Non leggeremo più un nuovo libro né un fondo di Umberto Eco; una manciata di allegria, di serissime parole per scherzo; non verremo più colpiti da riflessioni, apparentemente a caso, cui non potrà seguire replica ma solo pensiero, che si insinuerà, senza parere, nelle nostre coscienze, aiutandoci a non abbrutirle, e insieme a non prendere troppo sul serio la riflessione che ci viene regalata, insegnando il dubbio sacro, l’abitudine a mantenere aperte le domande e le soluzioni.
Cosa sarà di tutti i suoi libri? Soprattutto di quella strana, grande, bellissima collezione di idee sbagliate che nei tempi l’umanità ha profuso e che il nostro ha raccolto, con cura, con amore, dove anche l’orrore per certi abomini del pensiero si sposa con l’amore per un’umanità che – tutti, sempre, anch’io, sembra dire lui – pensa a sbando (la sentite la parolaccia che non ho osato? Temevo la bacchettata sulle dita del professore). Se lo domandava lui stesso, in un bel libro scritto con Jean Claude Carrière – “Non sperate di liberarvi dei libri “. Se volete, qui ne trovate una recensione
Per me, tra i suoi tanti grandi lavori, stamattina ho recuperato “Diario minimo”, il primo, 1963 (ehi! Il professore, al tempo, aveva trent’anni e poco più, ed era quell’Italia lì! Non era facile scherzare, non così!) e mi sono riletta “Nonita” (non ve lo ricordate?) e ora passerò a “Elogio di Franti”. Umberto Eco, il ‘maestro’, che si è nutrito di insegnamento, che ha nutrito studenti e non, che ci lascia mentre è ancora, sempre, al lavoro, sempre nascondendo, sotto una raschiante divertente ironia, la sua ricchezza di amore da regalare. Di capacità di sperare.
Consola, poco, troppo poco, la sua parola che ci rassicura: i libri, cartacei, da mettere in tasca, da spiegazzare, da segnare con pieghe alla pagina, che non si perda il segno, da rovinare con commenti a margine, sottolineature, a matita se possibile, anche se non li ripuliremo mai – i libri, diceva, non ci lasceranno mai. Rallegra, la concretezza che pone nel rassicurarci: “Vorrei che si salvasse in particolare la possibilità di bagnarsi il dito, che è fondamentale. E’ una soddisfazione orale, un retaggio della nostra infanzia. In fondo potremmo dire che leggiamo libri perché non possiamo più mettere in bocca il ciuccio.”
Ci sarà una nuova Casa Editrice – La nave di Teseo – a farlo vivere. Speriamo. Attendiamo. L’ultimo grande regalo di una vita regalata non “alla cultura”, ma proprio a noi, a tutti, uno ad uno.
Ciao, professore, manchi già tanto. Ora dovrò cercare tutti gli articoli – i coccodrilli, e vedo già il tuo ghigno – che raccontano di te.
Mi scusi, mi accorgo ora che dovrei darLe del Lei. Scusi ancora. Almeno, non è un coccodrillo. È solo che le voglio bene.