Mi ritrovo ad avvicendare il punto d’accesso ai giorni che il mondo sta vivendo, travolta dall’impossibilità di costruire una scala di priorità degli orrori; così come dal non far assumere all’ultimo orrore in termini di tempo il diritto alla priorità nell’attenzione.
Non riesco a dare la priorità all’orrore che mette a rischio, per una qualche forma di prossimità a noi, la nostra quotidianità, la nostra tranquilla permanenza nei giochetti rituali cui siamo usi, più o meno indegni – economico-sociali, politici, relazionali – di cui amiamo scandalizzarci ma non per davvero, non del tutto.
Temo ci piaccia fingere che non esista via d’uscita dal noto pantano, per non dover scegliere un impegno personale: per ognuno di noi (io compresa) saranno sempre altri a dover fare qualcosa, ad essere colpevoli di qualcosa.
Non esiste una distanza che ci ponga al riparo: c’è quella faccenda del mondo fatto a sfera che non consente alcun farsi più in là senza un ritorno al punto di origine, ad incocciare la nostra personale responsabilità.
C’è l’inevitabile relazione che ci lega, tutti, ad un unico destino su di un unico mondo nel quale nessuno è straniero: nel nostro mondo, tutto si tiene, l’ieri e il domani, l’una e l’altra area geografica, gli amici con i nemici, il mondo naturale, il clima, le guerre, i modi della produzione e del consumo..
Non frequento questo spazio da un mese. Cestino pensieri incompleti, allo stesso modo in cui abbandono e riprendo letture l’una delle quali mi rinvia all’altra, per dettagli privi di solo apparente consequenzialità. Mi sento alle prese con i giochini per i risolutori bambini della Settimana Enigmistica – La pista cifrata, Che cosa apparirà, privati dei numeri ad indicare un percorso da seguire, privati dei puntini ad indicare le aree da colorare per far sì che il disegno emerga.
Non ha importanza alcuna, penso, il punto di accesso dal cui pensiero sceglierò/sceglieremo di farci travolgere: se dalla lettura di un articolo di giornale, dall’ascolto di una news sull’ultima fantasia del politico o del dittatore di turno, o dall’orrore dei quotidiani massacri che induce in ognuno di noi un’anestesia delle emozioni. Costo collaterale: non farci più provare il piacere di ricevere una carezza.
C’è, nelle tragedie di questi giorni, un retrogusto di grottesco a far sì che ogni notizia si equivalga nel far sistema con ogni altra.
Notizia di qualche giorno fa, ormai scaduta, immagino: In Argentina, il Presidente Milei ha cancellato / si propone di / ipotizza di cancellare l’obbligo scolastico “in nome della libertà” dei genitori di decidere in proposito: anche i bambini, dopotutto, possono lavorare e contribuire al sostentamento della famiglia.
Nel nostro mondo ci scandalizziamo, dimenticando che un pezzetto, neppure tanto piccolo, del nostro benessere viene assicurato anche dal lavoro di bambini appartenenti ad <un qualche altro mondo>, impiegati in lavori ad alto tasso di fatica / disagio / rischio per la loro salute e per la loro stessa vita.
Tornando a quanto potrebbe avvenire / avviene in Argentina, fatico a non ricordare che anche l’Argentina appartiene al solo, unico mondo che tutti abitiamo. Di più: la maggior parte degli argentini ha origini e, in quantità non limitata, passaporto italiani.
È ancora viva, attiva, sanguinante e, temo, dimenticata dal resto del mondo, la storia delle Madres de Plaza de Mayo e delle Abuelas Argentina con Nietitos Desaparecidos; la lotta delle madri e delle nonne di Plaza de Mayo che, dal 1977, hanno lottato per avere risposte sulla sorte dei propri figli, per ritrovare e avere certezze sul destino dei propri nipoti, vittime della dittatura (1976 – 1981) di Jorge Videla.

Le madri che diedero vita al movimento ci hanno lasciato, ormai; altre proseguono la lotta.
