Chiacchierata senza capo né coda: Segue

Segue, come promesso: la piccola bibliotechina (in parte) dimenticata. Magari solo una piccola scelta. Un piccolo esercizio di zonizzazione della lettura.

Vediamo. Ci sono, di Marco Malvaldi, tre piacevolissimi racconti: “Non si butta via nulla”, “Azione e reazione” e “A bocce ferme”.

Ho una regola: di alcune case editrici, e di alcuni autori, acquisto solo il cartaceo. Tra queste, c’è Sellerio. Fino a poco tempo fa, la regola non era mai stata derogata. Questi tre Malvaldi hanno costituito l’eccezione a motivo del fatto che trovo davvero poco interessante comperare “1 Racconto 1”. Piacevole, certo, ma scelgo, è una speranza, di attendere il giorno in cui Sellerio ne pubblicherà la raccolta.

Curiosa e interessante scelta, comunque, da parte della casa editrice. Che si estende a più autori. Tutti interessanti, direi. Cosa pensarne?

La prima ipotesi ha a che fare, in questo caso, con l’autore: come credo di aver già ipotizzato, il Nostro deve averne a sufficienza di storie sui vecchietti del Bar Lume; deve pensare, credo a ragione, non opportuno, anche per la sua identità di autore, oltre che per limiti di età dei personaggi, finire legato indissolubilmente agli stessi. Ma come farlo senza deludere i lettori? I racconti assolvono perfettamente il compito. Il lettore elabora il lutto con gradualità, evitandosi anche il dispiacere della saturazione (come è avvenuto, credo, con il Montalbano di Camilleri).

La seconda ipotesi ha che fare con la casa editrice. Chi lo sa, in questa Italia di scarsa lettura, può essere che un brand vincente come quello del Bar Lume, unito alla brevità del testo, possa penetrare un certo numero di – possiamo definirli lettori deboli? E, hai visto mai, allenarli gradualmente alla lettura. Mie fantasie.

Poi, cosa c’è? Ebbene sì: mi sono data a un po’ di lettura per l’infanzia:

Roald Dahl, “Le streghe”

Scarlett Thomas, “Il drago verde”

Selma Langerlðf, “La leggenda della rosa di Natale”

Dopotutto, se mi servisse una scusante (che non mi serve) sono una nonna di nipotini della giusta età, e devo pur dotarmi di materiale che, al piacere di leggerlo personalmente (perché mi piace) coniughi la ricerca di letture della buonanotte, sperando nell’occasione.

Non sempre, tuttavia, le cose vanno per il verso giusto. Così, mentre, la scorsa estate, Tolkien, con il suo “Il cacciatore di draghi” (qui) mi aveva regalato una piacevole lettura personale e una bella serata di lettura ai nipotini, di questi libri non posso dire di aver apprezzato molto se non, con riserva di utilizzo per i pargoli, i racconti di Selma Langerlðf.

Dopotutto, l’autrice è stata la prima donna ad essere insignita del Nobel per la letteratura (1909).

Oggi la casa editrice Iperborea pubblica le sue opere, tra cui “Il meraviglioso viaggio di Nils Holgerssonche leggo essere tuttora in auge nella narrativa svedese per l’infanzia. Tuttavia: 667 pagine sono molte, troppe, per rischiare il libro sbagliato in questo genere. Ne è seguita la scelta di “assaggiare” l’autrice con le favole di “La leggenda della rosa di Natale” che ho trovato, per il mio gusto (e credo per i piccoli lettori di oggi) troppo moraleggianti e datate. Non so. Prima o poi, al momento giusto, leggerò del viaggio di Niels, immagino, e scoprirò un capolavoro. Da regalare a giovani lettori.

Degli altri due libri posso solo dire che, come peraltro già sapevo, non apprezzo Roald Dahl (Tanto per farne memoria: l’autore diLa fabbrica di cioccolato”. Non ho amato neppure il notissimo film).

Ovviamente, il giudizio vale solo per me. Gusto mio. È stato un tentativo per eventualmente ricredermi, fallito.

Scarlett Thomas: un fantasy, dotato della possibilità di essere una buona storia. L’ho tuttavia trovato contorto, confuso. L’ho letto, talvolta ho apprezzato ma, per lo più, mi sono irritata. L’autrice potrebbe aver scritto libri migliori e tuttavia – vale ancora solo per me – non credo le offrirò una seconda opportunità.

Lasciata l’infanzia, dopo aver fatto ben due tentativi, in passato, di leggere “Il seggio vacante” di J. K. Rowling, senza completarne la lettura per noia (ma trovo giudizi molto buoni su questo libro, peraltro di buona scrittura) alle due di notte, spinta dal “dai prenditi un giallo al volo per dormire, con un clic”, mi sono letta un suo altro libro, firmato con lo pseudonimo Robert Galbraith, protagonista (seriale) l’investigatore privato Cormoran Strike.

