Rivoluzione Gutenberg. E poi?

Johannes Gutenberg, Ritratto. Da: Wikipedia

Scopro, smanettando su Google, che il giornale più antico tuttora esistente sarebbe, oppure è, la Gazzetta di Mantova, fondata nel 1664, la cui nascita ha seguito di pochi anni quella del primo giornale in assoluto che fu la Einkommende Zeitungen, fondata nel 1650 a Lipsia dal libraio Timothäus Ritzsch come settimanale, e divenuta quotidiano nel 1660.

Davvero lunga la storia dei giornali; una di quelle che non ti pare possano mai chiudersi; del tipo iniziare la giornata con una tazzina di caffè e, per l’appunto, il giornale. Al bar, ancora per poco.

C’era stato il 1450 e l’invenzione di Gutenberg (il miglioramento, la variante di un’invenzione cinese vecchia di quattrocento anni)[i] che, nel breve corso di un secolo, ha portato alla morte non solo la piccola professione del banditore ma un’intera organizzazione sociale.

Il cambiamento, in un tempo di grandi rivolgimenti socio-politici, faceva tremare le basi del potere della Chiesa che si reggeva sul monopolio della scrittura e della lettura. Con la pubblicazione della prima Bibbia a stampa nel 1450, da cui partì la possibilità, in nuce, di consegnare “Il Libro” direttamente nella mani dei fedeli senza la mediazione del clero, tutto il percorso della Riforma si avvierà con la pubblicazione e la diffusione, era il 1517, delle 95 Tesi di Martin Lutero.

Aldo Manuzio. Wikipedia

In Italia, Aldo Manuzio, nel 1494, aprì in Campo S. Agostino, a Venezia, la sua tipografia. Tra i suoi obiettivi, con i primi volumi stampati in ottavo e dunque “maneggiabili”, non vi era stata l’alfabetizzazione “del popolo”, la diffusione “universale” della lettura. L’obiettivo di Aldo Manuzio era stato il preservare la letteratura greca e latina: ma poi stampò anche opere di amici, suoi contemporanei, quali Erasmo da Rotterdam e Pietro Bembo. Era iniziata una storia che è molto più di una storia del libro tout court.

Coloro che immolano i libri facendone roghi sanno bene quello che fanno: sanno il tentativo di zittire le armi più potenti che esistano per chi voglia abbattere un potere, indirizzare le comunità su nuovi percorsi, dare vita ai sommovimenti sociali che, di tempo in tempo, deviano su nuovi binari la vita dell’uomo. Belli, o semplicemente utili, in veste sontuosa o economica, in forme e formati diversi, ogni libro è, in sé, foriero di possibilità; e colui che, in autobus, o a casa, ritagliandosi un tempo per sé, se ne sta con il suo romanzetto da intrattenimento ha dinamite tra le mani. Sa leggere: e tanto può bastare.

Tornando alla <rivoluzione Gutenberg>, difficilmente, o forse no, sarà apparsa allora evidente la connessione tra la nuova tecnica di produzione dei testi e l’Umanesimo, e il Rinascimento; e la Riforma, e le Guerre di religione con tutto ciò che ne è seguito; la relazione con l’inizio di quella che sarebbe stata la nascita delle Nazioni – e degli allora impensabili <nazionalismi>;  la relazione tra le Istituzioni,  Chiesa in primis, e un mondo in cambiamento che possedeva per la prima volta un accesso al sapere non più monopolio del “sacro”, potenzialmente attingibile da chiunque.

Da: Wikipedia

Un’annotazione: era il 1559 quando Papa Paolo IV pose in essere l’”Indice dei libri proibiti” che è stato cancellato solo dopo il Concilio Vaticano II (1959 – 1965). E un ricordo personale: alunna di una scuola elementare privata delle suore salesiane, mi è stato sequestrato dalla maestra “Piccole Donne”: non perché leggevo mentre la maestra faceva lezione ma perché il libro era “all’Indice” in quanto opera di un’autrice di fede protestante.

Il libro, l’alfabetizzazione, sono stati lo strumento per la presa del potere da parte di una nuova classe emergente. La storia camminò. Ci furono rivoluzioni. Divenne necessario rendere il libro accessibile a tutti: sono nati la scuola pubblica e l’obbligo scolastico. Sono nate le biblioteche pubbliche. Servizi gratuiti, a carico della comunità.

In effetti, a ben guardare, la nascita dell’editoria moderna ha provocato catastrofi, da un certo punto di vista, e sicuramente da molti punti di vista individuali.

Oggi, quando la cronaca riporta, quasi quotidianamente, notizie di librerie cadute sul percorso, così come si contano le morti in battaglia, il pensiero si aggroviglia.

Libreria La pecora Elettrica (qui)

Mi vengono alla mente, tuttavia, e per primi, due episodi, che recupero rapidamente: 25 aprile e, in seguito, 6 novembre 2019; viene incendiata la libreria “Pecora elettrica” a Roma, Quartiere Centocelle, che chiuderà i battenti.

È il 30 novembre e a venir derubata e devastata è la Libreria Caffè Giufà di Roma. Quartiere S. Lorenzo.

Notizie che dicono la grande funzione di un luogo quale una libreria per la vita sociale e culturale di un territorio che combatte per mantenere la propria identità e per vivere: che combatte, certo, ma perde, una specie di guerra civile dove, a quanto pare, i “civili” si trovano ad essere, e non numericamente, ritengo, minoranza per mancanza di armi.

Le armi della “società civile” sono affidate alla presenza dello Stato, in tutte le sue declinazioni. Gli “altri” si “armano” in senso proprio, da sé e fuori da ogni “civiltà”; dopodiché non è vero che vincono: è lo Stato che perde e informa i propri cittadini della propria volontà di lasciarli inermi.

