era apparsa su «Robinson», inserto culturale del quotidiano La Repubblica, nonché sul sito dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani e segnatamente in un’intervista rilasciata dallo stesso Ottavio Fatica a Loredana Lipperini.

Ora, novembre è trascorso, così pure dicembre, e gennaio del nuovo anno se ne sta andando mentre io, in questo tempo, ad ogni accesso in librerie diverse, chiedevo: ci sono notizie di…su…?

Vorrei raccontare, dunque, la storia di quest’attesa – per giungere ad alcune nuove in merito, non precisamente edificanti. Confido nella vostra pazienza, se riterrete sia il caso.  Il fatto è che la particolare storia di questa attesa nuova traduzione, ci dice, temo, qualcosa sul clima culturale cui sono affidate, a casa nostra, le sorti di un libro. Ed ecco quanto.

Inizialmente, si è trattato, per me, di nulla più di un’ansia da desiderio: un ritardo, per un’operazione di questa fatta, ci poteva stare. Qualcosa, tuttavia, in questo ritardo, mi rendeva perplessa: la reazione dei librai alle mie domande sulla prevista prossima uscita ricevevano, regolarmente, una non-risposta; ne ricavavo, sempre, un’interlocuzione, per così dire, tra l’imbarazzato e il perplesso: il libraio-vittima di turno pareva trovarsi di fronte a una domanda di cui non gli era immediatamente chiaro il significato. Ed io mi trovavo nella posizione di chi aveva fatto una domanda non decodificabile.

L’imbarazzo, a questo punto, ricadeva su di me: dovevo aver posto male la domanda. Cercavo dunque, nel mio miglior tono di scusa, di chiarire: mi scusi ma, fin dalla scorsa primavera, al Salone di Torino, e non solo, era stata annunciata, per ottobre-novembre, l’uscita di una nuova traduzione, a cura di Ottavio Fatica, di…”

Altra risposta imbarazzata: nessuno ne aveva notizia. Chiaro: non ho interpellato decine di librai, ma almeno quattro o cinque sì; in alcuni casi, più di una volta. “Nessuna notizia di…?”: Il copione perplessità-imbarazzo si ripeteva.

Peraltro, anche il sito della Bompiani non ne parlava: grande enfasi su nuove opere di Tolkien in uscita, ma zero via zero su questa nuova traduzione.

Nel corso dell’ultima chiacchierata con un libraio di lungo percorso e grande esperienza, cui ho, questa volta sì, spiegato dall’inizio il busillis, ho potuto concordare, finalmente senza problemi di comunicazione, sul fatto che, non essendovi, ad oggi, notizie su questa nuova uscita, è praticamente certo che non la si potrà avere a brevissimo, non foss’altro perché, di regola, come tutti ben sappiamo, i libri non escono a cadenza casuale bensì, in periodi, più o meno estesi ma regolari, nel corso dell’anno: vogliamo dire stagionalmente?

Delusione. Con qualche incredulità, perché si ha un bel dire ma, nell’intervista a Loredana Lipperini, Ottavio Fatica ha creato non solo una eccezionale attesa ma l’ha pure rafforzata con giudizi francamente poco eleganti (ed è il meno che si possa dire) di squalifica della traduzione di Vittoria Alliata che da cinquant’anni o giù di lì permane la sola e unica traduzione italiana di questo capolavoro.

Le fortune del libro sono state, in Italia, alterne e tuttavia la traduzione Alliata aveva sempre goduto di un unanime, o quantomeno non discusso, giudizio positivo, se non altro in forza dell’approvazione dell’autore.

In ogni modo, occorreva farsene una ragione. Da parte mia, me la sono fatta trascorrendo un pomeriggio a leggiucchiare pezzi e brani sparsi di “Il Signore degli anelli”: una piccola rimpatriata, riflettendo sull’esigenza di riparlarne. Dopotutto, per i miei “venticinque lettori” (sempre godibile scimmiottare Alessandro Manzoni) avevo anch’io contribuito, dal mio piccolissimo angolino, a creare un’attesa: giustificata e tuttavia fallace.

Senonché, in questi ultimi giorni, fioccano nuove: non, purtroppo, su di una prossima uscita di questa nuova traduzione, bensì su una serie di conflittualità che, non avendo, direi, nulla a che fare con una qualità del testo, sono davvero poco edificanti.

E siamo ad oggi.

Sorpresa. C’è una notizia. Indiretta, ma pur sempre una notizia. La trovo su un quotidiano che non si colloca tra le mie letture elettive, ma che non trascuro essendo fermamente convinta della necessità di leggere, per quanto possibile, <tutto> ciò che la <libera stampa> quotidiana nel nostro Paese pubblica; quantomeno di massima.