Oggi, il Presidente Milei (che non è capitato a caso alla guida dell’Argentina, bisognerà pur dirlo) pensa bene di togliere la scuola ai futuri cittadini del suo Paese.
Nella nostra Italia l’obbligo scolastico è smangiato ai margini da un abbandono scolastico precoce, con il lavoro minorile (nel migliore dei casi) come suo ovvio correlato.
Consideriamo illegale il lavoro al di sotto dei sedici anni, senza tuttavia un organico percorso scolastico per il biennio (insufficiente comunque) post Scuola Media: l’illegalità è davvero tale quando viene ampiamente tollerata dal silenzio complice della società che la esprime?
Guardiamo al nostro mondo con qualche tipo di paraocchi; limitiamo il nostro orizzonte, al meglio, all’area geopolitica in cui siamo nati e che consideriamo rappresentare il nostro contesto di appartenenza. Diciamo, senza dirlo: “Siamo Europei, siamo Occidentali, facenti parte di un Patto Atlantico che, costituendo una difesa comune, ci identifica senza dubbio alcuno come un <altro da>”.
In sintesi: siamo “bianchi” (più o meno, e per quanto la pigmentazione della nostra pelle, qualsiasi cosa ciò significhi, sia minoritaria nel pianeta); siamo in buona parte, almeno formalmente, fedeli di una religione che, da quando non ha più potuto evitare di farlo, deplora la guerra; la nostra Costituzione, la più bella del mondo “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
È davvero il caso di continuare a cullarci nell’ipocrisia?
Nel mentre, a casa nostra è stata ipotizzata l’idea di ritornare a separare gli alunni organizzando la scuola in enclave in cui riunire i (supposti) bambini in difficoltà linguistica e culturale in quanto (figli di) stranieri e, per converso, isolando dal mondo reale anche gli altri, i <capaci>.
Il progetto pare sia stato abbandonato in quanto non realizzabile sul piano organizzativo: con poche obiezioni sul fatto che, qualora lo fosse – o dove, vedi caso, lo sia – si tratti di una pessima idea.
Abbiamo oggi un “Ministero dell’Istruzione e del Merito”. Nella titolazione è scomparso l’aggettivo “Pubblica” che definiva il sostantivo “Istruzione”. Cosa dovrebbe significare “del Merito” ?
Cosa pensiamo di fare con gli scolari, con gli studenti che, a giudizio di vattelapesca chi o di vai a sapere quali standard, “non avranno meritato” o avranno smesso di meritare in corso d’opera?
Che ne faremo delle ragazze e dei ragazzi che non avranno meritato? Li inviteremo ad emigrare? Li abbandoneremo a ciondolare nell’inutilità per se stessi e per altri, aggregati in piccole/medie/grandi bande, nel migliore dei casi anche solo disturbanti i nostri / loro concittadini – vecchi decrepiti, tutti – benpensanti?
Siamo uno strano Paese. Ci proponiamo di selezionare, tra i nostri pochi giovani, i meritevoli, di formarli per bene (le nostre Università non demeritano nel panorama internazionale) per poi invitarli di fatto a fuggire all’estero per lavoro e, nel mentre, facciamo del nostro meglio perché il vuoto che avremo creato non rischi di venir colmato da giovani uomini e donne che provengano da territori diversi dal nostro.
Dimentichiamo – o davvero non sappiamo? – che l’Italia, in un recente passato Paese di emigrazione, è stata, nei secoli per non dire nei millenni, paese di immigrazione; che la popolazione italiana è forse la più felicemente meticciata del mondo: avrà a che fare con quello che veniva considerato il genio italico?
Nel frattempo, a sostenere il valore della nostra letteratura, a favorire l’abitudine alla lettura, possibilmente di qualità, ci pensano i Premi Letterari tra cui, come eccellenza, il Premio Strega.
