I libri e i giorni

Sto rileggendo “La notte della Repubblica” di Sergio Zavoli. Forse, in corso d’opera, mi riguarderò anche qualche puntata del vecchio programma, quarantacinque ore per diciotto puntate di quell’inchiesta: c’è di che scegliere.

Non si tratta di un libro da recensire. Si tratta di un esercizio, e di un invito, forse, alla memoria, anche alla correzione della memoria, al ripensamento. Che vorrei condividere. Almeno un po’.

Sergio Zavoli, con il suo programma, andato in onda dal 12 dicembre 1989 (ventennale della strage di Piazza Fontana a Milano) al 11 aprile 1990, ha svolto, al tempo, un lavoro di grande respiro, con una rara capacità di indipendenza di pensiero (e lo dico oggi; allora – la gioventù conosce solo assoluti – avevo avuto, credo, alcune riserve; poche, ma le avevo avute, pure se la mia età era divenuta già adulta).

Il libro, che riprende, integrandone il racconto, le trasmissioni, uscirà nel 1992.

Ero giovane nel tempo in cui sono avvenuti i fatti che Zavoli recuperava e ritraduceva. Il mio ricordo attuale, con le emozioni che lo confermano, sono rimaste quelle di allora: basta dunque qualcosa come un dubbio, anche solo possibile, a farmi ancora schiumare di dolore, di rabbia, di sospetto e respingimento.

Anche Sergio Zavoli avrà avuto un suo personale pensiero sui fatti di quel ventennio; avrà coltivato dubbi e improprie certezze sui fatti e sulle storie che narra – il contrario sarebbe impossibile – ma, posizionandosi nella consapevolezza di ciò che stava facendo – giornalismo, non storia; soprattutto non propaganda – ha saputo offrirci una puntuale cronaca dei fatti; e, attraverso interviste ai protagonisti e ai testimoni di quei fatti, offrire voce a tutte le parti in causa.

Ne è risultato un quadro nel quale il lettore potrà esercitare un proprio pensiero, confrontarvisi, approfondirlo. Fare una propria valutazione di ciò che è avvenuto e del proprio posizionamento in merito a quei fatti.

Sergio Zavoli, Senatore della Repubblica

Quel certosino lavoro di ricostruzione non sposa tesi, meno che mai ufficiali; non di rado offre argomenti per disconfermarle.  E tuttavia nessuno mai ha opposto una critica alla sua ricostruzione – come dire: i fatti parlano; le voci delle persone pure.

Le domande irrisolte rimangono tali; in qualche caso suggeriscono risposte, tutte da provare – del genere “eliminato l’impossibile, ciò che resta dev’essere la verità”.

Su questo grande lavoro di cronaca, dopo diciotto puntate, quarantacinque ore totali di  trasmissione, sono dunque fioccati i complimenti: ed è sceso il silenzio. Imbarazzato? Ce n’era di che.

Il programma, andato in onda, al tempo, su Rai 2, è stato riproposto nel 1996 e in seguito, da Rai Storia nel 2015: a distanza, dunque, di altri venticinque anni.

Da quei vent’anni l’Italia è uscita per non aver scelto l’indifferenza verso ciò che accadeva. È stato un tempo in cui la gente (non mi va di usare un termine equivoco quale “il popolo”), ha esercitato ampiamente il proprio dovere di cittadinanza. Esprimendosi, manifestando, partecipando, leggendo, nel bene e nel male VOTANDO.

Sono stati anni nel corso dei quali si è temuto, con buoni motivi, che la notte potesse scendere nuovamente ad oscurare la democrazia italiana, ma sono stati anche gli anni in cui sono state approvate grandi riforme, e grandi leggi di civiltà. Sono stati anni  in cui i cittadini hanno rivendicato e visto riconosciuti diritti civili fondamentali; anni in cui le istituzioni della Repubblica hanno saputo riformarsi, in un percorso di fuoriuscita civile dal tempo del fascismo che non poteva essere considerato concluso con la caduta del regime e la nascita della Repubblica – tant’è che, a quanto pare, non lo è ancora.

In un solo decennio abbiamo avuto: Un nuovo Diritto di Famiglia. Divorzio. Interruzione volontaria della gravidanza. Istituzione dei Consultori familiari. Statuto dei lavoratori. Legge sulla Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro[i]. Legalizzazione della contraccezione[ii]. Istituzione delle Regioni e decentramento amministrativo, con la cancellazione di un enorme numero di Enti inutili. Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.

Tutto, mentre il terrorismo delle Brigate Rosse mieteva vittime, rivendicando le proprie azioni; mentre lo stragismo fascista insanguinava l’Italia nascondendo il proprio volto, ritenendo che il terrore anonimo avrebbe facilitato la rinuncia, in cambio di una supposta sicurezza, alle libertà democratiche.

