Ci avviciniamo a Natale e sono giorni in libreria, oltre che in altri luoghi. Ma sicuramente molto in libreria. Per i regali di Natale, cosa che, occorre dirlo, è quasi una scusa dato che regalare un libro, mi è stato detto, è come regalare un profumo, o una cravatta a un uomo: non si fa!
Io regalo libri. A richiesta, ad amiche di cui ritengo di conoscere i gusti di lettura (poi, naturalmente, quanto io sbagli lo intuisco, talvolta, a posteriori: e non demordo, mi limito a raddrizzare la scelta, quantomeno a provarci). Li ho sempre regalati anche e soprattutto ai bambini, facendomi odiare, temo, ma da parte di una, in senso lato, vecchia zia, ci può stare. Da nonna, non tollerando il non farmi amare, regalo il libro in aggiunta al regalo “vero”.
Poi, in questo che dico c’è una parte bugiarda. La verità è che entro in libreria per acquistare libri da regalare ad altri e ne esco con in mano libri per me.
E tuttavia, da un po’ di tempo, le cose non mi vanno bene. Con poche, salvifiche, eccezioni, non trovo novità editoriali che mi soddisfino. E leggo in modo disordinato, disorientato. Va così. Mi salvano le riletture. E la benedizione infinita dei long seller.
Ho letto, novità editoriale, un libriccino, un racconto lungo, di Marc Augé, che mi ha incuriosito: «Le tre parole che cambiarono il mondo», edito da Raffaello Cortina Editore, 2016.
È la domenica di Pasqua, 1 aprile del 2018, e il papa, al balcone, sta per impartire la benedizione urbi et orbi. Inizia il suo discorso con tre brevi parole: “Dio non esiste.” E tutto segue.
E va bene, è un racconto che si legge ma, occorre dirlo, una botta e via; un divertissement, d’accordo, ma tutto sommato, persino per una agnostica quale io sono, regala solo una piccola fantasia banale che, proposta quale soluzione ai mali del mondo, risulta un po’ facilona. Troppo, per i problemi che infestano il mondo travestiti da scontri religiosi e imbellettati con dogmi scarsamente salvifici. Peccato.
E tuttavia – eccomi al punto – mi sono imbattuta, si fa per dire, in tre romanzi, opere prime di autori italiani – due e-book e, prestatomi da un’amica con invito a leggerlo, un libro. E sono stati tre letture interessanti. Eccoli:
Tommaso Aramaico, «Ringraziare», Lazy BOOK 2016. L’autore, ben noto e apprezzato blogger, che molti di noi leggono, ha inevitabilmente attirato la mia curiosità, ben ripagata.
Giulia Depentor, «Il vestito verde», Lettere animate 2016. Suggerimento di un’amica.
Stefano Merenda, «Il tempio della piccola foresta», Algra Editore 2016. Il libro prestatomi.
Tre libri molto diversi; tre autori che potremmo chiamare esordienti, quantomeno per il grande pubblico anche se, per la qualità di scrittura e, almeno in due casi, per l’originalità della struttura narrativa, sicuramente non tali in termine di “mestiere” (non è una brutta parola; il “mestiere” occorre, per fare un buon libro).
E mi sono trovata, ripromettendomi di proporli, a riflettere.
Innanzitutto, credo di dover fare una confessione (fiduciosa di trovarmi in folta compagnia): pecco regolarmente per assunzione di atteggiamenti snobistici (che, in aggiunta, affermo di odiare, come fa ogni snob). Mentre elevo alte proteste per la qualità dell’editoria italiana; mentre so, benissimo, quanti prodotti di scarsa qualità vengano non solo editati ma debitamente lanciati e promossi, con tanto di encomi di critica, per non dire del sostegno di premi letterari di un certo rilievo; sapendo bene tutto questo, ebbene sì, è difficile che io legga, senza pregiudizi, un e-book che non possieda il viatico di una versione cartacea editata da una casa editrice “pesante”; e resto sicuramente lontana dal self publishing ma anche dai prodotti che non dispongano di un, per quanto piccolo, adeguato lancio editoriale; recensioni o quant’altro.
Poi, caso vuole, mi capita (mai successo prima) di leggere in sequenza tre libri di quest’area e, signori, non vi dirò di essere incappata nei nuovi autori del secolo (non saprei riconoscerli, temo), ma ho letto tre libri che, se pubblicati da Einaudi & Company, verrebbero apprezzati senza esitazioni, interpretando come originalità di linguaggio, di struttura della narrazione, aspetti che, causa lo scarso accreditamento, se posso chiamarlo così, della casa editrice che li propone, rischiano di essere considerati – difetti? E non lo sono. Sono pregi. Presenti in tre romanzi, tra l’alto, di ottima scrittura.
