Sono giorni così, distratti, tra incontri, familiari ed amici, abbuffate e regali. Si ciondola per casa, saltano le regole del quotidiano e dei giorni. Non è il momento per parlare di un libro specifico, di <quel> certo libro.
Sono, peraltro, giorni in cui si regalano e si ricevono libri (io no, per la verità, credo di aver esercitato un’adeguata dissuasione; o meglio, ho amiche lettrici e che dunque <non> regalano libri, sapendo bene quanto sia personale la scelta – e invece consigliano, prestano, scambiano).
Anche la lettura, in questi giorni, è di un certo tipo – sono momenti rubati alla notte, a letto con troppa stanchezza e bisogno di un rapido sonno – e dunque il libro, quello vero, quello in corso di lettura, deve essere lasciato; verrà aperto un libro a caso, tra quelli che si conoscono a memoria, da aprire e crollare nel sonno perché scorrerne con gli occhi alcune righe è parte essenziale del rito dell’addormentarsi.
La voglia di un tempo per scrivere, tuttavia, rimane. Una voglia priva di oggetto: ed eccomi qua, a rischio di parlare di nulla. Con la sensazione che, sì, la mente, in questi giorni, non sia al punto su di un tema o su di un libro; non nel solito modo fattuale, quello per cui, nelle ore del giorno e tra un impegno e l’altro – cose di casa, vita sociale – un libro, quel libro, ha i suoi tempi dedicati.
In questi giorni la mente sembra, tuttavia, rimanere al punto in un qualche suo modo. Lo è nella forma di un retropensiero che permane, ad assicurare che tornerà possibile il riallacciarsi alla regola dei giorni – quando se ne saranno andati figli, nipotini, e ci sarà un bisogno forte di quotidianità perché, certo, i libri sono una forma della mia vita, una costante dei miei giorni da che ho memoria di me; ma la sostanza è altro e nei prossimi giorni ci sarà anche tristezza, e disorientamento.
È stato bello averli tutti a casa, ora se ne vanno; occorrerà attendere un’altra festa, vacanza, occasione. Attendere il telefono. E ritrovare un assetto che, ma sì, dopotutto va pure bene, per loro e per me, per il nostro noi che necessita di spazio.
Sempre di ciò si tratta, infine: senza distanza non si dà relazione. Quella giusta, propria dei diversi tempi di vita. Dunque, va bene così. Anche se c’è la fatica del lasciar andare.
Poi, il retropensiero consentirà di riprendere, senza soluzione di continuità, il mio libro e i miei libri, e la scrittura, dentro una struttura del tempo che rende mie, fatte per me, le cose che sono.
Nel frattempo, sempre nel retropensiero (che, me ne accorgo bene, ha una sua ingombrante corposità), c’è una tentazione di bilancio, come sempre accade durante i festeggiamenti per il nuovo solstizio che, dal 21 dicembre al 6 gennaio, si caratterizzano nella durata – di feste, riti, celebrazioni, eccessi e, sì, anche, euforia mista a depressione; occorre il tempo lungo per rassicurarsi dello scampato pericolo, dell’essere sfuggiti a una notte sempre più buia; occorre il tempo di riprendersi, perché anche la speranza ha bisogno di essere accolta, e ha una sua pesantezza; occorre il tempo per compiere i dovuti riti propiziatori, perché la paura della lunga notte non se ne va tanto facilmente e il giorno che si allunga va accolto, e pregato, indotto a mostrarsi benevolo; occorre un tempo per costruire nuovi programmi, iniziare il nuovo quaderno, bianco, intonso, che non dovrà avere macchie né cancellature. Occorre Il tempo di perdonare e perdonarci.
Lo sguardo, teso ad un bilancio dell’anno, mi presenta i libri letti nei dodici mesi trascorsi; un modo, e non dei più vaghi, credo, per giungere a una sintesi che riassuma il tempo finito e indichi un progetto per il tempo che inizia.
Penso alle cose accadute nell’anno. Ne traggo fatica; mi ritrovo stanca, a spalle curve. Che è bene scrollare. Avviene, che si richiamino alla memoria unicamente i momenti, le esperienze, difficili, dolorose, dimenticando i giorni belli che, per tutti, ci debbono pure essere stati. Questi ultimi, li sentiamo, credo, come dovuti e dunque non meritevoli di gratitudine, né di ricordo. Mentre i pesi, le difficoltà, quelli no; ci risultano ingiusti. Immeritati. Eccezionali – e solo nostri.
