Il tema librerie, la paura di perderle, di vederle chiudersi, o snaturarsi, come in parte è già avvenuto/sta avvenendo, continua ad essere nei miei pensieri.
Oggi sono andata ad acquistare la copia cartacea del libro che sto leggendo in e-book e di cui dirò; e di cui tutto mi sogno fuorché di avventurarmi in una recensione.
Si tratta di un libro per il quale non ve ne è la necessità. Un libro, una storia, fatta a suo modo. E imperdibile. Che mi era sfuggita.
“Una vita da libraio”, di Shaun Bythell, Einaudi 2018.
Non si tratta di un’autobiografia, non è un’opera di invenzione. È un diario, a tema, in cui un libraio ha scritto, giorno per giorno, sinteticamente, la propria giornata, di lavoro e di vita.
È la storia di un anno di un libraio vincente: se vi par poco!
Per il lettore, è l’equivalente di una bella conversazione con un amico, una parentesi piacevole mentre la giornata scorre con i suoi diversi impegni, con le cose da fare e da leggere.
Shaun Bythell, dal 2001, è il titolare del “Book Shop” di Wigtown, libreria dell’usato di un paesino della Scozia di circa mille abitanti (e undici librerie: dunque, volendo, si può).
A proposito della scelta di rilevare il Book Shop, Shaun Bythell commenta tuttavia che avrebbe fatto bene, prima di diventare un libraio, “a leggere “Ricordi di libreria”, il breve saggio in cui George Orwell racconta la sua esperienza in una libreria di Hampstead”. E in proposito ci dirà come condivida totalmente una particolare opinione di Orwell, là dove si afferma che:
“Molti dei nostri acquirenti appartenevano a quella categoria di persone che, pur essendo capaci di rendersi insopportabili ovunque, riescono a farlo particolarmente bene in una libreria.”
Dopodiché, ci regala dodici mesi di vita professionale e sociale in dodici capitoli, ognuno adeguatamente introdotto da una frase di Orwell: ironica, sarcastica, divertente e, temo, dotata di una sua qualche solida veridicità.
“Mi piacerebbe fare il libraio di professione?
Tutto sommato – nonostante il proprietario mi trattasse gentilmente e nonostante alcuni giorni felici trascorsi in quella libreria – direi di no.”
George Orwell, Ricordi di libreria
Chiude il tutto un epilogo, in cui l’autore ci rende edotti del fatto che il Book Shop prosegue alla grande la propria attività e le sue attività collaterali Ed è questo un caso in cui mi piace fare un utile spoiler: sono andata, infatti, cosa che non faccio mai, a sbirciare la fine del libro e l’Epilogo mi ha ulteriormente motivata a godermelo (dunque lo spoiler ci sta tutto); soprattutto perché comprende la battaglia, mai acuta ma mai dismessa, del nostro libraio con Amazon.
“Nel 2015 Waterstones ha smesso di vendere i Kindle a causa della scarsa richiesta e della nuova accelerazione delle vendite di libri su carta.”

Ora: il successo di Amazon e il suo futuro non moriranno per merito, o per colpa, del libraio di Wigtown, e chi lo sa cosa il futuro riserverà al nostro amato cartaceo, ma è bello sapere che un piccolo Golia è in grado di vincere qualche battaglia. Regalando tempo alla vita, come si dice.
Sto leggendo, dicevo. Direi meglio, sto ascoltando un buon conversatore. Ho ascoltato le giornate del titolare della libreria lungo i primi sei mesi; e cerco di centellinare ciò che rimane.
Che dire: Non ho la minima idea in merito alla possibilità che Shaun Bythell si dia all’attività di scrittore, mai da escludere per chiunque sappia <scrivere> e il nostro, è un fatto, ci riesce. Confesso tuttavia che me ne dispiacerei: lui è un libraio, uno che, senza fallire, acquista – vende – tiene per sé – perde nel disordine libri usati, vecchi libri introvabili e altamente improbabili, che acquista a grandi stock.
“Centomila volumi spalmati su oltre un chilometro e mezzo di scaffali, in un susseguirsi di stanze e stanze zeppe di erudizione, sogni e avventure. Un paradiso per gli amanti dei libri? Be’, piú o meno”: ci informa la quarta di copertina del libro.
Si tratta di un lavoro che non può lasciare il tempo per la scrittura e auspico dunque che Shaun Bytell non lo abbandoni.
Cosa potrebbe fare, se non il libraio, uno che scrive:
“Molti librai scelgono di specializzarsi. Io no. Nel mio negozio ci sono tanti argomenti e tanti volumi quanti riesco a farcene stare. Spero sempre che ci sia qualcosa per ognuno, ma nonostante i centomila titoli in catalogo molta gente se ne va a mani vuote. A me non importa se uno spende due sterline e cinquanta per un romanzo Harlequin o per una consunta edizione economica dell’Etica di Spinoza. Il mio augurio, in ogni caso, è che l’esperienza di lettura sia piacevole.”
Naturalmente, in corso di lettura, assisteremo alle trattative con i clienti che irritano il libraio con richieste di sconti assurdi – e peraltro a una valutazione dei prezzi, di acquisto e di vendita, quantomeno creativa; incontreremo “casi umani” e gente davvero strana, accorgendoci tuttavia che ognuno di noi potrebbe apparire tale agli occhi di qualcuno capace di osservarci.
