Mi scopro a riprendere da dove ho lasciato. Brutta cosa l’autocitazione! Che, tuttavia, mi trova obbligata, dovendo dipanare un pensiero che si era interrotto su un punto interrogativo. Su di un “forse” – solo forse, leggo troppo. Forse, solo forse, dovrei – rileggere e rileggere fino ad imparare a memoria? Prendere dentro di me, trasformare in carne e sangue la parola? Quella che serve. Quella che posso contenere. E restituire.
E mi si presenta la fantasia che, nel leggere meno, prende dentro di sé il trattenere, conservare, riparare – da altri, occultare, anche? – e il suo inverso, che parla del bisogno di condividere, scambiare, aggiungere vita, restituire; lungi da un’analità nevrotica, da fantasie sul trattenere, da agorafobie che, ecco, una qualche attrattiva posseggono pure e dunque, almeno un po’, in alcuni momenti, necessari, ci possono stare; piccoli frammenti di solitudine, dove abbozzolarsi in se stessi.
Nel leggere meno c’è quel leggere più che abita la Poesia, la densità dei significati, il gioco della loro possibile frammentazione, ricomposizione. C’è il <luogo> che consente ai libri di librarsi e dà ali – potenziali, perché no, ali potenti – alle pagine. Che consente il trattenere e il restituire. Magari in un parco, all’aperto; nella solitudine, possibile e anche no, dell’agorà.
Che, nella stagione fredda, possiede altri luoghi; esistono divani nei Musei, ci viene ricordato – nei puntini di sospensione; c’è anche il Caffè (“Il Caffé delle Arti / guarì i lettori forti /ex spostati cronici / in cerca di un posto / che persino li scrittura!). E la densità del “meno” può espandersi, far compagnia a lungo, trovare strade, percorsi. Consentendo il rimanere con sé e fuori di sé.
Valentino Zeichen, In “Casa di rieducazione”. Milano, Mondadori 2011
Villa Borghese
(…)
È probabile che nel mondo
Esistano molti più libri che non volatili in natura,
e se un giorno o una notte
questi miliardi di volumi
richiamati da ignote sirene
d’una civiltà bibliofila,
i libri si librassero in aria
per prendere il volo?
Essendo le pagine di carta
già ali potenziali,
lo stupore graverebbe
a lungo su di noi.
Turbato dall’eventualità,
ho fatto trapanare
la mia opera completa
dal legatore di libri,
suggerendo due buchi
da parte a parte
per poterla incatenare.
E ora la porto al collo
appesa a una catenella