Ferdinando Pessoa, “Poemi di Alberto Caeiro”. A cura di Pierluigi Raule. Testo portoghese a fronte, Edizioni La vita felice, 1999, 2007

Il custode di greggi

“Pref.

“Leggo, e sono limpido nelle mie intenzioni; ciò che c’è di febbrile nella semplice vita mi abbandona; una calma completa mi invade. Tutto il riposo della natura è con me.”

da Wikipedia. Circa 1956

È giunto il tempo, per me, quello giusto, spero, per vivere pagine lontane, lasciate molte vite fa, senza che mai mi avessero lasciato. Non so se ne sarò capace. Né se potrò, riuscirò a, condividerne qualcosa.

Jack Kerouac: Jean-Louis Kerouac, 1922 – 1969, considerato <il> fondatore del movimento beat (e verrebbe da aggiungere, al solito: “qualsiasi cosa ciò significhi”) è stato, in realtà, e a suo modo, un outsider nel <mondo> che ha creato – come avesse dato il via a qualcosa e, nello stesso tempo, se ne fosse distanziato; è stato seguito da un mondo che, anche sulle sue orme, si andava facendo, mentre è parso non aver mai chiesto ad alcuno di seguirlo.

Lawrence Ferlinghetti, “Scoppi urla risate”, Edizioni Sur 2019

Traduzione di Damiano Abeni

Con una Nota dell’editore, Marco Cassini

 

Un poeta: lo si legge per dare una forma al tempo che stiamo vivendo.

La poesia è concretezza di una nostra ora, di un luogo, ma anche dell’ovunque cui la nostra ora e il nostro luogo partecipano. Da incarnare.

Non si legge un poeta a caso.

Baudelaire fotografato da Étienne Carjat, circa 1862. Da: Wikipedia

Terminata la lettura di “Il narratore” di Walter Benjamin, mantengo un debito di restituzione di quest’opera sentendo, tuttavia, per un verso di averne già dato un’indicazione e che sarebbe, almeno al momento, inopportuno insistervi mentre, per altro verso, il libro è davvero interessante, denso di contenuti – in aggiunta, ben rilevati e riletti da Alessandro Baricco che, per altro verso ancora (lo dico sommessamente e solo dal mio punto di vista) ridonda e, forse, non sempre è condivisibile.

Jorge L. Borges, “Rimorso per qualsiasi morte” e “Assenza”.

In: “Fervore di Buenos Aires”, Adelphi 2010

Traduzione di Tommaso Scarano

 

La poesia parla di ciò che non dice. È monca, come il dolore dell’ignominia.

Questo fa, sempre, la poesia. Evoca, tace, dice, chiede silenzio.

Ogni volta, un seme metterà radici nel tempo di ognuno.

Ogni volta, ci ritroveremo a tendere l’orecchio, ad ascoltare l’immenso non detto.

Sono arrabbiata. Molto. La quotidianità del mondo e di casa nostra investe e travolge la lettura, la scrittura, il pensiero.

Travolge vite. Il quotidiano di casa nostra, che è anche il mio, è ogni giorno più impastoiato nelle difficoltà.

E ci si mettono pure quelli che vogliono uccidere la mia lingua-mamma, la voce della mia terra veneta ormai sventrata, annerita, soffocata da figli degeneri che vorrebbero, sia mai, INSEGNARE NELLA SCUOLA UNA “LINGUA VENETA” TAROCCATA INVENTATA MALNATA – ma come, ma cosa – e con ciò seppellire, senza funerale, mandare in discarica, parole e costrutti linguistici che sono casa, intimità, latte materno; amatissimi lessici familiari.