
Mentre continuo la lettura di “Tempo degli stregoni…”, si aprono domande, questioni, sulla filosofia tedesca, e sulla filosofia, oggi, in generale.
Premetto: sono questioni rispetto alle quali non ho gli strumenti, altamente specialistici, necessari a sostenere un confronto “scritto”; confido invece nel fatto che, per sua natura, la filosofia è dialogo, è un pensiero che necessita di essere parlato, di costituirsi nel confronto, rimanendo sempre in fieri. E dunque, confido nel fatto che quanto “scrivo” possa caratterizzarsi come dialogo, in quanto segnato dalla forma della domanda, dell’attesa di un’interlocuzione.
Non voglio dimenticare, inoltre, che la filosofia è, ancora per sua natura, il “luogo” in cui si confrontano, nel loro sviluppo, i saperi delle diverse aree della conoscenza, per derivarne il “punto” della costruzione che l’uomo sta facendo, o non facendo, di sé e della sua storia.
Senza di questo – senza frequentare il sapere filosofico – saremmo veramente strumenti nelle mani della tecnica e – posso dirlo? – in via di giungere alla fine della storia della nostra specie quale la conosciamo.
Come dire: lavori in corso. Forse, addirittura, “Stiamo lavorando per voi”.
Di regola, tuttavia, il volto scritto della filosofia, oggi e qui, nel nostro occidente, è – e dico purtroppo – per lo più accademico; quantomeno, appartengono all’ambito accademico i filosofi che, a latere della propria produzione “specialistica” (tragico ossimoro. La filosofia non può esserlo! Appartiene ad ogni uomo il frequentarla, ne sia o meno consapevole!) producono, <anche> una saggistica generalista sui diversi particolari argomenti (altro ossimoro: non ne esco).
Dovrei forse dire di accademici della filosofia che si impegnano, almeno da noi, in Italia, con qualche rara fortuna, nel rivolgersi ad un pubblico esterno alla loro “riserva”, dentro e tra Università, dove si affaticano a spaccare capelli in mille fili divisi in altrettante aree di ricerca: peraltro anche con risultati buoni, interessanti e utili per il pensiero che dobbiamo produrre su di noi (noi-essenti, noi-linguaggio, noi-mente, noi-culture e sistemi di valori, metteteci tutto); sicuramente, tuttavia, lontani dal grande pubblico.

Ora mi sono trovata di fronte a questo, a me sconosciuto, giovane filosofo – Wolfram Eilenberger – per nulla <accademico> e che scrive un libro che pare non collocabile all’interno di una linea di pensiero <accreditata>; che argomenta una sua visione del pensiero di quattro grandi filosofi del novecento, tra biografia e ricostruzione storica.
Del libro racconterò in seguito, ma una cosa può essere detta fin d’ora. Si tratta di un’opera, se non di enorme mole (364 pagine), sicuramente di grande contenuto; e si tratta di un’opera finalizzata a restituire – siamo negli anni della Repubblica di Weimar – un momento importante nella storia della filosofia occidentale; il momento in cui tutto è cambiato, ancora una volta per opera principalmente di filosofi tedeschi, dominatori del campo quantomeno dalla rivoluzione kantiana in poi.
Dopo i grandi nomi dell’idealismo, nel Novecento la fenomenologia e l’ermeneutica hanno parlato non solo ma soprattutto, tedesco. Sull’altro fronte, la filosofia analitica e il positivismo logico hanno veduto emergere ancora nomi di area tedescofona (Gottlob Frege, Ludwig Wittgenstein, filosofi, logici e matematici del Circolo di Vienna), affiancando con grande originalità il pensiero anglosassone (Russell, Moore).
La filosofia del Novecento si è dunque espressa, principalmente in lingua tedesca, con voci che hanno segnato una grande svolta nel pensiero filosofico: e non poteva essere diversamente. Il “Secolo Breve” che, sotto molti aspetti, pare non voler morire, è stato un tempo di rottura, nessun ambito escluso. E poiché la filosofia abita il Mondo e la Storia, e non il Nulla, nonostante il suo gran discutere su quest’ultimo tema, non poteva essere che così.
Chi è, ora, questo giovane filosofo sconosciuto?
È un giovane autore che ha al proprio attivo un buon numero di pubblicazioni, di cui il libro “Il tempo degli stregoni”, dato alle stampe nel marzo di quest’anno, è la prima opera tradotta in italiano.
Nato a Friburgo nel 1972, leggo nella presentazione che egli stesso ci propone di sé e che mi par utile restituire integralmente (qui), che “è un filosofo, pubblicista e scrittore. La sua passione è l’impiego del pensiero filosofico nella quotidianità, si tratti di questioni politiche, culturali o anche sportive. È fondatore e caporedattore del “Philosophie Magazin” (qui), è uno tra i più noti intellettuali tedeschi nonché ospite dei maggiori talkshow.