Banca Nazionale dell’Agricoltura, Milano, Piazza Fontana 12 dicembre 1969

Nel mezzo, tentativi di Colpo di Stato – più o meno seri, più o meno da operetta, comunque gravi.

Ed ancora oggi nessuno sa come sia morto, cadendo dal quarto piano della Questura di Milano, Giuseppe Pinelli – suicidio escluso, incidente improbabile.

Nel mentre, il tentato golpe promosso dal “Principe” Junio Valerio Borghese, avvenuto nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970  (organizzato per bene, nessuno scherzo, truppe armate e persino, sembra, un carro armato per le strade di Roma, truppe pronte ad assaltare il Ministero della Difesa e la sede Rai, fu fermato da un ordine che comunicava, più o meno, “contrordine, camerati, sta per piovere”).

La vicenda giudiziaria che ne seguì mandò assolti, per non aver commesso il fatto, un gruppo di rei confessi. Pare pure sia stata una sentenza giuridicamente corretta.

Vent’anni di dittatura fascista, una generazione cresciuta ed educata in quel mondo, hanno portato a lungo con sé il radicamento di molti dentro una cultura che non era (e tuttora non è) facile spazzar via con una dichiarazione d’intenti.

Nella quotidianità, dentro le case, nelle relazioni tra coniugi, nelle relazioni tra padri e figli, tra madri e figli, rimanevano (rimangono) insaputi, dispositivi culturali obsoleti, in alcuni casi ancestrali – ma possiamo dar loro pure il nome di sistemi di valore, perché come tali venivano vissuti – disconfermati, superati nella volontà e respinti, ma che agivano, e agiscono ancora.

Occorreva, e occorre ancora, la consapevolezza che ha sostenuto la Resistenza contro il nazifascismo.

E non dev’essere un caso se proprio in questi giorni mi è avvenuto di incappare nel libro a cura di Irene Soave, e in una rivisitazione di articoli di Camilla Cederna. C’era in approvazione, al Senato, il DDL Zan – doveva essere un passo in più, oggi come allora in un momento difficile per la democrazia italiana, che avrebbe dovuto maggiormente assicurare, come la nostra Costituzione chiede, i diritti alla non discriminazione delle persone sulla base di caratteristiche personologiche individuali. Sappiamo come è finita.

Stiamo vivendo ancora anni difficili, pare. Oggi, un sentimento di pericolo non viene sentito? Non è poi tanto grave?

Era certamente altro il contesto internazionale del tempo che Zavoli narrava. Era il tempo in cui la Spagna e il Portogallo, tra il ’74 e il ’75, uscivano da una lunga dittatura e cadeva il regime dei colonnelli in Grecia. Vale a dire che mentre in Italia tutto avveniva, l’Europa del sud era ancora occupata da regimi dittatoriali.

Altrove pareva morire ogni speranza. Moriva il Cile del Presidente Allende. Tre anni dopo sarebbe caduta l’Argentina sotto una dittatura altrettanto feroce e disumana.

Sono stati anni orribili, luttuosi e, paradossalmente, carichi di un sentimento di vittoria. Era forse il fatto di essere giovani (e giovani, allora, eravamo in tanti): nessun sentimento di sconfitta possibile ci coglieva. In ogni modo, non impreparati. Fiduciosi. Nelle piazze si aveva il tempo di farsi carico del mondo intero, della tragica guerra del Vietnam: ricordo ancora il mio pianto liberatorio alla notizia dell’abbandono del Vietnam da parte delle truppe U.S.A quel 23 marzo del 1973.

E la tragedia cilena – 11 settembre 1973. Si cantava, con gli Inti Illimani, “Venceremos”, ma è stato faticoso crederci.

Nei vent’anni della “Notte della Repubblica” i tempi erano, o sembravano, bui, ma i cittadini italiani hanno saputo difendere la scelta democratica su cui la Repubblica era nata.  

E oggi? I nostri figli e, ormai, i figli dei figli, portano in sé il retaggio di quella storia: gliel’abbiamo trasmessa, volenti o nolenti; compresi i lacci che ancora imprigionavano noi; in cui ci dibattevamo.

Chi è giovane nulla o quasi sa di quegli anni vicini-lontani; ne ha sentito dire qualcosa ma subendo la nebulosità di un tempo che è troppo vicino per essere storia, troppo lontano per essere cronaca (che poi, oggi, quale cronaca dura oltre un giorno?)

L’allegro, fiducioso ’68. Molto più di una speranza: certezze, il mondo, il nostro piccolo mondo, il grande mondo, l’intero pianeta, tra le mani. Che poi era vero, così come lo è ora: il mondo è dei giovani, per il solo banale fatto che il futuro è loro; tra poco, di noi stupidi vecchi con il potere di distruggere le vite dei nostri figli tra le mani, non rimarrà più nessuno. Mentre rischiamo di non lasciar loro alcun mondo.

