Pier Vittorio Tondelli: qualcosa sull’autore

Non occorre dire che Pier Vittorio Tondelli è considerato, a ragione, una delle maggiori voci della narrativa italiana di fine ‘900. Una voce che una morte precoce e drammatica ha spento troppo presto, sulle soglie, forse, di una maturità che prometteva molto, sul piano dei contenuti. Sul piano della scrittura, il giudizio sulle sue pagine non teme confronti.

La sua è tuttavia una voce il cui legame con il tempo in cui ha scritto, e con la sua biografia, è vincolante e, avendo finalmente (lo dico per me) trovato il momento giusto per riprenderlo, mi accorgo che non sono in grado di raggiungerlo se non a partire dagli anni in cui ha scritto e dalla sua storia.

Questo creerebbe, temo, un limite non da poco: una voce legata indissolubilmente al “particolare” di un proprio tempo sarebbe una voce destinata a spegnersi; in difficoltà a raggiungere quell’universale dell’umano che consente all’opera di sopravvivere al particolare del tempo in cui fu scritta. E così non è per Tondelli.

Credo, tuttavia, che per chi, oggi, lo legge, il particolare del mondo in cui è vissuto e che ha rappresentato, sia ancora necessario per poterne ascoltare la voce.

Per me, quantomeno, è così. Dovendo riprendere a leggerlo a partire da una lontanissima lettura del suo solo primo lavoro, “Altri libertini”; avendo scelto di farlo a partire dal suo ultimo libro, “Camere separate”; mi ritrovo a doverne recuperare la collocazione temporale, e una ratio del percorso di vita che le pagine rispecchiano; non riesco a prescinderne, per poterne attingere (è un tentativo) il valore assoluto.  

Cercherò, domani, presto, di raccontare la mia esperienza di lettura di “Camere separate”; dopo aver cercato di collocare Pier Vittorio Tondelli nel suo tempo e nella sua vita: con tutto il carico di errore che il mio ricordo può portare con sé.

Mi è giunto oggi “Un week end postmoderno. Cronache dagli anni ‘80”. La mia “ricerca” di Pier Vittorio Tondelli continuerà.

Dopo “Altri libertini”, opera prima di Pier Vittorio Tondelli, lettura “obbligata” per i giovani del mondo antagonista e dintorni al tempo in cui è uscita (Feltrinelli 1980), non avevo più avvicinato questo autore. Lo lasciavo in attesa. Rinviavo. Non so perché.

O forse lo so: “Altri libertini”, primo libro che ha rappresentato, in Italia il mondo delle comunità gay, è stato letto, al tempo, da me e da tutti quelli come me, per presa di posizione politica; poi perché, nel frattempo, era stato censurato – e bisognava pure opporsi. E tuttavia, in un tempo in cui qualcosa cominciava a muoversi, nella società italiana, possiamo dire che è stato letto, anche, con un qualche intimo disagio sottaciuto?  

Il libro si segnalava per un linguaggio decisamente mai in precedenza tradotto su carta. Nessuno mai aveva, fino ad allora, sdoganato, con le “parolacce”, anche le bestemmie che pure, nella cosiddetta società civile, specialmente in alcune usuali parlate dialettali, costituivano un comune intercalare non particolarmente stigmatizzato.

In quel mondo di provincia era nato e cresciuto Pier Vittorio Tondelli.

Due parole, dunque, su un autore che in quel mondo di provincia era nato il 14 settembre del 1955, in quel di Correggio, provincia emiliana rossa, bestemmiante e religiosa, in cui anche i comunisti andavano alla Messa; che, tornato a casa e alla famiglia, in quel di Correggio morì il 16 dicembre del 1991, mentre il suo pensiero si riconfrontava con la fede che aveva segnato la sua formazione, e che non lo aveva, in realtà, mai lasciato.

Lui, per cultura familiare e sociale – difficile distinguere la presenza di un sentire personale, di una adesione consapevole – aveva vissuto pienamente il mondo della fede cattolica nel quale era cresciuto ed era stato educato. Un mondo che, per chi si trovava a dover fare i conti con la propria omosessualità, creava, al tempo, un doloroso e irrisolvibile dissidio interiore.

Pier Vittorio aveva studiato al DAMS. Si approssimavano gli anni ’80; si veniva da un tempo complesso, di lotte, conquiste e lutti.  Occorrerebbe rivedere le diciotto puntate di Sergio Zavoli di “La notte della Repubblica” in cui si ripercorre il ventennio 1969 – 1989 e ricordare (per chi c’era) o sapere, per gli altri. Gli anni ’70 si stavano chiudendo con l’omicidio Moro (1978).

La “militanza”, al culmine, e in prossimità della fine, degli anni di piombo, stava lasciando le grandi battaglie ideologiche e si misurava sui diritti civili.

In particolare per le donne, e dunque per me, molta strada era ancora tutta da percorrere. Alla voce delle donne si stava affiancando la voce dei primi movimenti gay.

Tanto per ricordare, tutto iniziò (forse, altro sarà fuggito dalla mia memoria) con la marcia del 24 novembre 1979 a Pisa contro la violenza omofoba, a seguito dell’uccisione di un ragazzo gay a Livorno.

28 giugno 1981: la prima Festa Nazionale dell’Orgoglio Omosessuale si terrà a Villa Giulia, a Palermo, ancora per richiamare l’attenzione sull’omicidio avvenuto in Sicilia di un’altra coppia gay.

