Non tutti i paradossi sono paralizzanti

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David Foster Wallace, “Di carne e di nulla”, Einaudi 2013

Traduzione di Giovanna Granato

 “È una storia d’amore che conoscete già. Un prode cavaliere scorge una gentil pulzella alla lontana finestra di un castello minaccioso. I loro sguardi si incrociano, separati dalle brume della brughiera riarsa. Chimica istantanea. E così il bravo cavaliere va dritto sparato al castello, brandendo la lancia.”

Ovviamente ci sarà il drago da sconfiggere. E il cavaliere provvederà, mettendo in gioco la propria vita. Perché?

Lo si sa bene. Pure se non si dice.

«Gentil pulzella» significa «vergine piacente» (…). Perché c’è poco da fare gli ingenui: sappiamo per che cosa si batte il cavaliere. State pur certi che dopo aver scannato il drago non si accontenterà di un: «Mio eroe» ansimato dalla pulzella.”

Incipit perfetto. Il lettore, a questo punto, non lascerà la lettura. Vorrà sapere: dove andrà a parare il Nostro, dopo questo inizio? Dopotutto, ha scritto un saggio. Non un racconto. Ed è abilissimo a prenderla da un apparente altrove per farci scoprire, non solo di cosa si tratta, ma soprattutto che: sempre di ciò si tratta; dove quel <ciò> ingloberà, saggio dopo saggio, gli argomenti più disparati e inattesi.

A seguito di un aggancio leggero, talvolta ilare, di un avvio di conversazione dal tono salottiero, in cui si parla d’altro, ci troveremo ridacchianti ma, come dire, a nervi tesi, sospettando di dover affrontare temi importanti, incerti dell’ovvio apparente. E d’improvviso, siamo pronti ad incontrare, in piena luce, qualcosa che già sapevamo ma che, talvolta, spesso, quasi sempre, preferivamo tenere nell’ombra. Per un qualche timore del doverci fare i conti.

I temi saranno i più vari. Dall’11 settembre alla scrittura, al cinema. Sempre parlando di noi. Del fatto che “se dimentichiamo come morire, finiremo col dimenticare come vivere”.

Argomenti diversi, legati da un filo nascosto che ci inviteranno non tanto, o solo, ad evitare gli stereotipi e i luoghi comuni propri di un pensiero pigro, della quotidianità, ma soprattutto a guardare il nostro mondo con stupore: infantile, direi, vale a dire curioso, scientifico, creativo; e dunque naturalmente disposto alla scoperta; da cui trarre conclusioni.

Il primo pezzo – Titolo: “Di nuovo fuoco e fiamme” – apre una raccolta di dodici articoli-saggi, seguiti dalla trascrizione di tre interviste a D.F.W.

Reincontrando questo libro, ho fatto mente locale al fatto che, mentre sta scorrendo l’ottavo anno da che ho aperto questo spazio di condivisione, credo sia giunto il tempo, per me, di rivisitare alcuni dei miei narratori del secondo ‘900; degli autori da cui sono partite le pagine che ho sentito il bisogno di condividere. Talvolta anche osando troppo, per la verità, come nel caso di D.F.W. ma non solo.

In uscita, si spera, da questo nostro tempo di incertezza malata – nel mio caso anche un po’ confusa dai desideri dei troppi libri che mi precipitano addosso, che rendono la scelta quasi impossibile, scollegata dalla necessaria relazione ai giorni, al pensiero, a un progetto – sento il bisogno di fare il punto.

Così, mentre, con grande lentezza, proseguo il viaggio con Patrick Fermor verso Costantinopoli, leggo; al lento ritmo di un cammino che si dia il tempo per incontrare gli altri – le loro lingue, i loro riti, le loro case, le loro architetture; i loro modi dell’accoglienza – come ogni viaggiatore fa, in effetti. Un buon viaggio ha le sue soste, contiene in sé altri viaggi.

E mentre, nelle soste del giorno, cerco di ascoltare i versi, tradotti in una “prosa poetica” che mi affascina, che narrano il mito fondativo del genere umano nel Paradiso Perduto di Milton, la sera, come viatico al sonno, tra un giallo e una rilettura, ho ritrovato David Foster Wallace.

Penso al fatto che mi manca la lettura di “Il re pallido”, del suo ultimo lavoro incompiuto; che dovrò leggere; che chiede di fronteggiare davvero la sua assenza – che non può essere accaduta, mi dico ancora, non mentre stava scrivendo. Avevo invece cercato di riportare, qui (a proposito di aver osato troppo) una pallida restituzione della lettura di: “La scopa del sistema” e, attraverso un piccolo percorso a tappe, di “Infinite Jest”.

Non avevo mai condiviso la lettura di un libro non di narrativa di D.F.W.. Saggi, articoli, reportage che fanno compagnia; e che portano pensieri: ilari, stupiti, carichi di gravità.

Ora, mi sembra di dover/poter ripartire da questo Di carne e di nulla”, raccolta di articoli, di brevi saggi. Perché ci sta: nel loro essere composti da riflessioni, in qualche modo di cronaca, trasportati oggi al nostro tempo e luogo, tradotte nella e dalla diversità dei luoghi e nella diversità del tempo in cui sono stati scritti, (dal 1996 al 2007), mostrano una perfetta corrispondenza, un’aderenza totale al nostro oggi, che il genio di D.F.W. aveva già veduto.

Sono saggi che si leggono in perfetta scioltezza; con qualche sorriso – e il lettore si troverà immerso, sempre un po’ di più, nelle tesi che, di argomento in argomento, nell’apparenza dell’ovvio, lo lasceranno preda dell’incredulità che accompagna, sempre, la <scoperta> di ciò che avevamo sempre saputo.

