Dal 25 aprile a fine maggio la libreria funzionerà, solo forse, irregolarmente e, non è escluso, in modo irrituale, causa lunghe ferie della libraia.
Sarebbe, in verità, il momento giusto per le pulizie di primavera. Ma tutto si può rinviare.
Occorre pensare bene, ed essere riposati per: arieggiare la casa, dare un nuovo ordine agli armadi, attraverso cose da eliminare, cose da riscoprire, idee per nuovi acquisti, magari anche solo le idee e ci si sente già nuove (uso il femminile: non so se vale anche per i maschi della specie); darsi al recupero di tutte le carabattole che i giorni hanno deposto qua e là.
La libreria, per quanto virtuale, non fa eccezione: è incredibile quanto disordine, molto reale e poco virtuale, riesca a prodursi: da sé, mi pare, senza alcun aiuto da parte mia, o con un aiuto da niente, giusto quel po’ di cose che si scombinano in base al pratico principio del farò domani, ora non ne ho il tempo, cosa da niente, sistemerò alla prima occasione.
I libri: in questo periodo sto leggendo in modo scombinato; anche libri che, se non ho lasciato, ho tuttavia deciso di non proporre, qui, in questo momento; magari più avanti – letture da diporto e, soprattutto, riletture.
Effetto, anche questo, del disordine che il ritiro invernale ha prodotto in ogni spazio intorno a me e soprattutto – altro luogo che richiederebbe e non ottiene quotidiana cura – in me, nel pensiero.
I pensieri disordinati sono pure belli, e fruttiferi; ma non sempre, no. Nel disordine si infiltra di tutto, anche ciò che andrebbe evitato; si infiltra la polvere, si accumulano detriti, scorie.
Confesso qualche difficoltà – e credo di averne già accennato, magari tra le righe – nel trovare, tra i libri di recente uscita, tra gli autori, soprattutto ma non solo italiani, qualcosa che soddisfi questo mio momento: non so dire meglio ma si tratta di qualcosa che ha a che fare, forse, con la forma romanzo che sto sentendo come ripetitiva. Bei libri, storie ben costruite, personaggi a tutto tondo: e tuttavia noti, conosciuti. Sono loro, la solita compagnia di giro, psicologie abusate, centrature sul sé.
Problema mio, del momento. Non è, la mia, una critica a <un> libro, che neppure saprei indicare: è un sentire la difficoltà, unita al bisogno, di trovare qualcosa che aiuti – oggi e qui – a formulare una domanda nuova; che aiuti me, naturalmente, a proposito dell’essere centrati su di sé. Niente di più giusto, dovuto e ovvio.
I libri hanno sempre a che fare con il tempo nostro, individuale e con il tempo in cui viviamo. Hanno a che fare con l’età; con un’esperienza maturata, tanta o poca, buona o meno buona, sia quel che sia ma che, sicuramente, oggi, in me, smorza l’interesse per un qualsivoglia futuro individuale. Già risolto, se vogliamo.
Gli anziani sono presbiti: il tempo sfuma i contorni di ciò che è vicino, a portata di mano, pronto per essere raggiunto da chi è giovane e bellamente rapace della vita.
La presbiopia mantiene invece nitida la vista su ciò che è lontano. Niente diventa più interessante del futuro che ci supererà, di quella nostra “immortalità” che è la vita dei figli, e dei loro figli, in senso lato, la vita dei frutti di ciò che, nella nostra vita, abbiamo contribuito a costruire.
Quali libri, dunque, per questo tempo? Per un tempo, oggi e qui, ma non solo, che affatica la speranza, e chiede, vorrebbe, disporre di pagine che portino altrove, dove il pensiero possa riposare. Per un tempo che invece chiede, impone, di rifuggire il disimpegno; che chiede pensiero.
Quali libri che aiutino una comprensione da cui trarre – e se non fosse possibile? – indicazioni di percorso per un futuro che, se non sarà nostro, sarà comunque dei figli; per il futuro delle pagine scritte, dell’albero piantato; di cui ci deve importare, molto.
Chiedo troppo, lo so. Anche da questo nasce il disordine. Temo non ci sia nulla che io non chieda ad un libro, proprio nulla. Ammetto la colpa, senza tuttavia deprecarla. Le cose stanno così.
E allora: le pulizie di primavera dovranno riguardare innanzitutto me; dovranno riguardare il completamento di letture in corso, disorganiche e tuttavia importanti; dovranno riguardare il desiderio (infiltrato da un qualche, solido, elemento di rifiuto) di leggere, con tutta calma, “M. Il figlio del secolo”, un libro che sta attendendo che io respinga il rifiuto, la voglia di chiamarmi fuori da un tempo che oggi riappare: in altre forme? Neppure tanto, e in ogni modo sempre figlio dello stesso germe che pare non estinguersi.
Come reggere il vedere questi giorni, non solo italiani ma che, al solito, da noi assumono, quale appesantimento, una forma farsesca ulteriormente desolante.