Deve trattarsi di qualcosa del genere. Elenchiamo i caduti sul percorso. Dimentichiamo i nuovi nati; e non va bene.
E allora. Mi par utile proporre uno sguardo ai libri. A cosa si è letto nel corso dell’anno. Alle scelte di lettura che mostrano il nostro bisogno, i nostri desideri, le fantasie, i progetti e i sogni. E indago, per me, se e come le mie letture siano cambiate. Guardo i libri rifugio, i libri dolore, i libri avventura; i luoghi, i tempi, nei quali i libri scelti mi hanno portato. Cerco di leggere, in questo, il tempo che ho avuto. Domando ai miei lbri di quando, con loro, ho pianto. Ho riso. Ho studiato, conosciuto, esplorato. Compiuto percorsi.
I nostri libri ci dicono qualcosa di utile su di noi, sul tempo che abbiamo vissuto, di cui sono stati una guida, una risorsa, una consolazione, un riposo, una conferma. Talora, il bastone che ci ha sostenuto mentre ci incamminavamo lungo una nuova strada; in un momento che abbia richiesto tutta la nostra forza, per fronteggiare una crisi – interessante parola, “crisi”, solitamente mal usata anche se lei, cocciuta, continua a mostrare il suo volto produttivo, la sua origine, che la destina al significato di “passaggio”; e dunque a essere occasione di possibile crescita, che la durezza o la fatica non annullano. Che, certo, come ogni occasione, si può anche buttar via.
Allungo, così, uno sguardo veloce ai libri letti, e proposti, qui, nel corso dell’anno. Ai temi affrontati, si fa per dire. Ci sarà tempo, ne occorrerà, per una riflessione accurata; che, in ogni modo, dovrà riguardare me sola perché ognuno può assegnare solo per sé un valore al libro letto in quel suo particolare momento di vita; al fatto di aver scelto – ne abbiamo anche parlato – una <storia> o una <fiaba> e, nell’un caso o nell’altro, dovendosi chiedere un perché: a scopo di rassicurazione, di riposo, finanche di fuga; o non invece osando la ricerca, e l’immersione nei territori in cui si nasconde il pericolo, il dolore. L’avventura. Nuovi mondi, da esplorare.
Il libro è, può essere, un oggetto rischioso; è – può essere – un’arma, il cui maneggio talvolta tradisce. È, sempre, un territorio altro, in cui si cammina in solitudine.
Visitando a Treviso la mostra “Francis Bacon. Un viaggio nei mille volti dell’uomo moderno”, (bella e ben curata, se vi capita: Casa dei Carraresi, dal 14 Ottobre 2016 al 01 Maggio 2017) sono incappata in una citazione di Luigi Pirandello:
“La vera solitudine è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce, e dove dunque l’estraneo siete voi.”
E ci sto pensando, ecco. Un concetto intrigante; che, è certo, non comprendo appieno. Per concludere che no, non è proprio così. Non solo. Per concludere che: certo, estremizzando il significato della parola – solitudine – che tuttavia, in tal caso, non potrà valere per l’essere umano, per il suo essere una relazione, sempre; che dunque, per <non> esserci, richiede di essere posta.
La solitudine è lo stare unicamente in relazione (necessaria) con sé, anche quando si tratti di una condizione senza uscita, vissuta dolorosamente: in quanto, è inevitabile, <chiamerà>, con il suo stesso porsi, la relazione.
E se, in questo stare con sé, c’è un libro: ecco, la solitudine non verrà infranta, perché lui, il libro, è esattamente quel “luogo che vive per sé”, e che tale resta nonostante la mia/nostra lettura; che tuttavia, mantenendo tutta la propria essenziale indifferenza – la propria non-differenza data dal suo essere per sé – avrà reso me un essere in relazione, spezzando la mia solitudine. Al punto che, di un libro (di cui ognuno è <sempre> l’unico lettore) possiamo parlare con altri, arricchendoci reciprocamente, in una espansione di significato e di relazione.
Che caos. L’avevo detto, su, all’inizio di questo sproloquio, che stavo a elevato rischio di parlare di nulla.
La voglia di pensare scrivendo, a balzelloni, ha prevalso. Resta solo da chiudere quest’anno con un augurio a tutti noi di buona fine e buon inizio. E di buone letture, che facciano bene.