Conosceremo Nicky, la collaboratrice fissa della libreria e vari collaboratori saltuari. Conosceremo qualche cliente; alcuni amici: persone, in carne e ossa, che l’autore ci regala disegnate a tutto tondo. Sarebbe bello conoscerle.
Niente trama, ovviamente, in questa storia, ma non manca certamente la voglia di sapere cosa ci riserverà il nuovo giorno, il nuovo mese. E la chiusura non sarà tale, sarà solo una interruzione. Risolta, riassuntivamente, dall’epilogo, per l’appunto.
Dimenticavo: per invidia, temo; una rimozione. Io non parlo inglese e dunque mai potrei neppure sognare un viaggio a Wigtown ma, per chi volesse farci una vacanza, attraverso Airbnb è possibile affittare, per un paio di settimane, durante il Wigtown Book Festival, un appartamentino sopra la libreria, impegnandosi a lavorare in libreria: così si impara a capire cosa significa, Orwell docet. (Per informazioni, qui).
Vedete: non avrebbe senso una recensione del libro in quanto tale. Ma ecco, oltre al piacere di ascoltare Shaun Byttell, questo libro mi ha fatto scoprire qualcosa che sapevo bene e tuttavia, sapete come accade quando sai bene una cosa ma non la tematizzi come tale.
Innanzitutto, il libro mi ha tenuta nel pensiero del futuro, della forma, che possono avere le librerie. Fornendomi una parte di risposta: dovrebbero essere luoghi che offrono <anche> l’usato, e il remainder.
C’è il problema dello spazio, ovviamente. Eppure, non del tutto, è anche un problema di scelte. Centomila libri e un chilometro e mezzo di scaffali sono un unicum, chiaro (e il libraio ci dice pure che molti escono dalla sua libreria non avendo trovato ciò che cercano) e potremmo persino chiederci se tale dimensione sia davvero desiderabile, al di là della simpatia del Libraio e di un libro che è anche una perfetta operazione di marketing. Spero corrisponda al vero che le cose, a Wigtown, vanno tanto bene. Mi piace pensarlo. E abbiamo tutti in mente qualche piccola libreria, dovrei dire del tempo che fu, dove, da ragazzi senza soldi, trovavamo cose preziose e accessibili.
Ci sono le attività collaterali del Book Shop, del genere “cosa ci si deve inventare” certo, ma quando vengono costruite nel legame con il territorio qualche buon risultato si può ottenere.
C’è poi qualcos’altro cui questo libro mi ha condotto – citando, ovviamente, libri che, peraltro, mai potrei trovare; e che difficilmente potrebbero interessarmi, tipo “libri su treni e ferrovie”, che pare siano quelli che “si vendono meglio”.

Ho scoperto come avviene che io produca, da un lato, una lista dei libri che desidero leggere riuscendo ad allungarla all’infinito fino alla sua totale inutilità e nel mentre io venga travolta da un accumulo di libri acquistati in modo del tutto estemporaneo, frutto di golosità improvvise, di bisogni impellente, di esigenze incoercibili; e su cui mi precipito come un’affamata: perdendo di vista i libri ufficialmente desiderati, o rinviandone la lettura a un mai.
Il fatto è – una classica scoperta dell’acqua calda – che molti libri parlano di altri libri; in essi l’autore ci racconta le sue letture: ed eccomi là.
Lo sapevo, ovvio, e tuttavia non avevo mai tematizzato come questo fatto equivalesse ad aggiungere al piacere di leggere un libro il piacere di stabilire una relazione con il suo autore, di chiacchierarci insieme, confrontare pensieri, percorrerne linee inattese, anche al di fuori e al di là della storia che il libro ha narrato.
Talvolta lo faccio utilizzando come amico immaginario il protagonista in luogo dell’autore ma, in effetti, no. Non proprio. È qualcosa che somiglia maggiormente al trovarsi in buona compagnia ed ecco, il tuo interlocutore ti presenta qualcun altro, che si rivela interessante. Anzi: qualcuno da non perdere proprio di vista. Da farsi amico, e andarlo a trovare a casa sua. È così.
Ci sono poi valutazioni da fare sugli autori da cui “si prendono a prestito” buoni libri, che non sono, non necessariamente, i grandi della letteratura, ma (mi accorgo) sono quelli che rileggo a ripetizione, per diporto, direi, non tanto o solo per il valore del loro libro ma proprio perché sono divenuti, per questa via (l’avermi “prestato” dei libri), amici da non trascurare.
Poi, capita, è la vita, e ci si separa. Si fanno altre conoscenze. Si maturano altri legami.
Un giorno, può essere, ci si ritroverà. Ci riconosceremo? Chissà.
Ecco: questo è un tema su cui devo riflettere. Di cui mi piacerebbe parlare.
Ovviamente, nel mio Kindle è già stato scaricato “Letteratura palestra di libertà. Saggi sui libri” di G. Orwell, che contiene, per l‘appunto, anche “Ricordi di libreria”.