Jean Claude Carrière – Umberto Eco, “Non sperate di liberarvi dei libri“, Bompiani 2011
Prefazione di Jean-Philippe De Tonnac
Il libro riproduce un lungo dialogo a tema tra due anziani signori non qualunque – Jean Claude Carrière e Umberto Eco – che portano dentro la loro conversazione la leggerezza di un linguaggio ‘parlato’, il calore di una relazione tra persone che condividono un mondo.
Nello scorrere del dialogo e nel confronto, nella condivisione, dei punti di vita, si fondono un profondo amore per i libri e il disincanto per la relatività della durata nel tempo non tanto degli oggetti-libro, ma di tutto quanto il pensiero umano ha trasmesso attraverso i supporti che le varie epoche hanno messo a disposizione: quadri, film, opere dell’ingegno in senso lato, tutto ciò che del pensiero, dell’inventiva, della parola questi oggetti conservano e trasmettono.
Jean-Philippe de Tonnac, il curatore de libro, conduce le conversazioni tra i due, ne cura lo sviluppo, anche riconducendo i due interlocutori al tema attraverso domande che, in apertura di ogni capitolo, fanno avanzare il dialogo e ne raccolgono la coerenza.
Il tema è il libro e la sua persistenza: cosa cambia quando, nella storia, cambiano i supporti materiali con cui una cultura trasmette se stessa? Il tema, collegato, è la selezione che ogni cultura e ogni epoca operano sui materiali che producono per discriminare tra ciò che va conservato e ciò che è bene dimenticare.
Poi ci sono gli oggetti-medium e la loro caducità. A quali incidenti, distruzioni, perdite, vanno incontro i manufatti che nel tempo abbiamo utilizzato? Il fuoco distrugge le biblioteche, per incidente, a causa di guerre, i materiali decadono, o si perde – nel nostro tempo – la possibilità/capacità di usarli. Cosa è successo, cosa sta succedendo, dei vecchi floppy disk, degli zip, delle nostre videocassette Vhs, dei CD, dei DVD e di tutto ciò che tali supporti erano finalizzati a conservare?
Partendo dalla dimostrata superiorità del libro, alla domanda su cosa porterebbe con sé, potendo portare poco, in caso di catastrofe e di fuga, Umberto Eco conclude con la stupefacente (ma non poi tanto, a pensarci bene) affermazione “dopo che ho parlato così bene dei libri, lasciatemi dire che io porterei via il mio disco rigido esterno di 250 giga, che contiene tutti i miei scritti degli ultimi trent’anni”.
Il tema è vasto, e affascinante. Il tema è: come una cultura sceglie cosa trasmettere e cosa dimenticare? Abbiamo raccolto pepite o fango? Philippe de Tonnac, nella Prefazione a questo libro, si chiede e interroga: “Leggiamo ancora Euripide, Sofocle, Eschilo (…) ma quando Aristotele nella sua ‘Poetica’, dedicata alla tragedia, cita i nomi dei suoi più illustri rappresentanti, non li menziona“.
Il tema sostanziale è la funzione della cultura, la sua formazione, il suo operare cancellazioni e scelte, elevare o far scomparire opere e linee di pensiero. “Le culture operano i loro filtraggi dicendoci ciò che bisogna conservare e ciò che bisogna dimenticare. In questo senso, esse ci offrono un terreno comune di intesa, anche riguardo agli errori” afferma Umberto Eco. Ma – completa Jean Claude Carrière – “non è vietato mettere in discussione questi filtraggi” e non è vietato effettuare recuperi, rivisitazioni, rileggere singoli autori e intere epoche.
Il ‘parlato’ del linguaggio mostra il coinvolgimento del vissuto, la condivisione di un mondo, di un punto di vista sulle cose. Il tutto senza perdere di vista il tema, o perdendolo quel tanto che basta a rendere vera la conversazione, a farla coincidere con un momento di benessere dello stare insieme. L’intervento di Jean Philippe de Tonnac riporta al tema i due anziani signori che, godendosi la chiacchierata su argomenti di cui è intessuta la loro vita, deviano su linee collaterali, snocciolano aneddoti su fatti del passato, spaziando nei secoli attraverso la persistenza, ad esempio e soprattutto, di quella costante umana che è la ‘bêtise’ (stupidità, imbecillità, bestialità) nelle sue varie declinazione e i temi che essa affronta e che, nella cultura occidentale, sembrano mantenere, cambiando i modi dei contenuti, una singolare costanza di temi.
Anche attraverso gli excursus nella varietà delle bestialità che, nei diversi tempi, le culture ufficiali hanno più o meno temporaneamente asseverato, il libro porta a riflettere su dolorose cancellazioni e su bestialità di cui è rimasta più che una traccia. Resta che, queste ultime, in quanto testimoni di un tempo e di una società, costituiscono fonti importanti per la conoscenza del nostro passato e, non secondariamente, ci offrono la possibilità di sviluppare un approccio critico al nostro presente, di relativizzarne le certezze, di coltivare il dubbio, anche sull’eventuale nostra appartenenza ai produttori di stupidaggini. Ci insegnano la salutare abitudine mentale a “non chiudere per sempre le questioni”.
Quanto poi alla sicura sopravvivenza del libro a stampa, non c’è dubbio. In una intervista rilasciata a Gian Paolo Grattarola, al Salone del Libro di Torino, in merito a questo libro, Eco conclude sulla insostituibilità del libro in quanto ‘bisogno fisico’ dicendo “Vorrei che si salvasse in particolare la possibilità di bagnarsi il dito, che è fondamentale. E’ una soddisfazione orale, un retaggio della nostra infanzia. In fondo potremmo dire che leggiamo libri perché non possiamo più mettere in bocca il ciuccio.”