Carlo Rovelli, «Sette brevi lezioni di fisica», Adelphi
«Noi, esseri umani, siamo prima di tutto il soggetto che osserva questo mondo, (…). Siamo nodi di una rete di scambi, di cui questo libro è un tassello, nella quale ci passiamo immagini, strumenti, informazione e conoscenza. Ma del mondo che vediamo siamo anche parte integrante, non siamo osservatori esterni. Siamo situati in esso. La nostra prospettiva su di esso è dall’interno. Siamo fatti degli stessi atomi e degli stessi segnali di luce che si scambiano i pini sulle montagne e le stelle nelle galassie»
Sul mio tavolo ci sono un pacchetto di libri, che ho acquistato, che ho scelto. Che desidero leggere, che mi corrispondono, almeno credo. Pure, forse un articolo particolare letto, forse il bisogno di riposare la mente su qualcosa che permetta al quotidiano di prendere un’altra dimensione, ed ecco che nelle mani ho un altro libro, di altra area. Mi incuriosiva da tempo, per la verità.
Sono incerta, guardo il pacchetto di libri la cui lettura sto posticipando, apro il nuovo libro, incappo quasi subito in qualcosa che fa cadere ogni residua resistenza.
«Da ragazzo, Albert Einstein ha trascorso un anno a bighellonare oziosamente. Se non si perde tempo non si arriva da nessuna parte, cosa che i genitori degli adolescenti purtroppo dimenticano spesso». Perché poi dovrebbe valere solamente per gli adolescenti?
Ed eccomi qui con Carlo Rovelli e il suo libricino assolutamente appassionante per quanto contiene in merito agli orizzonti attuali della fisica, a ciò che oggi conosciamo e a ciò che ipotizziamo sull’universo in cui siamo immersi, sul tempo e sullo spazio. Mi trovo immersa in qualcosa che, pur risultandomi in buona parte altamente controintuitivo, a patto di un piccolo sforzo apre orizzonti fantastici, «un mondo colorato e stupefacente, dove esplodono universi, lo spazio sprofonda in buchi senza uscita, il tempo rallenta abbassandosi su un pianeta, e le sconfinate distese di spazio interstellare s’increspano e ondeggiano come la superficie del mare».
Ma c’è molto altro, in questo libro, ed è ciò che trattiene nella lettura anche quando le «lezioni» – lui le chiama così – del professor Rovelli costringono a ritornare sull’ultimo periodo letto o, può capitare, a lasciar perdere i dettagli (non c’è problema, abbiamo tutti concluso i nostri cicli di studi lasciando ampiamente perdere i dettagli; per non dire di ciò che facciamo quando siamo alle prese con un buon autore di fantascienza).
Si tratta di un qualcosa che costituisce il significato di fondo di questo piccolo libro: una riflessione che dà ragione della ricerca umana in ordine a domande necessarie come l’aria che respiriamo, che non a caso da tremila anni occupano l’interiorità di ogni uomo, in un dialogo ininterrotto che impegna non solo i grandi pensatori, e decide del significato che ognuno dà alla propria vita e alla vita della comunità cui appartiene.
Rovelli ci offre un quadro che consente di guardare a tutte le menti che, nel corso di tremila anni di storia, hanno reso la ricerca umana un percorso condiviso, attraverso epoche, e confini, incidenti della storia, confusione delle lingue.
Tutta la storia della ricerca umana risulterà, per questa via, un dialogo. E mentre oggi vediamo l’uomo e il suo mondo essere parte infinitesimale di un universo che ancora sta vivendo la propria storia evolutiva (e che data circa quattordici miliardi di anni – qualsiasi cosa, a me incomprensibile, ciò significhi), ci verrà anche mostrato come il senso ultimo di questo universo consista nella relazione tra ognuna delle sue parti, dove ogni particella, ogni atomo, ogni corpo celeste, ogni sistema mostra, in senso proprio, la propria esistenza attraverso l’altro.
Esistono punti fermi in questo percorso, momenti nella storia in cui qualcuno ha realizzato dei veri e propri salti di paradigma, senza che questo abbia interrotto, o anche solo disconfermato, una validità delle immagini del mondo che lo avevano preceduto, solamente sul cui saldo appoggio ha potuto emergere una nuova visione.
Il libro, come dice il titolo, è costruito da sette «lezioni», originate da articoli che l’autore aveva scritto per il supplemento «Domenica» del «Sole 24 Ore», curato dal filosofo Armando Massarenti e che, insieme, danno luogo ad un discorso unitario di filosofia della scienza strettamente connesso al tema di un malinteso relativismo oggi molto diffuso.