Nell’edizione 2023 proprio lo Strega è inciampato nel giurato Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano che, nel corso della cerimonia di assegnazione del Premio, condotto da Geppi Cucciari, ha detto, con grande scioltezza:
“Ho ascoltato le storie che sono espresse in questi libri finalisti e sono tutte storie che prendono e fanno riflettere. Ecco, proverò a leggerli.“
Il seguito, pur noto, merita di venir ricordato:
Geppi Cucciari: “Ah, non… non li ha letti?“
Ministro: “Sì, li ho letti perché ho votato però voglio, come dire, approfondire questi volumi”.
Geppi Cucciari: “Cioè oltre la copertina… Dentro”. (qui)
Dovremmo forse dire che l’inciampo è da considerarsi a carico del solo Ministro, senza tangere in alcun modo il Premio? Non credo proprio.
Tale gaffe ha dato il via a, temo, una piccola frana che sta evidenziandosi, oggi, nell’edizione 2024 in corso. Sarà una cascatella di sassolini, poca cosa cui, tuttavia, potrebbe far seguito un movimento franoso di una qualche consistenza? Non lo sappiamo ancora: staremo a vedere cosa ci riserverà il futuro.
Sappiamo oggi – edizione 2024 – che ogni giurato, per scegliere i 12 libri da candidare al Premio, dovrebbe aver letto gli 82 libri proposti nel tempo di un mese o giù di lì; e averne prodotto, immagino, una recensione, una scheda tecnica, qualcosa del genere, dopo aver concordato (sempre la mia immaginazione?) linee guida condivise per formulare il giudizio richiesto.
Una cosa la possiamo dire: non era davvero il caso di infierire sul Ministro Sangiuliano perché è / doveva essere chiaro a tutti, da subito, che la gaffe non era consistita nel fatto che lui e lui solo avesse letto unicamente la quarta di copertina o giù di lì dei libri sottoposti al suo giudizio.
La gaffe era consistita nel <dirlo>, in quanto implicava il fatto che i giurati, chi più chi meno, NON leggono, quantomeno non tutti, i libri sottoposti al loro giudizio.
Potremmo dunque, al più, far carico al Ministro del fatto che avrebbe ben potuto essere meno simpaticamente naïf nell’esprimersi in un contesto formale, la naïveté essendo, tuttavia, una caratteristica del comportamento che, a suo modo, si fa apprezzare per sincerità nella relazione.
Ancora: anche la critica 2024 è, a onor del vero, almeno parzialmente ingiusta: i libri partecipanti al Premio Strega sono scelti tra quelli pubblicati nel corso dei dodici mesi precedenti, “dal marzo dell’anno precedente al febbraio dell’anno in corso” e dunque la lettura degli stessi poteva essere / era già avvenuta.
Voglio dire: andiamoci piano. Le situazioni di questo tipo sono complesse, le variabili sono diverse e interagiscono tra loro; alcune neppure sarà possibile prenderle in considerazione. Diciamo che probabilmente qualche giurato avrà letto solo le quarte di copertina mentre qualcun altro avrà letto la trama dei libri su Wikipedia e magari preso qualche appunto; qualcuno avrà letto velocemente “saltando le parti descrittive” così come si faceva a scuola con “I promessi Sposi” e con le meravigliose pagine su l’assalto ai forni – per poi venir infilzati da un cattivissimo professore che proprio su quelle pagine (giustamente) interrogava.
Nel mentre, in molte parti del mondo cadono le bombe, si fanno macerie di case, ospedali, attività finalizzate al vivere, la gente muore di fame, malattie, disperazione.
Confesso, mi vergogno di star a parlare, a scrivere di libri (e soprattutto a scrivere sciocchezze come queste).
Ho tuttavia libri la cui lettura sento il bisogno di condividere; di cui scriverò. Magari poco ma scriverò.
La sola cosa utile che posso fare è accettare di vergognarmi: della vita che ho avuto, dei privilegi di cui ho goduto e continuo a godere. Almeno questo.