Ma c’è un tema generale di cui parlare. Abbiamo tutti presente, credo, come stanno le cose. Il nostro professore di italiano della scuola media superiore, valutando il nostro prodotto “tema in classe”, non ci avrebbe passato tanto facilmente un brano caratterizzato dall’assenza di punteggiatura e dalla struttura sintattica che rendono «Il male oscuro» di Giuseppe Berto impareggiabile. Bocciatura assicurata.
Giusto: prima di danzare occorre saper camminare. Pure, io, che non sono Giuseppe Berto, oggi, non dovendo più rispondere al prof., mi permetto, perfettamente consapevole di farlo, frasi che mancano del verbo reggente; e se mi soddisfa strapazzare le regole standard della punteggiatura, lo faccio. Non chiedo alcun permesso.
Ciononostante, e fatte salve le libertà espressive che debbono essere riconosciute ad un autore, sappiamo tutti molto bene quante volte ci capita di leggere, pubblicati da rinomate case editrici, verificati da un editing professionale e accurato, prodotti nei quali la buona confezione riveste una qualità di scrittura scarsa.
Una fantasia: mettiamo che oggi, Adelphi, per dire, decida di ripubblicare le opere di Carolina Invernizio, che Gramsci definì (trovo su Wikipedia) “onesta gallina della letteratura popolare” o che so, di Liala (terribile, ma per anni è stata la scrittrice più letta dalle lettrici italiane), sicuramente saremmo disposti a trovare in quei libri aspetti interessanti, a trovarli più che leggibili, tenuto conto del valore d’epoca di idee, ambientazioni, nonché costrutti sintattici e quant’altro. Verremmo indotti a ciò dall’autorevolezza della casa editrice (e non necessariamente a torto, ma anche sì).
E dunque ripeto: confesso. Sicuramente, oltre alle case editrici a pagamento, esistono piccole realtà sconosciute, in numero non calcolabile, e in particolare per la nuova realtà del digitale, disponibili a editare quasi qualsiasi cosa, essendo ovvio che, in caso contrario, dovrebbero sostenersi pubblicando un libro ogni tre anni se la fortuna li assiste. E non possiamo non prendere atto che anche le case editrici “pesanti” si trovano talora costrette a mettere in gioco il loro marchio con prodotti scadenti, che tuttavia possiedono un loro mercato; mentre per il giovane, o non giovane ma sconosciuto autore, accedere a queste ultime è impresa titanica anche quando si proponga con un prodotto quantomeno dignitoso.
Il che porta, dritti filati, alla funzione necessaria di queste piccole realtà. Temo, persino di quelle che potremmo definire prive di un qualsivoglia interesse alla qualità delle loro pubblicazioni; che porteranno alla morte certa un prodotto che, alla qualità, unisca il bisogno di essere sostenuto in quanto commercialmente difficile.
Troppe parole per dire che, avendo presente la difficoltà di orientare una scelta in assenza di qualsivoglia accreditamento da parte di una piccola sconosciuta casa editrice, sto proponendomi di cercare un percorso che mi permetta di non escludere, non di principio, queste pubblicazioni.
Sto elucubrando intorno alla possibilità di aprire uno spazio di <indagine> su queste realtà editoriali; e trovare, condividendoli, criteri di scelta che mi portino a leggere, con frequenza da definire, prodotti di quest’area editoriale, pur consapevole del fatto che occupo già, con la lettura, un tempo che mi avvicina pericolosamente all’asocialità e alla misantropia – unica mia protezione la priorità del tempo riservato agli affetti familiari e ai pochi cari amici.
Chissà se la cosa interessa. Non perché questo modifichi il mio stato di curiosità, che soddisferò in ogni modo. Ma potrebbe modificare il fatto di tediare con tale argomento altri che non siano le persone purtroppo per loro a me contigue nella vita.
Ho già cominciato a prendere in considerazione le tre case editrici dei tre libri che sto segnalando. Cosa seguirà, non so ancora bene. Se sarà il caso, farò sapere.
Nel frattempo, e sempre in tema di riletture, sto leggendo David Foster Wallace, «Brevi interiste con uomini schifosi».
Buon Natale a tutti. E buona lettura, qualsiasi cosa scegliate di leggere.