Quando il pensiero danzava sul Titanic della storia

Wolfram Eilenberger, “Il tempo degli stregoni. 1919 – 1929. Le vite straordinarie di quattro filosofi e l’ultima rivoluzione del pensiero”, Feltrinelli 2018

Traduzione dal tedesco di Flavio Cuniberto[i]

 

È stata una lettura lenta, godibile e goduta. È stata pure una lettura che mi ha suscitato un qualche disagio, una qualche riserva mal chiarita, anche mentre mai avrei lasciato la pagina che, lungo tutto il libro, mi teneva avvinta.

È stata una lettura che ha provocato in me una vera e propria urgenza di altri libri da leggere; che ha provocato la riemersione di testi abbandonati da tempo e di testi mai letti, da recuperare.

È stata dunque una lettura fruttuosa. Segnata tuttavia da una riserva, unita al timore di scoprirmi ingenerosa, di scoprirmi a volere la luna. Capita, quando un libro suscita speranze eccessive, per qualche motivo indecifrabile, anche solo per un buon incipit, come questo:

«“Non fatene un dramma, so che non lo capirete mai”.

Con questa frase si concludeva a Cambridge, il 18 giugno 1929, quello che fu probabilmente il più singolare esame di abilitazione nella storia della filosofia. Davanti alla commissione d’esame dottorale, formata da Bertrand Russell e George Edward Moore, si era presentato un ex miliardario quarantenne, reduce da dieci anni d‘insegnamento nelle scuole elementari. Il suo nome era Ludwig Wittgenstein…”

Di una sola cosa mi sento certa: apprezzando tutto ciò che ho trovato in queste pagine, non posso non notare come qualcosa, da queste pagine, sia stato escluso; qualcosa che (forse) non poteva e non doveva esserlo.

Il libro: L’autore segue la vita e il pensiero di quattro filosofi che hanno segnato il ‘900 chiudendo definitivamente la grande stagione dell’idealismo tedesco.

Ernst Cassirer (Breslavia, Polonia, 1874 – New York, 1945), Martin Heidegger (Friburgo 1889 – Friburgo 1976), Ludwig Wittgenstein (Vienna 1889 – Cambridge 1951), Walter Benjamin (Berlino 1892 – Portbou, Spagna, 1940).

Forse, varrebbe la pena di dire che si tratta, in realtà, non di quattro “stregoni” bensì di tre più uno, essendo il più anziano Ernst Cassirer, al volgere del 1919, già un “professore in carriera”.

In quegli anni, Cassirer era ancora un neokantiano rappresentante della scuola di Marburgo; da cui si distaccherà, sviluppando un proprio pensiero, senza tuttavia mai mollare veramente gli ormeggi; quantomeno non in quegli anni, tra il 1919, quando gli fu assegnata la cattedra all’Università di Amburgo (di nuova istituzione) e fino al 1929 quando ne divenne Rettore. Fu per pochi anni: l’ebreo Cassirer e la sua famiglia lasceranno la Germania nel 1933, destinazione iniziale Oxford, per sfuggire alla persecuzione nazista.

Pur avendo, come gli altri tre compagni del suo tempo, portato un rinnovamento nella filosofia, il libro mostra, in realtà, un Cassirer che, in quel decennio, fronteggia, Heidegger su tutti, gli altri tre che, nelle loro diversità, operano scalzando la vecchia tradizione filosofica illuminista e kantiana.

Per i suoi giovani colleghi, la carriera universitaria fu, in quel decennio, l’obiettivo da raggiungere per poter dare un futuro al proprio pensiero e, non secondariamente, alla propria vita materiale.

Coetanei, solo di pochi anni più giovane Walter Benjamin, le loro vite seguiranno percorsi di pensiero dialoganti, nella loro diversità, in un confronto che li vide, in assenza di relazioni personali significative, muoversi dentro linee di pensiero sotto molti aspetti convergenti, all’interno di un mondo accademico e di riti di affiliazione e cooptazione dove pensiero e bisogno viaggiavano intrecciati. Il solo Wittgenstein costituirà una storia a sé, tra i filosofi e i matematici del Circolo di Vienna e, infine, l’insegnamento a Cambridge, rimanendo sempre, in forza della sua particolare personalità, esterno ed estraneo a una qualsivoglia appartenenza.

Ora, quel qualcosa che mi ha costituito disturbo, in questa lettura, è Il taciuto, se non per accenni, pur strategicamente inseriti come importanti, decennio di Weimar, che si chiuderà, nei fatti se non nella forma, con il grande crollo della Borsa di New York; nel momento in cui, forse (ma, certo, non si fa la storia con i forse) quel mondo avrebbe potuto prendere un’altra strada: le elezioni del 20 maggio 1928 avevano veduto una buona affermazione delle forze di sinistra e democratiche; avevano veduto l’ancora piccolo NSDAP (Partito Nazionalsocialista tedesco dei Lavoratori) perdere molto della ancora limitata forza di cui disponeva; la Germania postbellica e la giovane Repubblica intravvedevano una ripresa quando (ma il libro tace d’anticipo), complice anche la crisi economica, iniziò il grande crollo, non solo delle Borse, portando la Germania, nel giro di tre anni, alla dittatura hitleriana.