Il giornale”, in data domenica 13.01, pubblica, nella sua pagina culturale, un articolo, a firma Oronzo Cilli, dal titolo: “Giù le mani da Tolkien. Sì alla poesia, no all’ideologiada dove ricavo la notizia secondo cui Vittoria Alliata ha querelato Ottavio Fatica per quanto da lui detto della sua traduzione. (qui)

Cito, dall’articolo, la precisa domanda dell’intervistatore:

Roma 16 novembre 2010.
Vittoria Alliata, giornalista, scrittrice e traduttrice per l’edizione italiana dello scrittore Tolkien. Tra i suoi libri -Harem, memorie d’Arabia di una nobildonna siciliana- edito da Garzanti.
Nella foto: Vittoria Alliata ritratta a Villa Borghese.
Foto: RINO BIANCHI

Ottavio Fatica ha dichiarato a Repubblica che la tua traduzione è «un’avventura improvvisata»: conterrebbe «500 errori a pagina per 1.500 pagine». E come esempio cita «un curioso stilema: raddoppia gli aggettivi. Placido e tranquillo, rapido e veloce, misero e magro… diventa una parafrasi, decisamente brutta».

A questo punto, cerco conferme della notizia: e le trovo. Ma non solo.

Ciò che trovo è una, o più, improbabili dispute tra “intellettuali”, che definirei in preda ad acuta autoreferenzialità, a spese dei libri di cui pretendono di occuparsi con voce qualificata.

Difficile districarsi. Seleziono alcuni esempi. Ci sono, in un articolo pubblicato già il 24 ottobre 2018, Franco Cardini, “Il caso (di F. Cardini). Il ‘pasticciaccio’ delle traduzioni, storie di opposti tolkenismi”. (qui) 

C’è Gabriele Marconi (qui) dove si riferisce di un – come chiamarlo: veto? – su di un incontro, programmato presso un circolo ARCI di Bologna, con due autori (Gianluca Comastri e Giovanni Carmine Costabile) per la presentazioni di loro lavori sull’opera di Tolkien; veto che sarebbe stato emesso da Federico Guglielmi (Wu Ming 4), tolkienista militante, “per addotti motivi di compatibilità politica tra gli autori e l’ente ospitante” (cito dall’articolo).

 Non ci provo neppure a entrare nel merito di una disputa che, in alcuni casi sottilmente, in altri platealmente, rincorre una adozione ideologica del capolavoro di Tolkien (da destra per l’Italia, da sinistra nel resto del mondo: mi dicono; io mi limito a non comprendere e deprecare). Già triste e balordo negli anni ’70, credevo tale approccio al capolavoro di Tolkien davvero sepolto e scordato.

Quello che è certo è che questi signori (Guglielmi? Se le cose stanno come viene riportato me ne dispiace davvero molto) fanno un gran danno alla lettura, mentre tra di loro, in gruppuscoli chiusi, usano malamente un grande libro per le loro dispute, senza alcun riguardo per la funzione che dovrebbero assolvere di promuoverne, e aiutarne, la lettura.

Non ci si stupisca poi se quella che dovrebbe essere la classe intellettuale, in Italia, ha così poco ascolto e ancor meno credito. A chi parla?

Essere una lettrice di Tolkien mi è più che sufficiente, fin dai tempi in cui l’ho letto praticamente di nascosto per non farmi cogliere in flagrante tradimento, per l’appunto, ideologico, dai “compagni” che avrebbero deprecato (e se si è molto giovani, il parere del gruppo non è così facilmente ignorabile) unicamente a causa dell’editore: Rusconi. Per capirci: lo stigma inappropriato agiva nei confronti dell’editore (di destra!), non del libro: come sarebbe stato possibile? Nessuno (ufficialmente) lo aveva letto.

Vale a dire: erano giorni, e un’età, in cui tutti dovevano più o meno fingere di aver letto l’Ulysses di Joyce mentre nessuno doveva ammettere di adorare Il signore degli anelli.

Per chiudere. Val la pena di rileggere un’intervista, molto datata (4 gennaio 2002, apparsa su “Stilos“, inserto del quotidiano La Sicilia, anno IV n.2) con Vittoria Alliata che, quantomeno, riporta la voce della traduttrice, facendo qualche giustizia di strane assegnazioni tutte italiane del libro sulla base di appartenenze totalmente estranee all’autore, e ovviamente al testo. (qui)

Ultimo, ma non ultimo, mi sono imbattuta in un sito (qui– che a giudicare dal permalink risulta ascrivibile alla Casa editrice Bompiani – dove, segnalato come non disponibile-non ordinabile, compare il libroLa compagnia dell’anello. Il Signore degli anelli”, traduzione di Fatica O., con tanto di numero ISBN.

Data di edizione 2099 (sic!): posso supporre sia una data convenzionale per una pubblicazione di cui non si sia ancora in grado di assicurare la reale data di uscita. La pubblicazione di questa nuova traduzione è dunque prevista. Pur se la casa editrice dovrebbe, credo, dopo aver suonato le fanfare in modo stonato, dare notizia sullo stato dell’arte del tutto, magari pure scusandosi dell’inciampo.

Niente di che, ma sarebbe, in questo caso, elegante e rispettoso dei propri lettori. Per poi mandare il libreria la nuova traduzione rispettando un buon silenzio fino al giorno in cui.

Attendo con fiducia: e mi tengo strettissime, per scaramanzia, le mie due copie, e persino l’e-book che apprezzo per la comodità di lettura notturna, nella traduzione Alliata.