Come la scuola, come la biblioteca, la libreria è l’ossigeno che fa vivere una comunità, aiutandola a produrre pensiero su di sé, a creare e sostenere socialità, a svilupparsi e a evolvere, a guidare, adeguarsi a, e adeguare a sé, il cambiamento.

Una libreria, con le sue attività, può far la differenza, in tempi difficili, tra lo scivolare di una comunità nell’anomia o mantenere, far crescere, sviluppare un’identità sociale e civile sana e vitale.

Nel frattempo, notizie si susseguono. Notizie che dicono una stessa risultante come frutto di un diverso, o di molti diversi, problemi.

Ultima notizia: a Torino ha chiuso, con inizio anno, la Paravia, “la seconda più antica libreria italiana, fondata nel 1802 nel capoluogo piemontese”

“Il motivo? Lo conoscono tutti: è Amazon. (…). Amazon ha prima attirato i clienti solo con sconti esagerati, e poi li ha abituati ad avere i prodotti a casa in tempi rapidissimi e con un assortimento incredibile” dicono le due titolari, in un’intervista.

Si ricerca <IL> colpevole, dunque. Che non c’è, temo. O almeno: non è <uno>, che sia Amazon, la distribuzione (anche se questa sì, proprio sì), gli affitti nei centri storici, …

Risultato del tutto: sono affranta. Voglio la mia, le mie librerie. Fanno parte della mia vita. Non posso rinunciarvi. Voglio quel luogo dove ci si incontrava, voglio il libraio, la libraia, che consigliava, commentava, discuteva, criticava; dove si discuteva; si faceva pure amicizia.

Parlo al passato. Voglio quel luogo che non c’è più. Non perché la libreria ha chiuso. Non perché i lettori vogliono abbandonarla.

Perché le librerie hanno abbandonato il lettore contemporaneo, che si destreggia tra una produzione incongrua, che trova troppo costoso il libro in libreria, anche con lo sconto – il budget è quello e se il criterio economico vale per l‘esercizio commerciale vale anche per il cliente dell’esercizio commerciale.

Perché in libreria non trova il libro che cerca e non viene aiutato a trovarlo.

Perché non ha più spazio in casa.

Perché è forse ora di risparmiare alberi e non si può più sentire la frase fatta sul buon odore della carta.

Perché il lettore molto spesso è anziano e la vista è quella che è; e un e-reader consente di regolare la dimensione del carattere e leggere ancora.

Perché oggi, persino in Italia, si legge quanto non si è mai letto in tutta la storia del mondo e la libreria che ricordiamo, e che con poche varianti è ancora quella, era luogo per un’élite.

Perché nella maggior parte, temo, dei circa ottomila comuni italiani nessuna libreria ha chiuso perché non c’è mai stata.

Perché stiamo vivendo un tempo di passaggio – e come non farsi venire in mente il monolite di 2001 Odissea nello spazio – e niente è come prima.

Salvo noi; quelli di una certa età.

La Libreria della Casa Editrice SS Quaranta di Treviso ha chiuso la sua attività. Terrò cara questa immagine. Un piccolo grande luogo irripetibile. Un grande grazie all’editore-libraio Ferruccio Mazzariol. La casa editrice continuerà la sua attività.

Non so se potremo salvare le librerie. È indispensabile salvare i librai. I bibliotecari. E la lettura. Occorre, come per la scuola, avere a disposizione biblioteche, pubbliche, diffuse, aperte a incontri, dibattiti, alla reperibilità del libro – e del film, e della musica, e di…dove si possano formare comunità, diffuse capillarmente sul territorio, dove si faccia cultura. Biblioteche che, a proposito, ora organizzano il prestito di e-book.

Dopo la scuola e la biblioteca, è necessaria una forma di libreria come servizio pubblico.

Quanto a me – a noi – continueremo a cercare il libro, quello di carta; non per l’odore, no. Perché è il nostro amico, perché è bello, perché è figlio di una storia, con quel carattere topografico, quella copertina, quelle orecchie alle pagine; perché lo abbiamo maneggiato e rovinato o tenuto bene noi.

Domani, al mattino è aperto, andrò in libreria. Non so più bene perché.

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[i] Bi Sheng[1] (cinese tradizionale: 畢昇; cinese semplificato: 毕昇, pinyin: Bì Shēng) (Huizhou, 9901051) è stato un tipografo e inventorecinese, realizzatore del primo sistema di stampa a caratteri mobili. Il sistema di Bì Shēng, fatto di caratteri di terracotta, fu inventato fra il 1041 e il 1048 in Cina.

Bì Shēng era di umili origini, e non esistono documenti sulla sua vita. L’unico documento è il Mengxi Bitan (夢溪筆談) di un funzionario cinese, intellettuale e scienziato, Shen Kuo (沈括) (10311095). Il Mengxi Bitan fornisce una descrizione piuttosto dettagliata dell’invenzione di Bì Shēng.[2]

I fragili caratteri di Bi Sheng (incisi nella porcellana, ceramica di argilla viscosa, induriti nel fuoco e assemblati in resina) non si prestavano per la stampa a larga diffusione.[3] Il funzionario Wang Zhen (attivo fra il 1290 e il 1333) migliorò il sistema di Bi Sheng introducendo caratteri mobili incisi nel legno. Successivamente, la stampa a caratteri mobili fu sviluppata in Cina e in Corea verso il 1490 con la realizzazione di caratteri di bronzo da parte del tipografo Hua Sui (14391513).  Wikipedia