orlando-virginia-woolf-oscar-mondadori-1995E così, sommersa da desideri di lettura incongrui, da richiami sui quali mi è difficile arrestarmi, ho riletto, di getto, e con grande partecipazione, «Orlando» di Virginia Woolf, ripromettendomi di scriverne; e ora questo impegno con me stessa, in certo qual modo, mi inguaia.

Un “libriccino” lo aveva definito la stessa Woolf, con riferimento alle dimensioni, relativamente contenute, di un romanzo che, per molti versi, ha la struttura di un lungo racconto; e con riferimento al suo essere stato concepito come un “gioco” tra lei, Vita Sackville-West e Violet Trefusis: due donne, queste ultime, che sarebbe certo interessante conoscere ma che – ed ecco la difficoltà – alla fine della fiera hanno, dovrebbero avere, poco a che fare con l’opera, che vive di vita propria, al di là dell’intenzione che ne ha motivato la scrittura; e al di là del fatto che, in qualsivoglia recensione, non si parli quasi dell’opera in sé e si parli invece sempre delle biografie, delle storie di vita, che l’hanno fatta nascere. Scandalose per l’epoca – e poi neanche tanto.