“Donne perdute“, il Dizionario segnala questo significato tra gli usi del lemma <donna>.
Come non pensare alle donne della propria vita; alle “donne che non sono più con noi“; a quelle che abbiamo, per l’appunto, perduto. E che teniamo ugualmente con noi.
Strana cosa il linguaggio – sta sempre o quasi a significare altre cose.
Sarà il caso, per una volta, di parlare di Donne e di Dizionari? Libri importantissimi, questi ultimi, che tutti possediamo; in molte edizioni, se non altro (anche) perché disponibili online; insieme a Vocabolari dei Sinonimi e dei Contrari, nonché a Enciclopedie varie, da Wikipedia alla (ineludibile) Treccani. E anche le donne stanno nella nostra vita; eccome se ci stanno.
Si rincorrono, da alcuni mesi, e sono riapparse, negli ultimi giorni, sulla stampa, e su facebook, interessanti notizie in merito ad aggiornamenti, o meglio, a correzioni suggerite, richieste, accolte, del lemma <donna> su due (per ora) importanti Dizionari: uno della lingua inglese e uno della lingua italiana.
Sul Vocabolario della Lingua Italiana online della Treccani – è notizia di questi giorni: o quantomeno riemersa in questi giorni, così come era accaduto per l’inglese Oxford Dictionary nel novembre scorso – sono state apportate (o sono in via di aggiornamento) modifiche al lemma <donna>, là dove includeva, come <sinonimi>, significati, o meglio, usi, profondamente sessisti, volgari e dispregiativi.
Per questi adeguamenti – se li consideriamo positivi; io li considero tali, pure in presenza di argomenti che ne evidenziano possibili criticità di cui, se riesco, cercherò di dar conto – va reso merito ad una donna italiana, Maria Beatrice Giovanardi[i]; sia per le modifiche al lemma <donna> del dizionario inglese, sia per aver segnalato all’Istituto dell’Enciclopedia Treccani un analogo problema, nei <sinonimi> del loro Dizionario online.
Ne è seguito un interessante confronto, in un certo numero di articoli che, esprimendosi pro o contro la richiesta di correzioni, hanno richiamato l’attenzione dei loro lettori sulla funzione del Dizionario: “fotografare”, senza giudizio alcuno, la lingua reale, e i suoi usi.
Un breve estratto, reperibile su un articolo di Il Post.[ii]
«(…) In quanto fruitore di un dizionario, dovrei pretendere di trovare registrato il lessico della lingua italiana nella sua estrema varietà e stratificazione: dall’alto al basso, dal formale all’informale, dal letterario al parlato, dal forbito al volgare, dall’antico (arcaismo) al moderno e contemporaneo (neologismo), dal panitaliano (diffuso in tutt’Italia) al regionale o dialettale. Il dizionario assume di rappresentare il patrimonio lessicale nelle sue difformi componenti. Io, lettore, troverò la seria definizione di ciò che il singolo elemento lessicale significa e indicazioni utili per capirne le caratteristiche d’uso. Il dizionario non seleziona il lessico in base a giudizi o pregiudizi morali. Come è da rigettare l’idea di uno Stato etico, così è da rifiutare quella di un “dizionario etico”. Se la società e la cultura esprimono negatività attraverso le parole, un dizionario non può rifiutarsi di documentarle».
E ancora, In “Agenda digitale.eu”, vi era stato, a novembre 2020, un interessante articolo, dal titolo “Sessismo, cambiamo modo di parlare prima di “accusare” i dizionari” che analizza l’argomento per punti, sotto le voci:
Che cosa fanno i dizionari;
Chi compila i dizionari e come;
Cosa fare allora;
Conclusioni.[iii]
Il tutto, dopo aver riassunto l’argomento nell’occhiello così:
“Il dizionario descrive, non prescrive. E di conseguenza, è più l’uso che facciamo della nostra lingua a influire sui dizionari piuttosto che il contrario. Quindi, va bene segnalare eventuali espressioni offensive, ma siamo noi parlanti a dover modificare i nostri costumi linguistici; il dizionario si adeguerà di conseguenza”.