Se ora veniva sentito il dovere, civile e politico, di combattere le discriminazioni per motivi di genere e orientamento sessuale, dentro di noi c’erano tuttavia ancora le brave bambine e i bravi bambini che le nostre mamme avevano cresciuto puntigliosamente osservando i dettami di un mondo social-cattolico coeso; quel mondo che il ’68 aveva smantellato, per alcune sue parti, solo in superficie.

È stato un periodo di entusiasmi, di importanti vittorie e di grandi delusioni; non è stato un periodo facile; sono stati anni dolorosi oltre che, al tempo, liberatori; per le donne, ha forse solo scalfito un mondo che ci si impegnava orgogliosamente a demolire, come oggi si vede drammaticamente bene.

Una gioventù stanca, disorientata, iniziava una fuga dalla politica ufficiale, il mondo dei Partiti mostrava, per chi lo voleva vedere, le prime crepe mentre il compromesso storico, un tentativo che si avviava alla sua fine ingloriosa, tentava di “normalizzare” la vita della Repubblica attraverso un patto di salvaguardia delle istituzioni repubblicane che per un verso ottenne di acuire la ribellione mentre per l’altro silenziò la voce della politica.

Oggi vediamo, mutatis mutandis, nell’attuale ammucchiata di governo e a fronte di una grave emergenza, il ripetersi di una storia? Anche allora una emergenza sanitaria segnò un confine: l’esplosione dell’AIDS, erano i primi anni ’80, giustificò un serrate le fila e il silenziamento di molte voci.

Fu la fine di un tempo, più sognato che reale, di “libertà”, nei costumi sessuali, dalla famiglia tradizionale, nell’uso delle droghe che, se continuarono a fare vittime, videro un cambio di segno – dallo spinello al buco – da illusorie portatrici di supposta liberazione, strumenti di espansione della coscienza a auto-medicamento antidepressivo e autodistruttivo.

Pier Vittorio Tondelli sarebbe morto, vittima di una “polmonite bilaterale” che chiedeva di negare la realtà dell’AIDS, il 16 dicembre del 1991, avendo scritto molto nei suoi purtroppo brevi anni di vita.

Ora – e ci pensavo da tempo alla necessità, al desiderio di riprendere la lettura di Tondelli – ho scelto, come detto, di leggere la sua ultima opera; una scelta che andrebbe motivata ma che, forse, lo fa da sé. Direi di sì: “Camere separate” è il libro che avrebbe dovuto costituire per Tondelli il passaggio alla vita adulta, con l’abbandono di una voce e di un sentire ancora adolescenziali. Il condizionale è d’obbligo. Il suo è un pensiero in fieri, rappresentato nel momento in cui si fa; nel momento in cui si interroga. Nel malessere.

Assumendo come non sia possibile leggere Pier Vittorio Tondelli prescindendo dalla sua storia di vita e da quel tempo, sono in dubbio: questo approccio  è, per molti versi, improprio in quanto limita la voce dell’autore  negandone, in qualche modo, una universalità; rischiando di rinchiuderne la significanza in un tempo al di fuori del quale potrebbe risultare – vogliamo dire privata e null’altro?

È stato lo scrittore che diede voce, in Italia, alla realtà dell’omosessualità come fatto sociale così come dei mutamenti che stavano avvenendo nella società italiana; alla realtà dell’uso delle droghe; ma anche a una dimensione della vita che rompeva con le strettoie mentali dei confini nazionali. È stato una voce che ha ampliato il territorio della vita – Parigi, Amsterdam, Berlino, soprattutto.

Prima di lui, Pasolini aveva messo in gioco sé e la propria identità senza tuttavia tematizzarla nei suoi scritti e “Ragazzi di vita”, così come “Una vita violenta” sono romanzi di denuncia sociale, veduta e fatta propria dall’esterno. Pasolini metterà in gioco la propria omosessualità attraverso il riconoscerla, guardando alla violenza sociale come frutto della povertà, della marginalità, del degrado, con uno sguardo politico, là dove Tondelli, si dilanierà, per tutta la sua breve vita, sulla propria identità omosessuale da far convivere con una fede religiosa mai lasciata, assumendo tuttavia il proprio orientamento sessuale a tema della sua scrittura.

Pier Vittorio Tondelli, foto da Espresso. repubblica.it, 2020

Ha scritto molto nel suo breve tempo; ha scritto la sua vita, e la vita intorno a lui; ha fatto scrittura dei suoi pochi anni, incorporandovi i propri giorni, le esperienze, le relazioni per farne pagine.

Non posso tuttavia evitare di chiedermi se, quanto, Pier Vittorio Tondelli sopravvivrà al suo tempo; o non vivrà solo in un tempo che lo ricorda; che ancora ne vive le tensioni. Mi rispondo di sì, che sopravvivrà, non solo perché, a quarant’anni di distanza (ma siamo usciti da quel tempo? Davvero?) lo si legge ancora. Perché c’è la sua scrittura; e un universale della condizione umana che si interroga su di sé, e che appartiene ad ogni tempo.

C’è un’evoluzione, che dovrei affrontare, da “Altri libertini” a “Camere separate” che interroga il lettore. E c’è quel nascere a Correggio e ritornarvi – alla casa, alla famiglia, alla Chiesa – per morire; che dice come tutto il resto sia accidente.