La proposta di legge dal titolo “Disposizioni per la promozione ed il sostegno della lettura”, presentata il 6 aprile 2018, è stata approvata dalla Camera dei Deputati con una maggioranza inconsueta: si è sfiorata l’unanimità. Non ci dovrebbero essere, dunque, dubbi, su di una prossima rapida approvazione definitiva; e ne dovremmo tutti gioire.
E invece no. Quando, in questi contesti, tutti concordano, deve suonare un campanello di allarme. Nel migliore dei casi significa che la legge si sarà espressa sul nulla; oppure avrà provveduto a spargere favori in briciole ai diversi portatori di interesse nel campo di cui tratta esprimendo, a mascheramento di contenuti inesistenti sul piano fattuale, alcune buone intenzioni, espresse al futuro (Faremo! Realizzeremo! Sosterremo!), declinate per titoli ai quali non farà seguito operatività alcuna.
Sono prevenuta? Ingenerosa? Vediamo dunque, a grandi linee, di cosa si tratta.
Titolo del provvedimento in votazione: “Disposizioni per la promozione ed il sostegno della lettura” (qui)
Dodici articoli (suscettibili di modifiche, anche nel numero, immagino) che prendono avvio da dichiarazioni generali, tipo, all’art. 1, il ricordare che “la Repubblica favorisce e sostiene la lettura in attuazione degli artt. 2, 3 e 9 della Costituzione”; e disponendo che “all’attuazione delle finalità indicate dal testo contribuiscono lo Stato, le Regioni e gli altri enti territoriali, secondo il principio di leale collaborazione e nel rispetto delle proprie competenze.”
Alla Premessa seguono le doverose dichiarazioni di intenti, per cui:
“In particolare, la Repubblica promuove interventi per sostenere e incentivare la produzione, la conservazione, la circolazione e la fruizione dei libri come strumenti preferenziali per l’accesso ai contenuti e per la loro diffusione, nonché per il miglioramento degli indicatori del Benessere equo e sostenibile (BES).”
Posso dire che l’acronimo – BES – mi esilara? Nella forma e nella sostanza. Non so perché, ma sento che porta in sé una dichiarazione implicita di falsità condivisa, socialmente prescritta. Peraltro, definire il libro “strumento preferenziale per l’accesso ai contenuti” non è da meno – e non va mai dimenticato come il linguaggio della burocrazia costituisca, a suo modo, un indicatore di verità.
Ma siamo solo all’art. 1. Dall’art. 2, si passa, per così dire, all’operatività. Ops! Temo di no. Non ancora.
Occorrerà ora fronteggiare una complessa compagine di aventi titolo ad esprimersi sul tema, e questo, solitamente, denuncia, con le dovute dichiarazioni di intenti, l’impossibilità a realizzarli.
Viene così prescritta l’adozione di un “Piano nazionale d’azione per la promozione della lettura” da predisporre attraverso la compartecipazione solidale:
del “Centro per il libro e la lettura” (CEPELL)”,
del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con…
…il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, previo parere della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari.
Questa immane collaborazione dovrà portare a progetti operativi capaci di “diffondere l’abitudine alla lettura e favorire l’aumento del numero dei lettori, valorizzando”…
* la lingua italiana e la sua diffusione all’estero;
* sostenendo l’editoria nelle sue differenziazioni, nonché…
* gli autori italiani e la diffusione, in Italia e all’estero delle loro opere. Il Piano dovrà inoltre favorire:
* le buone pratiche di promozione della lettura realizzate da soggetti pubblici e privati, anche in collaborazione tra loro
* l’immagine sociale del libro e della lettura,
* l’attività di biblioteche e librerie.
Dovranno inoltre, per rendere il tutto operativo, essere posti in essere dei “Patti locali per la lettura” che dovrebbero produrre, tramite la collaborazione tra le diverse agenzie pubbliche e private, prime tra tutte le scuole e le biblioteche, una infinità di utilissime azioni, a partire dalla promozione della lettura nelle scuole, con l’individuazione di un Polo responsabile del servizio bibliotecario scolastico di ogni ordine e grado su base territoriale.
Dopodiché, mentre verranno realizzate tutte le prescritte multiformi attività, sarà compito dei CEPELL (Centri per il libro e la lettura), monitorare e raccogliere dati statistici sul tutto.
Dulcis in fundo: ogni anno verrà assegnato ad una città il titolo di Capitale italiana del libro.
Tutto molto bello, davvero, e potremmo persino trovare consolazione, nonostante si tratti di sole dichiarazioni d’intenti (perché non sperare?) se non ci imbattessimo nella voce sul finanziamento della legge. La verità, finalmente.
Per tutte queste attività e realizzazioni è previsto un impegno di spesa di 3,5 mln. annui (vale a dire un massimo di 175.000 euro annui a Regione) che saranno forse sufficienti per pagare, non dico le competenze necessarie a realizzare il tutto, e le necessità logistiche e strumentali richieste, ma i soli gettoni di presenza (che assumo siano da considerare scontati) per i componenti gli organismi “di ogni ordine e grado” che si occuperanno utilmente del tutto.
Ma ecco: all’art. 7 del testo in esame si materializza, finalmente, un concreto punto operativo:
Verrà istituita una “Carta della cultura: elettronica, destinata all’acquisto di libri, anche digitali, muniti di codice ISBN, nonché … di prodotti e servizi culturali, da parte di cittadini italiani e stranieri residenti nel territorio nazionale e appartenenti a nuclei familiari economicamente svantaggiati.”