È un’altra storia? È la storia che verrà; storia che, nel decennio 1919 – 1929 non era pensabile. E dunque, certo: il novembre di quel 1929 ha segnato una frattura, un limite cui – scelta perfetta – l’autore ha fatto riferimento: Il 1929 come limite dello sguardo che mette a fuoco un tempo speciale, un tempo che ha deciso il pensiero del mondo occidentale.

Ho forse desiderato chiedere a un libro di essere un altro libro? Non è solo così: chi scrive, oggi, lo sa, come sono andate le cose, e prescinderne, non tematizzarle, è una scelta difficile, quasi impossibile – e infatti, qualcosa, in questo libro, ne viene detto, sottotraccia.

È tuttavia una scelta legittima. Per me, che ad ogni “traccia” mi dicevo “ci siamo” e venivo, si fa per dire, delusa, è ciò che ha fatto scattare la ricerca di altri libri: (Scuola di Francoforte, Adorno, Horkheimer, e no, Marcuse no, abbiamo già dato); Thomas Mann, “La montagna incantata”, come evitarlo (un desiderio e un rinvio che mi interrogano da tempo).

L’autore ha scelto di farci conoscere, dentro quel particolare tempo e dentro quella particolare esperienza che è stata la Repubblica di Weimar, la storia della vita e del pensiero, lungo dieci anni molto speciali, di quattro persone – diciamo: un uomo e tre ragazzi – che sarebbero entrati tra i Grandi della Filosofia.

Un outsider – Ludwig Wittgenstein – che, in trincea, durante la Grande Guerra, aveva scritto un’opera – Il Tractatus logico-philosophicus – per mezzo del quale riteneva di aver dato risposta definitiva ai quesiti fondanti della filosofia, sul piano ontologico, logico ed etico; e che dunque nulla vi fosse più da dire nel merito.

Una storia di vita, per chi non la conosce, molto particolare. Va la pena di leggerne.

Dieci anni dopo l’abbandono (aveva tutto risolto!) della filosofia, ritenne di aver lasciato problemi irrisolti, se non addirittura proposto soluzioni erronee, e ritornò a Cambridge, dove Russell e Moore, e non solo, lo attendevano con ansia…

– «”Dio è arrivato, l’ho incontrato sul treno delle cinque e un quarto” annotava John Maynard Keynes in una lettera del 18 gennaio 1929» –

…al punto da consentire, per poter assegnare una cattedra a un non laureato quale Wittgenstein era, di discutere il Tractatus come tesi di dottorato: con gli esiti, a carico degli esaminatori, illustrati nell’incipit.

Walter Benjamin, al cui pensiero, anche, farà riferimento la Scuola di Francoforte. Di famiglia ebrea, fu una figura complessa e tragica, l’importanza della cui opera sarà sempre più riconosciuta dopo la sua morte.

Martin Heidegger, il nazista della prima ora; l’avversario di Ernst Cassirer al Convegno di Davos del 1929.

Nello scenario che fece da sfondo al grande romanzo di Thomas Mann, il duello tra i due, il giovane rampante ariano Heidegger, il più anziano e già affermato ebreo Cassirer, costituirà il punto archimedico di questa storia, in cui la figura, perdente, di Cassirer già prefigura il futuro che verrà, ancora ignoto e (solo forse) impensato e impensabile.

Su di Martin Heidegger ed Ernst Cassirer il tempo non ha ancora fatto giustizia: non l’ha fatta sulla loro filosofia, senza nulla voler togliere alla grande visione heideggeriana, alla sua filiazione esistenzialista (invano dallo stesso Heidegger negata ma, in effetti, ad oggi storia già chiusa), e sulla necessità, forse, di un recupero dell’opera di Cassirer, al di fuori di ogni appartenenze di scuola.

la locandina dell’Opera da tre soldi, nel 1928

La prosa di Wolfram Eilenberger, leggera, ironica, fino a sfiorare una qualche cattiveria nei confronti di una figura complessa e tormentata quale quella di Walter Benjamin, consente una lettura agile e, non è poco, un accesso fluido al pensiero di questi grandi, dentro la loro giovinezza, ancora inconsapevole; nell’orizzonte aperto di un tempo faticoso e vitale, in cui andava in scena, era il 1928, la prima di “Opera da tre soldi” al Berliner Ensemble e Josephine Baker (una grande donna e una grande storia che meriterebbe di essere narrata) “invece di ballare”, seduta sul divano “mangia una salsiccia dopo l’altra”.

Forse, ma non lo so, Eilenberger ha fatto bene a non porre a tema il futuro e farci invece ballare, sul Titanic, nell’ultima notte.

Un bel libro. Peccato perderselo.

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[i] Nota del traduttore. “Allo scopo di dare alla narrazione un carattere più unitario si è preferito tradurre ex novo le numerose citazioni contenute nel volume: dalle fonti epistolari e memorialistiche dei quattro ‘stregoni’ filosofici. Il lessico filosofico-tecnico – in particolare quello di Martin Heidegger –è stato reso con una certa libertà rispetto alle traduzioni correnti, in modo da renderlo più accessibile anche al lettore non specialista.