È finito presto l’allegro fiducioso ’68. Da una parte travolto dai morti delle stragi fasciste  mai rivendicate, sempre sul crinale di una eversione che vedeva coinvolte, forse parti dello Stato, sicuramente elementi di queste ultime. Dall’altra da un terrorismo criminale. Che non faceva, a somma, due opposti estremismi. Una delle due parti vedeva coinvolti apparati dello Stato. Altra cosa. Difficile negarlo.

Da Piazza Fontana, Milano 12 dicembre 1969 a Piazza della Loggia, Brescia 28 maggio 1974

Strage di Peteano, 31 maggio 1972, in cui morirono tre carabinieri per mano di organizzazioni fasciste.

Dal fortunatamente fallito attentato del 7 aprile 1973 al treno Torino-Roma alla devastante strage di Bologna del 2 agosto 1980.

Italicus, da Repubblica.it

Non è fallito l’attentato del treno Italicus del 4 agosto 1974; tragico precedente dell’attentato al rapido 904 che, dieci anni più tardi, il 23 dicembre 1984, fu perpetrato con un’esplosione che avvenne in galleria.

La strage fu riconosciuta quale opera di mafia – che, si sa, è sempre utile; è sempre o quasi complice, è sempre operativa per azioni di questo tipo – nel quadro di una collaborazione con la destra eversiva neofascista.

Nel mezzo, 2 agosto 1980, la strage alla stazione di Bologna.

Dall’altra parte, il terrorismo delle Brigate Rosse, esecuzioni ferocemente rivendicate e dichiarate, nella convinzione di avere al proprio seguito una parte del popolo italiano: dai primi sequestri di persona fino agli omicidi e alla strage del 16 marzo 1978 in cui morirono Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, agenti della scorta di Aldo Moro; e, il 9 maggio seguente, lo stesso Aldo Moro.

Ci penso da un po’. Ho chiamato questo spazio “Parliamone”, implicando – in coerenza (pensavo) con gli obiettivi del blog – che ciò di cui si doveva parlare dovesse aver a che fare, sempre, con Il Libro e i suoi dintorni.

Mi accorgo, e sicuramente scopro l’acqua calda, che Il Libro è, proprio dentro i miei giorni, e i giorni di ognuno, strettamente connesso al particolare del mio mondo, alla relazione che lega questo mio particolare al particolare degli altri con cui condivido un vivere comune; che è, per ognuno, l’esperienza che ne compie: di tutto ciò che accade.

Mi accorgo che, a un certo momento, o in una certa misura, parlare di libri, isolando il loro tempo dal tempo dei giorni in cui vivono con me, può ammutolirli.

Stando così le cose è, credo, necessario, talvolta, parlando (anche) di libri immetterli nella comunità che rispecchiano, e riconoscerci lettori in quanto cittadini (e viceversa).  

Le nostre letture non sono neutre, lo sappiamo bene; siano esse letture di intrattenimento, siano letture di diverso spessore.

Siamo, tutti noi umani, in quanto individui di una specie che si sostiene adattando a sé il mondo naturale, soggetti la cui azione è, per definizione, politica. Mai neutrale nei confronti dei nostri simili e del mondo.

E produciamo libri. Senza di che le nostre appartenenze culturali, le conoscenze condivise – confrontate, meticciate, superate – che ci consentono di vivere svanirebbero, sarebbero foschia di un momento. Un colpo di vento e via.

Penso ai molti che, oggi, non sanno; e, perché no, ai nostri ricordi da riconsiderare  – non è ancora storia, ammesso che, poi, la storia si conosca. Non è più cronaca. Mentre la nostra società è, ancora, e come potrebbe non esserlo, figlia di quel tempo.  

Un altro ventennio è seguito; poi un altro.

Leggere è tirare le fila. Armarci: farlo davvero, non con armi assassine che uccidono e non difendono nessuno. Di libri. Di informazione.

Una canzone oggi, forse, dimenticata. Per ricordare un giorno bello.
Canzone proibita dal governo Salazar del Portogallo, fu trasmessa da un programma radiofonico, molto seguito, alla mezzanotte del 25 aprile 1974, quale segnale d’inizio della rivoluzione dei garofani.
Fu la fine di cinquant’anni di dittatura.



[i] Legge 9 dicembre 1977, n. 903. Ce la siamo dimenticata, pare. Bene, tuttavia, se venisse aggiornata

[ii] Ebbene sì, fino al 10 marzo 1971 l’uso della pillola come contraccettivo era illegale.