“Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia…”

Allen Ginsberg, 1979

Allen Ginsberg, “Urlo” (“Howl”) La voce è tratta dall’omonimo film.

Completo questa breve disordinata e parzialissima visita alla beat generation e dintorni (qui e qui): non riesco a non chiudere con la poesia-manifesto da cui tutto è nato – e fa niente se non è proprio <così>, è uno dei tanti <così> di un fenomeno multiforme, di un percorso-sorgente dai tanti rivoli, genitore di molti fiumi, che ancora scorrono; o di cui, forse, oggi, stiamo assistendo alla fine, arrivati ad un mare ignoto (se non confondo l’esaurirsi di un percorso culturale con l’esaurirsi del mio personale percorso).

Mi scuserete, dunque, questo eccesso, quasi un accanimento. Si tratta, temo, di un Amarcord. Dopodiché cambierò orizzonte. Prometto. Farò del mio meglio.

Scuserete anche se tralascio il testo scritto, che è facile trovare. Queste sono parole da ascoltare. Anche, poi, volendo, da leggere.

Avevo tralasciato Allen Ginsberg (1926 – 1997), in questo mio disordinato trastullarmi con la mia giovinezza – solo apparentemente non ci stiamo, con gli anni; le cose, in Italia, arrivavano un po’ dopo, a quei tempi, per non dire che le mie amiche di allora avevano fratelli e sorelle maggiori che aprivano anche la nostra strada.

Avevo tralasciato Allen Ginsberg, dicevo e, nella fattispecie – “Urlo” – non per sottovalutazione ma perché, nella mia percezione, è qualcosa di già dato, per chiunque, è Il Manifesto, una dichiarazione dei diritti dell’uomo, qualcosa del genere: nella memoria e nel cuore di tutti.

Non è così, naturalmente, se non per la percezione distorta di una che (ma è un viziaccio della mia generazione, temo) finge cocciutamente un forever young. E che guarda – e lo sbalordimento non ha risposta – alla propria buona e tranquilla, tutto sommato, vita di piccola borghese forse con qualche senso di colpa ma anche no. Non ha importanza, in effetti. Non c’è nessun male a salvarsi.

È stato ieri: il Nobel a Bob Dylan ha avuto la caratteristica di una pietra tombale su quel percorso. Non l’ho percepito subito, ma è così. Oggi non ho dubbi.

Sta preparandosi ad aver voce una nuova generazione, una nuova voce sta già parlando ai sordi – non può essere che così – mentre si spengono gli ultimi fuochi di ciò che è stato.

Sarà una voce importante, e si leverà – avviene sempre così, nei tempi in cui tutto cambia – in un mondo che potrebbe, come sta facendo, reagire molto male.

Sarà, in ogni caso, una voce vincente; anche qualora avvenga (e di solito avviene) che i costi siano molto alti.

Un sola cosa ancora: sì, si sono viste menti distrutte dalla pazzia: ma quella generazione, che si è espressa con la voce della poesia e della musica,  è stata immensamente sana. E

fiduciosa. Sicura a suo modo della vittoria finale.  In un mondo di pazzi: gli altri.

 

 

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Nota: Se avete avuto la pazienza (sono circa venti minuti) di ascoltare: Rockland è dove aveva sede il manicomio di New York, che ospitava migliaia di persone. Ginsbgerg parla a Carl Solomon e ad altri compagni poeti che vi sono stati “ospiti” .