Indovinate la cifra assegnata tramite tale “Carta della cultura?” Euro 100 annui! Che si spera – la realtà si impone – possano essere sostenuti anche attraverso… … “donazioni, lasciti, disposizioni testamentarie di soggetti privati, destinati alle finalità dello stesso Fondo.”
Vero è che, su 12 articoli, il punto centrale della legge, contenente la sola vera decisione effettivamente assunta, arriverà, finalmente, solo all’art. 9.
Sotto il titolo: Disposizioni sul prezzo dei libri”; e a modifica di quanto stabilisce la Legge 128/2011 viene previsto che, con dovute eccezioni, ad esempio per la scolastica, lo sconto massimo praticabile dalle librerie scenda dal 15% al 5% del prezzo fissato dall’editore.
Ed ecco, nel momento della verità, si alza il controcanto di tutti contro tutti gli aventi interesse nel campo della produzione e della vendita del libro. Grande editoria contro piccola editoria, librerie indipendenti contro librerie di catena, e chi più ne ha più ne metta. Gli articoli e gli interventi sulla stampa quotidiana e periodica si accumulano. Diversamente critici su questo solo punto.
Ora: non sarà un caso se il solo articolo a costituire oggetto di discussione è questo. Pare che a nessuno sfugga come tutto il resto siano unicamente parole.
Certo: alla base di tutto l’ambaradan di chiacchiere su massimi sistemi c’è, unicamente, la richiesta – proveniente dalle case editrici, dai librai, dagli uni comunque contro gli altri armati e pur capaci di una forzosa unità – di una debole difesa dal supposto nemico comune: Amazon.
Vale a dire: viene chiesta una legge contro un falso problema.
Ma di cosa parliamo. Mentre la quota di ragazzi italiani che neppure raggiungono una minima scolarizzazione superiore aumenta, e la qualità media di tale scolarizzazione pare non eccellere. Mentre, in conseguenza, pochi frequentano la lettura anche perché pochi ne sono capaci; mentre la qualità di ciò che viene editato tende ad adeguarsi e la moneta cattiva scaccia quella buona; mentre si blatera sulla scuola che dovrebbe formare non cittadini consapevoli e capaci di pensiero strutturato bensì mano d’opera ai diversi livelli per le imprese; mentre queste ultime sempre più chiedono lavoro senza diritti a giovani che non ci sono o, se ci sono e possiedono qualche capacità, magari elevata, fuggono all’estero: mentre tutto questo avviene si tolgono risorse alla scuola, in misura stratosferica rispetto a quanto, a parole, si investa su una cosiddetta Promozione della lettura.
Ma quale Amazon che ruba lettori; ma quali problemi sconto o non sconto.
Vediamo un po’: e se invece, oltre a non impoverire la scuola, si fosse provveduto a sostenere (dettaglio ma anche no, tra i grandi problemi della scuola pubblica) la spesa dei testi scolastici, a carico – e che carico – delle famiglie? Vogliamo scommettere che si sarebbe favorito un minimo di maggior scolarizzazione; che ha qualcosa a che fare con l’abitudine al piacere della lettura?
La verità è che chi legge lo farà comunque, sconto o non sconto, dovesse anche rivolgersi al mercato nero. Temo anzi che il proibizionismo funzionerebbe meglio dello sconto.
Chi non legge non lo farà comunque e le librerie continueranno a chiudere: cosa può interessare lo sconto a chi non ha interesse al prodotto? E neppure conosce l’esistenza di una biblioteca?
Si tratta di una piccola, benvenuta boccata d’ossigeno alle librerie indipendenti, nel confronto con le librerie di catena; e pure questo va bene, nel piccolo cabotaggio del tira avanti eroicamente giorno per giorno.
Sappiamo tutti molto bene che la vita delle librerie indipendenti è la vita stessa del libro. Ma non saranno interventi-toppa come questo a cambiare il percorso della storia: terapie palliative e inutile blando accanimento terapeutico per una malattia che invece potrebbe e dovrebbe essere curata. A partire da uno sguardo lungo sul problema.
Il libro non è un bene qualunque e va difeso al di là e al di fuori delle leggi del mercato. Va curata la Scuola. Vanno difese e sostenute, ma davvero, le librerie: indipendenti, che vivono a misura di un territorio servito; diffuse, unitamente alle biblioteche; luoghi di incontro, di parola, di esercizio di una democrazia sostanziale; piazze, identitarie di una comunità che sappia di se stessa.
La diffusione dei libri è un indicatore finale, non il punto sorgente, del livello di civiltà, della qualità della cultura, dell’identità stessa di una popolazione: che dà il La ad un circuito virtuoso che porterà tale bene – il libro con i suoi luoghi – ad autoalimentarsi.
I luoghi del libro sono moneta buona, che dice la verità. Non possono essere fabbricati prima e al di fuori di una identità culturale cosciente di sé. Non si salvano con l’inflazione procurata (si fa per dire).
Tranquilli, dunque: non ci sarà, nella sostanza, alcuna gara per la nomina a Capitale del Libro.
Vuoi mettere il Prosecco? Con quello si diventa Patrimonio dell’Umanità. Mentre, come per i libri, si distrugge la vera bellezza, delle colline che lo producono. Proprio uguale.