La lettera scarlattaNathaniel Hawthorne, “La lettera scarlatta”, Einaudi 2008

Rileggere questo romanzo è stato un grande piacere; ed è stata la lettura di un libro totalmente nuovo, nel corso della quale il fatto di conoscerne la storia è risultato ininfluente. Ero alle prese con un testo che, per me, aveva mutato di significato. I fatti erano gli stessi, la lettura di quei fatti non lo era. Molto interessante.

Ho potuto gustare tutta la ricchezza di questo romanzo, la ricchezza di letture possibili, ma soprattutto la ricchezza di tonalità del linguaggio di Hawthorne che conduce a un grande coinvolgimento, nella pluralità delle storie che compongono il romanzo, dato dalla pacatezza con la quale il tutto è narrato, dal gioco, che ammicca al lettore, dell’assenza (impossibile) di un punto di vista (che ovviamente c’è) da parte dell’autore; dalla partecipazione agli avvenimenti, dalle alleanze ai punti di vista dei diversi personaggi che, di volta in volta, vengono proposte al lettore.

Avevo dei propositi, dei progetti, su come avrei proseguito queste pagine dopo la rilettura di “La mia Africa”, di Karen Blixen.

Nathaniel Hawthorne
Nathaniel Hawthorne

I propositi ci sono ancora, ma io, nel frattempo, sono stata molto colpita da un fatto di cronaca, e mi va di parlarne perché, per me, ciò ha avuto a che fare con il meccanismo che mi porta a transitare da un libro all’altro, e a spaziare, tramite il libro, da un tempo all’altro. Vi ha avuto a che fare per il collegamento che ogni libro potenzialmente crea con ciò che accade, ogni giorno, nel nostro mondo; siano fatti privati, fatti della nostra vita quotidiana, siano fatti della società in cui viviamo; e perché ognuno di questi fatti ha a che fare con l’esercizio della cittadinanza che ogni persona agisce ogni qualvolta si interessa ai fatti altrui, da ciò che avviene nel quartiere in cui abita a ciò che i giornali riportano dal livello sociale più ampio.