Incontreremo un sapere, presente in ognuno di noi, che se ne stava nascosto; che veniva respinto, bellamente negato; da dove, dunque, lo stupore?

La risposta, volendo accoglierla, chiederà tempo, e una messa in discussione di noi, dei nostri autoinganni. Chiederà la leggerezza che segue, con l’accoglienza di un pensiero, al dismettere un pesante fardello che – ma com’è stato possibile? – portavamo, inconsapevoli, sulle spalle; che non sapevamo di portare e, soprattutto, di poter dismettere.

Gli argomenti: i più vari.

Dai film “a grosso budget” degli anni ’90, in cui D.F.W. avvia la sua riflessione assegnando a James Cameron il titolo di inventore, con “Terminator” e sequel, del genere “Porno a effetti speciali” (“«Porno» perché se sostituite effetti speciali con rapporti sessuali, i paralleli fra i due generi diventano di un’evidenza inquietante”) per passare all’esplorazione – dolorosa e liberatoria – del rapporto che lega lo scrittore alla sua opera.

Si ride, si soffre, riflettendo sulla (anche propria) scrittura. Si arriva a capire che “non tutti i paradossi sono paralizzanti”, dovendo fronteggiare la possibilità di raggiungere “uno strano modo di tollerare te stesso e dire la verità, anziché un modo per sfuggire a te stesso o proporti in una maniera che secondo te sarà massimamente apprezzabile (…)”.

Ed ecco che la scrittura “si rivela il miglior divertimento che esista (…) e il premio dell’affetto degli estranei in confronto è polvere, filaccia”.

Incontreremo romanzi americani che D.F.W. considera capolavori e che invece sono passati quasi sotto silenzio (sconosciuti in Italia?).

Rifletteremo sull’apprezzamento di cui sta godendo la matematica nella narrativa e non solo, da cui libri e film, per cui “la tecnologia astratta ormai è sexy, il matematico un eroe commerciale praticabile”. Si analizzerà il fenomeno sotto il profilo della sua commerciabilità (a quale pubblico interesserà?) ma si spezzerà una importante lancia a favore della natura artistica della matematica – sempre il paradosso (apparente?),

E dove abbiamo lasciato il nostro cavaliere e la gentil pulzella? Quel primo pezzo, dal titolo “Di nuovo fuoco e fiamme” (1996)?

Cosa seguirà all’incipit? Cosa incontreremo?

Nient’altro se non l’amore al tempo dell’AIDS, da quando, in un recente ieri – l’oggi in cui D.F.W. scriveva questo pezzo era il 1996 – il mondo intero si è trovato a fronteggiare il drago; a difendersene mentalmente, pur conoscendo la propria falsa coscienza, lo sforzo inutile di relegarlo in un contesto di marginalità (niente a che fare con me! Cosa per omosessuali e tossici!); a scoprirlo dilagante, oltre che presente, nel mondo tutto dell’eterosessualità, vera o supposta in quanto prescritta …ma guarda un po’, proprio ora che la sessualità umana si era liberata, finalmente, di tutti quegli orpelli morali, fatti di regole e divieti obsoleti, finalmente protetta da rischi di malattie (curabili), gravidanze non volute (evitabili) e così via.

“Niente meno che un Armageddon sessuale – una violenta conclusione della spensierata carnalcopia degli ultimi tre decenni.”

La battaglia finale? tra il Bene e il Male! E no, no, no, era stato tutto tanto bello, finalmente! C’è chi si ribella! Chi nega! Buttando il cuore (si fa per dire) oltre l’ostacolo. Vinceremo! E forse sì o forse no. Tornerà mai tutto come prima?

David Foster Wallace

Ed ecco il Nostro che ci invita a – che anzi ce lo dice tranquillamente che – dobbiamo guardar meglio. Dobbiamo sapere. Di noi.

Verremo ricondotti alla presenza della gentil pulzella: ma senza drago, senza ostacoli, con lei che spalanca il portone e abbassa il ponte levatoio all’arrivo del cavaliere; mentre “sfoggia un pagliaccetto di Victoria Secret’s e gli fa cenno col dito di avvicinarsi”.

“Sono l’unico – ci chiede D.F.W. – a scorgere un’ombra di delusione sul viso del cavaliere, un leggero, improvviso afflosciarsi della lancia?”

Da qui in poi il sorriso con cui eravamo stati intrattenuti se ne va e fa spazio al pensiero. Alla riflessione: su cosa sia la sessualità umana, che non è mai, che mai dovrebbe o potrà essere, “spensierata”.

Il pensiero, la riflessione, sarà articolata; ci verrà detto (ricordato) a proposito della nostra sessualità, il suo essere “lo sforzo di stabilire un contatto fra noi, di erigere ponti sui baratri che separano un io all’altro”.

Ci verrà mostrato che “la sessualità riguarda, in definitiva, l’immaginazione”. Ci verrà detto dell’aiuto che l’AIDS potrebbe aver dato al preservarne il significato e il valore.

La chiusura di questo pezzo, dentro poche righe, sarà materiale su cui esercitare a lungo il nostro cercar di conoscere la nostra individuale umanità; da ripensare, su cui tornare.

Un pacchettino di pagine dal sapore profetico; da rileggere oggi, nel tempo che stiamo vivendo, mentre ancora una volta siamo alle prese con un drago da sconfiggere. O almeno di cui tener conto. E, forse, da dover ringraziare?