In una bella intervista del 23 aprile per Il Manifesto, Antonio Scurati parla della necessità di fare i conti “fino in fondo con la nostra discendenza dai carnefici e con la loro centralità per la nostra storia”
Dedicarsi alle pulizie primaverili, dunque. Dare aria nuova al pensiero. Partire, la strada, un percorso abbozzato: credo sia il modo giusto per assolvere al bisogno, per fare ordine nella mente.
L’idea, poi si vedrà, è di percorrere, per quanto possibile, il Cammino di Stevenson, sulle Cevennes: un camper, in luogo di un’asina, fa tutta la differenza, ma vagolando un po’ a caso, sicuramente ci scapperanno buone ore di cammino, luoghi e incontri e, vedremo. Vale sempre il principio per cui non si viaggia per andare da qualche parte ma per andare (qui)
Un piccolo grande progetto, dunque, in forza del quale la libreria chiuderà l’attività ordinaria per circa un mese (il rientro per le elezioni europee è imperativo) ma ci potrebbero stare brevi note di diario di viaggio; anche una improvvisa voglia di raccontare l’emozione di una lettura in corso; o il silenzio, che non fa mai male, avendo sempre, per il bisogno di dialogare, la lettura delle recensioni e dei post altrui.
Porto con me, per queste circa tre settimane da trascorrere girovagando, progetti di lettura che, nella teoria, considero imperativi:
“M. Il figlio del secolo”, di Antonio Scurati, naturalmente (anche se la ritrosia permane). Seguito da, o anticipato da – uno sguardo al futuro prossimo o già qui? – “The Game” di Alessandro Baricco, autore che, per la verità, non ho mai amato, pur riconoscendone la qualità di scrittura. Questo libro, tuttavia, mi attrae. E ci conto.
Nel mezzo, ho tra le mani una copia 1962, trovata in bancarella, di “Il maestro di Vigevano” di Lucio Mastronardi, che non possedevo e non ho mai letto – avendo, come tanti, al tempo, veduto (e per la verità poco apprezzato) il film.
Lo leggerò? Forse, forse più avanti. Vedremo. Lo porterò con me, ma sceglierò anche qualche altro libro, per una forma di “viaggio nel tempo”, di recupero di un amalgama culturale che mi appartiene e da cui non pare facile districarsi.
Dimenticavo: arriverà oggi la mia copia di “Triste, solitario Y final” di Osvaldo Soriano, libro recuperato alla memoria per merito di un rimando all’autore da parte di Paola Rambaldi (qui).
Ha ragione, in senso lato, anche solo detta così, Antonio Scurati. Provengo anch’io, per il tramite dei miei genitori, dal mondo dei carnefici, dal mondo del ventennio e della guerra; e dunque da una cultura che il 25 aprile del ’45 non ha certo cancellato. Da quel mondo ho ricevuto l’imprinting iniziale di ciò che sono; così come dal mondo, carico di macerie e di speranza, in cui ho vissuto la mia prima infanzia (come dicevano i gesuiti: Datemi un bambino nei primi sette anni di vita e vi mostrerò l’uomo”. Per fortuna non è così); trovandomi a vivere, oggi, in un mondo assassino che, ai miei occhi, pare talvolta impazzito per anomia.
Forse qualche libro aiuterà a recuperare un filo di Arianna, e una strada di uscita dal Labirinto.
Se volete tuttavia, una piacevole lettura di svago, c’è anche una trilogia gialla (un’altra Commissaria, per non farci mancare nulla; femmina, grassa, imperiosa e bruttina: ma forse anche no; che di nome fa Adalgisa) che ha rallegrato gli ultimi miei addormentamenti notturni:
Alessandra Carnevali, “Uno strano caso per il Commissario Calligaris”, “Il giallo di Palazzo Corsetti” e “Il giallo di Villa Ravelli”, Newton Compton (con provenienza, a proposito di Alessandro Baricco, dalla Scuola Holden).
Storie divertenti, opportunamente realistiche per quanto riguarda le modalità di indagine di polizia; con buoni personaggi, umorismo e leggerezza adeguati e non banali.
Una sola osservazione. Spero che l’autrice, completata questa trilogia, che si connota per la sua completezza, non faccia l’errore di far proseguire il personaggio. O almeno non subito.
Avevo apprezzato un’altra nuova autrice, Alice Basso, e la sua trilogia gialla, personaggio riuscito la ghostwriter Silvana (Vani) Sarca: è uscito il quarto romanzo, a prosecuzione inopportuna di una storia finita. A mio parere, un disastro. Ma magari mi sbaglio e il quinto libro della (ormai) saga, che non leggerò, sarà ottimo.
Ho avuto un bravissimo professore di Storia dell’Arte, al Liceo, che diceva: “una differenza fondamentale tra un grande pittore e un crostaiolo è la pennellata in più che il secondo non si trattiene dal dare“. Credo sia vero anche per la scrittura (la frase in più, l’aggettivo di troppo, il proseguire a tutti i costi una storia chiusa. Naturalmente, povera me se, nel mio infimo, questo metro di misura venisse applicato a ciò che scrivo. Evitare perditempo, grazie. Faccio da me).
A presto.