«Prima lezione. La più bella delle teorie» Si parla di Einstein, della sua teoria della relatività generale e degli apporti che quella mente geniale ha continuato a produrre, interagendo, scontrandosi, e anche trovandosi a respingere sviluppi che, a partire dalla sua visione, il secolo XX ha prodotto; e per tutti noi, a distanza di oltre cent’anni, è ancora difficile scendere a patti con l’immagine oggi accreditata del nostro universo, che la cultura, le culture, non hanno ancora assimilato.
«Seconda lezione. I Quanti». La meccanica quantistica funziona, da un secolo, ma ancora mantiene aree di mistero per gli stessi addetti ai lavori. Werner Heisenberg «immagina che gli elettroni NON esistano sempre. Esistano solo quando qualcuno li guarda, o meglio quando interagiscono con qualcosa d’altro». E si entra in un mondo di significati tale per cui il formarsi una o un’altra immagine del nostro universo-mondo può fare, per le nostre culture, per noi stessi, per la nostra possibilità di dare un senso alla vita, al tempo, alla morte, tutta la differenza.
«Terza Lezione. L’architettura del cosmo». Il tema della «lezione» è la strada percorsa dall’uomo per formarsi un’immagine dell’universo ove abita, dal pensiero dei presocratici, attraverso Tolomeo, Galileo, Newton per arrivare a Einstein e a Heisenberg. Un percorso affascinante.
«Quarta Lezione. Particelle»: «Tutte le cose che tocchiamo sono fatte quindi di elettroni e di quark», dove «quark» è il nome che il fisico Murray Gell-Mann ha dato a sotto-particelle di protoni e neutroni, utilizzando per nominarle un termine privo di senso che si trova nel Finnegans Wake di James Joyce: anche lui sembra aver sentito il bisogno di denunciare la difficoltà della nuova visione in progress del reale e lo ha espresso assegnando alla particella un nome che ne esprime tutta l’apparente incomprensibilità.
«Quinta Lezione. Grani di spazio»: A seguire, passando dal mondo delle particelle subatomiche al mondo del cosmo, il tema è «la contraddizione»: «La mattina, (uno studente a lezione si sente dire che) il mondo è uno spazio curvo dove tutto è continuo; il pomeriggio, il mondo è uno spazio piatto dove saltano quanti di energia». Come costruire un quadro che consenta di contenere le due teorie, anche in virtù del fatto che, ognuna nel proprio ambito, funzionano? Quantomeno, ci si sente incuriositi e nel contempo rassicurati: nessuno è solo nella difficoltà a «vedere» il nuovo universo.
«Sesta Lezione. La probabilità, il Tempo e il calore dei buchi neri». «Perché il calore va dalle cose calde alle cose fredde e non viceversa? Si tratta di una domanda cruciale, perché riguarda la natura del tempo. In tutti i casi in cui non viene scambiato calore, infatti, oppure quando il calore scambiato è trascurabile, noi vediamo che il futuro si comporta esattamente come il passato». Risposta: «per caso», la grande risposta ignorata di Ludwig Boltzmann e la nascita della fisica statistica. Resta la domanda, una delle domande di sempre: «Che cos’è dunque il fluire del tempo?»
«Settima lezione. In chiusura: Noi.»
«Che posto abbiamo noi, esseri umani che percepiscono, decidono, ridono e piangono, in questo grande affresco del mondo che offre la fisica contemporanea? Se il mondo è un pullulare di effimeri quanti di spazio e di materia, un immenso gioco a incastri di spazio e particelle elementari, noi cosa siamo? Siamo fatti anche noi solo di quanti e particelle? Ma allora da dove viene quella sensazione di esistere singolarmente e in prima persona che prova ciascuno di noi? Allora cosa sono i nostri valori, i nostri sogni, le nostre emozioni, il nostro stesso sapere? Cosa siamo noi, in questo mondo sterminato e rutilante?»
L’autore dichiara di non avere risposta, anzi, di non poter neppure provare a immaginare di averla. Ma offre un grande punto di avvio, con le parole che aprono questo post.
E, pur dentro previsioni molto amare sul futuro di questa nostra umanità, vi è un appiglio, una certezza metodologica, che consente di darsi una regola di vita e una speranza: «Fino all’ultimo, il dubbio» consente di aprire orizzonti, di non porre limiti.