Infine, anche con il sostegno di una petizione su Change.org, il risultato del confronto è stato positivo e i due (per ora) Dizionari hanno accolto la richiesta di modifica.
Tornando al Treccani online, ad oggi, alla voce <donna>, dopo aver declinato i vari usi del termine nella lingua parlata, senza indicazioni che ne qualifichino il contesto d’uso (tipo: fam., volgare, ecc.) il testo attualmente in essere conclude con l’annotazione:
“In numerose espressioni consolidate nell’uso si riflette un marchio misogino che, attraverso la lingua, una cultura plurisecolare maschilista, penetrata nel senso comune, ha impresso sulla concezione della donna. Il dizionario, registrando, a scopo di documentazione, anche tali forme ed espressioni, in quanto circolanti nella lingua parlata odierna o attestate nella tradizione letteraria, ne sottolinea sempre, congiuntamente, la caratterizzazione negativa o offensiva.”
È già stato modificato? No, certo. Non credo.
Sky.it (e non solo) dà notizia del fatto, in data 15 maggio, scrivendo che “Treccani aggiornerà i sinonimi per la parola “donna”: via le espressioni offensive”[iv], con particolare riferimento all’espressione “donna perduta”, dove “il lemma è accompagnato da una serie di esempi di aggettivi frutto di espressioni volgari, derivanti dalla lingua parlata.”
Mi scopro, confesso, preda di una certa qual ilarità per il sussiego con cui viene data la risposta positiva alla richiesta di modifica del lemma, con riferimento (oggettivo, è un dato di fatto) all’impegno con cui i lessicografi periodicamente aggiornano le voci per adeguarle al mutare della lingua e della cultura.
È un buon risultato. E mi ritrovo a rimaneggiare i miei ormai vecchi poderosi Dizionari Treccani; a vagare tra i lemmi <donna>, <uomo>, <femmina>, <maschio>; a confrontare sinonimi e contrari, ed espressioni d’uso. E già che ci sono, diamo pure una veloce (si fa per dire) scorsa alle voci dell’Enciclopedia. Mi ritrovo a sfogliare pagine strizzando gli occhi – non ricordavo che i caratteri di stampa di questi volumi (che nessuno usa più, salvo casi eccezionali, avendo a disposizione per <i piccoli bisogni quotidiani> l’online) fossero tanto piccini. Neppure ricordavo quanta muscolatura venisse richiesta per un <lavoro> che mai è stato considerato <manuale>, e accidenti se lo è: non volendo, forse, ammettere di essere più vecchia e stanca di quanto pensassi. Comunque un intermezzo divertente.
Tra parentesi: pure se inclusi come sinonimi, in particolare per il lemma <donna> , trovo registrati per lo più <usi>, talvolta aggettivazioni, del vocabolo, aventi a che fare con la lingua parlata, o anche scritta, in particolari contesti dove la classificazione (se è corretto definirla così) di <sinonimi> è, volendo, anche impropria.
Ma ci sta: e io non sono una lessicografa. È reale che la funzione di un Dizionario stia nell’indicare, con il lemma, l’uso, la frequenza dello stesso e il contesto in cui i parlanti/scriventi una lingua lo utilizzano; così come indicarne una qualifica (spreg., volgare, desueto; ecc.). Non è colpa del Dizionario la condizione sociale delle donne. E purtuttavia…
Compete al Dizionario anche il compito di “ufficializzare”, “istituzionalizzare” l’uso di un vocabolo: doverosamente, se si tratta di uso altamente presente nella lingua; segnalandolo come desueto, volgare, dispregiativo, consegnandolo in prospettiva alla sparizione, quando si tratti di un lemma il cui uso è divenuto marginale e socialmente improprio.
Sarà infine compito del Dizionario eliminare l’occorrenza di un lemma quando esso sia divenuto di uso molto limitato e socialmente inaccettabile.