Il suo ultimo libro,“Il tempo degli stregoni. 1919 – 1929. Le vite straordinarie di quattro filosofi e l’ultima rivoluzione del pensiero” (titolo italiano) è uscito nel marzo 2018. Il libro si è subito collocato nella lista dei best-seller dello Spiegel ed è già stato tradotto in 20 lingue.
Eilenberger ha insegnato all’Università di Toronto (Canada), all’Università dell’Indiana (USA) e all’Università delle Belle Arti di Berlino[i].
È membro del gruppo di gestione del “phil.cologne, Festival internazionale di filosofia”, e conduttore del programma della radiotelevisione svizzera “Sternstunde Philosophie” (Il momento magico della filosofia)
Eilenberger è anche in possesso del patentino di allenatore della Federazione calcistica della Germania (DFB) e scrive dal 2015 una colonna mensile, “Eilenbergers Kabinenpredigt“ (Il sermone di cabina di Eilenberger? Così sembrerebbe! Dovrete accontentarvi della traduzione) per ZEIT ONLINE.
È sposato con l’esperta di letteratura finlandese ed ex giocatrice della nazionale di basket Pia Päiviö e vive, con la famiglia, a Berlino.”
Una figura eclettica, dunque, che difficilmente la filosofia accademica potrebbe accogliere, e che sceglie di misurarsi con la storia, della vita e del pensiero, di quattro grandi filosofi che hanno intitolato a sé il Novecento:
Ernst Cassirer (Breslavia, Polonia, 1874 – New York, 1945)
Ludwig Wittgenstein (Vienna 1889 – Cambridge 1951)
Martin Heidegger (Friburgo 1889 – Friburgo 1976)
Walter Benjamin (Berlino 1892 – Portbou, Spagna, 1940)
Quasi coetanei, se si esclude il di poco più anziano prof. Cassirer, i quattro si conoscono o, quantomeno, sanno l’uno dell’altro. Si contendono cattedre. Il loro pensiero si interseca. Le loro storie personali li dividono.
Abitano un tempo eccezionale – il decennio 1919 -1929: la Repubblica di Weimar, a partire dalla Costituzione del 1919, ha cessato formalmente di esistere nel 1933 con la legittima ascesa al potere di Adolf Hitler cui è seguita l’immediata instaurazione della dittatura, ma già da alcuni anni era, ormai, sopravvissuta a se stessa.
Interessante, molto interessante; specialmente per un linguaggio che si fa leggere, attraverso il quale il pensiero dei nostri “stregoni” diventa accostabile senza difficoltà. Sicuramente, questo libro avrà fatto storcere un po’ il naso a qualche accademico, ma dato che, anche tra loro, solitamente non si scambiano complimenti, posso affrontare lo stupore di sentirmi proporre Wittgenstein, e il suo Tractatus, come un’opera fondamentalmente di etica. Dopotutto, lo aveva detto lui stesso ai suoi esaminatori, a Cambridge, discutendo il Tractatus come tesi di dottorato, che non tutti possono comprendere tutto.
Mentre resto, ancora per poche pagine, sprofondata nel libro, la domanda iniziale resta aperta: cosa sta avvenendo, oggi, nella filosofia tedesca? La scuola di Francoforte, certo, i grandi, ancora tali; i loro allievi, dopotutto Habermas è ancora tra noi. Tuttavia, oggi pare esserci silenzio da quelle parti.
Leggo, in un interessante breve articolo di Francesca Rigotti, (qui)

“La filosofia di lingua tedesca è molto cambiata nell’ambito degli ultimi due decenni: da una parte la filosofia accademica universitaria; dall’altra, la filosofia «popolare» che incide su un folto pubblico con la sua presenza mediale. (…)”
Sempre da questo articolo vengo a sapere che, in Germania, lo studio della filosofia, nella scuola superiore, è oggi materia facoltativa, affidata a un insegnante di religione o a un insegnante di tedesco ed è – e cito ancora Rigotti – “insegnata sovente con poco rigore, slegata dal contesto storico e proiettata sulla libera discussione di alcune idee, prevalentemente dilemmi morali in linea con la tradizione protestante”. È stata per me una (triste) scoperta. Come se la filosofia non possedesse più una patria.
Nel frattempo, di recente sono stati dati alle stampe, “I quaderni neri” di Martin Heidegger. In Italia, li sta proponendo l’editrice Bompiani. Ed è, forse, qualcosa che ha a che fare con una specie di “disagio” della filosofia, secondo una interpretazione di Donatella Di Cesare; qualcosa che mostra, ancora, una forte difficoltà a elaborare il lascito di pensiero del nazista, antisemita, Martin Heidegger e la sua predominanza nella filosofia del Novecento. Una rimozione? Che blocca la filosofia tedesca?
Ora, questo libro di Wolfram Eilenberger, sicuramente di area divulgativa, sicuramente passibile di qualche (più di qualche, credo) borbottio da parte della filosofia accademica (non mi ci metto, ovviamente), <nomina>, in lingua tedesca, il periodo, la storia di un tempo, del pensiero che lo accompagnava e dei suoi protagonisti.
Un’indicazione che il sipario si sta riaprendo? A partire da “I quaderni neri”. Lo spero.
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[i] La Universität der Künste (abbreviato UdK, in italiano Università delle belle arti) è una delle università di Berlino, la cui sede si trova nel quartiere di Charlottenburg, nella quale si insegnano le arti figurative, la musica e la recitazione.