Il personaggio è a suo modo interessante; la deuteragonista pure; il giallo, ma sì, tiene. Mi resta tuttavia difficile associare questo genere all’autrice della saga. Utile, in questo caso, lo pseudonimo, se non fosse scoperto in partenza. Temo di essere stata vittima, qui, di una falsa attesa e, in conseguenza, non sono sfuggita a una percezione, sicuramente almeno in parte preconcetta, di artificiosità della storia.

Mi sono dunque rifatta il palato con un originale del giallo che più originale non si può.

Sir Arthur Conan Doyle, “Tutto Sherlock Holmes”, Newton Compton.

Fatto salvo che l’autore non può mancare, in cartaceo, in una biblioteca gialla, così come non può mancare E. A. Poe, da precocissima lettrice del genere non ho mai molto amato il personaggio Sherlock Holmes e ho sempre trovato il dottor Watson inconsistente come compagno di quel supposto grande ragionatore. Ho sempre trovato le celebri “deduzioni” senza capo né coda, anche quando ero davvero troppo piccola per frequentare il ragionamento logico.

Cresciuta, forse sono stata a lungo troppo giovane (immatura) per apprezzare il fatto che la “logica” si può anche simulare, divertendosi: è rassicurante giocare a cullarsi nella finzione di poter spiegare tutto.

Oggi, tra le mani un e-book corrispondente a 1787 pagine a euro 5,99, sicuramente utile per i momenti di carestia, devo dire che, mentre i romanzi continuo a trovarli tediosi, i racconti mi hanno addormentata piacevolmente. A parte il dottor Watson, sempre improponibile, ho trovato Sherlock Holmes persino divertente, vogliamo dire umano nel suo piacere bambinesco di stupire con le sue celebri, chiamiamole ancora deduzioni.

Ma ora temo che mancherò al programma che mi ero data – poco male – e interromperò la lista, attratta da un sentiero laterale su cui chiacchierare.

La causa: il fatto che il recupero di Conan Doyle ha avuto, da parte mia, un’origine di nome Andrew Lane, giornalista e scrittore inglese che ha ripreso il personaggio del celebre investigatore, inventandone la giovinezza, la storia delle origini.

Avevo scelto, tempo fa, di provare un suo libro – “Nube mortale”, Young Sherlock Holmes – già sapendo, temo, che in via assolutamente preconcetta avrei dato pollice verso.

È possibile che, rubando un personaggio al suo autore, ne esca un buon libro? Ecco: mi piace non crederlo. Mi accorgo pure di non saper motivare, se non utilizzando argomenti quantomeno capziosi.

In passato, sempre per confermare i miei preconcetti (ma con il desiderio recondito di ritrovare i miei personaggi per la notte?) mi sono pippata un giallo – di cui ora non vado a cercare l‘autore – con protagonista un fasullo Nero Wolfe.

È seguita, più di recente, una ricaduta con il seguito, si fa per dire, di “Millennium”, di Stieg Larsson (trilogia che, con poche riserve, mi è piaciuta; l’ho persino riletta): ho maledetto gli eredi dei diritti che devono aver permesso l’operazione.

Ho trovato questi libri desolanti, mentre a persone di cui pure apprezzo il giudizio sono piaciuti.

Resto della mia opinione. Potrebbe essere cocciutaggine. Anche supponenza. Potrebbe essere tante cose. Ma resto convinta che sia un’operazione da inserire in quel tema, insoluto, che chiede di differenziare un “libro”, con il suo autore, da un prodotto commerciale che, pur possedendo una sua ragion d’essere, mai tuttavia dovrebbe potersi appropriare di una creazione altrui.

Sherlock Holmes, o Nero Wolfe, e Lisbeth Salander non esistono al di fuori della penna (e del mondo) dei loro autori.

E i film, allora? Oggi spesso con la sceneggiatura dell’autore? Oppure approvata/consentita dall’autore (a me pare qualcosa di simile a dare in affitto un figlio). Ma soprattutto, a babbo/mamma morti, “Tratto da…”: inaccettabile.

E come regolarmi con ottimi film? Perché ce ne sono, è indiscutibile.

Sir Arthur Conan Doyle

Sir Conan Doyle ha, al suo arco, buone frecce pure se, a me, non dà un particolare piacere leggerlo: è l’originale, ha creato un genere, ha dato vita ad un piccolo, o grande, mondo letterario.

Anche nel nostro mondo di carta ci sono l’anatra all’arancio e la pizza margherita: ognuna perfetta nel suo genere; nessuna delle due assimilabile ad una versione surgelata pronta per il microonde.

Allora: Andrew Lane, e i suoi simili, mancheranno nei miei scaffali; e nei miei possessi cartacei. Nell’uno e nell’altro luogo, il reale e il virtuale, è un onore collocare Conan Doyle.

Restano, al momento in lettura, e fuori lista, due libri che sono quanto di più dissimile non si potrebbe; ma di cui conosco già il desiderio di proporli:

Volodine Antoine, “Tutti gli animali che amiamo”, ed. 66THAND2ND 2017. Interessanti sia l’autore che la casa editrice.

Rachele Ferrario, “Margherita Sarfatti. La regina dell’arte nell’Italia fascista”, Mondadori 2018