Dopotutto, se la frequenza d’uso di un vocabolo, o di un modo di dire, avesse, per il Dizionario, carattere prescrittivo in via assoluta, senza doverne porre in relazione la ricorrenza, in quanto culturalmente accolta, alla sua opportunità d’uso, il Dizionario stesso dovrebbe contenere anche un elevato numero e elevate varianti di fragorose e talvolta originalissime bestemmie – che giustamente nessun Dizionario (e peraltro nessun parlante, nonostante l’uso) considera espressioni <legittime> della lingua.
Facciamoci caso: dovendo insegnare a un bambino in età prescolare a NON dire le “brutte parole”, è necessario, come ogni adulto ben sa, che il bambino ce le serva, d’anticipo, perfettamente contestuate nonché, eccezionalmente, con insolita e inopportuna perfetta pronuncia (avendole udite e apprezzate in forza della carica emotiva che possiedono).
Solo in seguito a una proibizione d’uso, dunque, il bimbo potrà accedere all’informazione per cui le parole, oltre che un significato, possiedono anche un segno: positivo, negativo, gentile, aggressivo, e via così fino, per l’appunto, alla loro assoluta indicibilità.
Rimane ugualmente certo che uno straniero, impegnato ad apprendere l’italiano parlato, e non solo, dovrà infine conoscere un buon numero di csiddette “parolacce”, per sapere di doverne evitare l’uso. Perché, è certo, le incontrerà, e anche spesso, nella sua frequentazione dei parlanti madre-lingua.
Come detto: Occorre apprendere quali siano le BRUTTE PAROLE da non dire MAI! E non solo per motivi formali. Per motivi sostanziali; perché ciò che non ha parole per essere detto – l’odio, il disprezzo, il piacere di far del male, di umiliare, di offendere – finirà per non possedere il corrispondente sentimento.
Per converso, mandare in discarica certe espressioni, anche d’uso, comune, è educativo. Ci migliora come persone. Perché tutti noi siamo le parole che pronunciamo; siamo la nostra lingua.
Non arriveremo mai a far perfettamente coincidere il nostro pensiero con le parole che usiamo, è ovvio ma, come si dice (o si diceva ai miei tempi) la persona veramente beneducata è quella che usa le mollette per prendere la zolletta di zucchero da mettere nel caffè anche quando è sola.
Ecco il punto: il fatto che il Dizionario NON accrediti, e dunque neghi, gli usi di certe espressioni costituisce una importante positiva informazione d’uso che ci viene fornita.
Il dizionario, è stato giustamente detto, “descrive, non prescrive”: ma a ciò non consegue che sia solo “l’uso che facciamo della nostra lingua a influire sui dizionari”. Ne consegue pure che il Dizionario influisca sul linguaggio aiutandoci a definire ciò che è, appunto, linguaggio e ciò che non dev’essere considerato tale.
Il Dizionario svolge dunque anche una funzione di sostegno al cambiamento, fornendo al gruppo sociale dei parlanti le <giuste> parole da utilizzare per comunicare efficacemente.
Oggi, attraverso il tema del femminile nel nostro sociale; e attraverso le parole che lo denotano e lo connotano, è in gioco molto. Vogliamo, anche con l’aiuto delle parole che il Dizionario ci fornisce, descrivendoci, aiutare un cambiamento che…cosa?
Sarebbe interessante parlarne.
[i] Maria Beatrice Giovanardi è un’attivista per i diritti delle donne intersezionali ed esperta di marketing. Forte di una decennale esperienza di vita e lavoro in USA, India, Cina e Inghilterra, ha promosso campagne di advocacy per i diritti delle donne in diversi paesi.
[ii] Vedi: https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/domande_e_risposte/varie/varie_78.html
[iii] https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/sessismo-cambiamo-modo-di-parlare-prima-di-accusare-i-dizionari/
[iv] https://tg24.sky.it/cronaca/2021/05/15/treccani-donna-sinonimi
[1] http://smell.ilcannocchiale.it/2010/10/31/per_tutte_le_grandi_madri_di_p.html