Un caffè e due chiacchiere con Epittèto

Alice Cappagli, “Niente caffè per Spinoza”, Einaudi 2019

A fine anno solitamente mi ritrovo (come molti, credo) a riflettere sulle cose fatte, sulle cose che mi propongo di fare; a <profetare> su come va il mondo (dei libri e loro dintorni, ovviamente, non altro: almeno qui).

Quest’anno non sarà così. Sarà stata una breve malattia, una di quelle belle intense bronchiti che i fumatori curano quasi piacevolmente a libri e sigarette contate; sarà che, standosene a letto o, a scelta, sul divano, il pensiero si sente autorizzato alla vacanza (in senso etimologico); sta di fatto che chili di libri giusti per il momento mi hanno raggiunta. In massa.

Ho smesso di chiedermi come ciò avvenga. Avviene. E vi sono libri che chiedono di essere restituiti.

Questo romanzo di Alice Cappagli è stato per me un felice libro del momento giusto: ed è tale anche in sé, ben inteso. Si tratta di uno di quei libri che creano il momento giusto; che cambiano lo scorrere del tuo tempo, rendendolo lento e insieme molto produttivo.

L’autrice: professoressa d’orchestra, violoncellista, ha suonato per trent’anni con l’Orchestra del Teatro alla Scala.

Laureata in filosofia, questo è il suo primo romanzo – preceduto da un racconto, “Una grande esecuzione”, pubblicato dalla editrice Statale 11, nel 2010, al momento introvabile persino su Amazon; che dovrò, assolutamente, recuperare.

Di lei leggo, ancora, che è livornese – e a Livorno colloca questa sua preziosa storia, dove anche il luogo è protagonista, insieme al mare, al tempo atmosferico, al vento;

“Non ho mai capito come faccia il libeccio a passare così in un baleno dall’orizzonte direttamente al midollo, modificando del tutto i pensieri e l’umore. Il vapore della spuma del mare si deposita nella narici, gli occhi si riempiono di vento senza bruciare mai, le folate di iodio fanno volare via il cattivo umore come piume di gabbiano.”

e insieme agli uccelli che quel vento abitano, gabbiani, piccioni, cince e tortorelle”.

Ancora, in questo romanzo, saranno protagonisti i suoni, dal canto degli uccellini al rumore del vento e del mare, al cigolio delle porte che consente al protagonista, Luciano Farnesi, un vecchio professore di filosofia cieco, di <vedere> il tempo atmosferico nel cigolio o nella sua assenza che segnalano il grado di umidità che gonfia o meno il legno.

Saranno protagonisti gli odori, i profumi del cibo che Maria Vittoria, l’altra protagonista, aiuto domestico e “lettrice” per il professor Luciano, cucina; e i colori, che sempre Maria Vittoria, gli occhi di questa storia, ci restituirà impastati ai sapori:

“Misi l’asciugamano su uno dei sedili di pietra di fronte al mare e mi ci sedetti, tirai fuori la mia noce pesca bella matura, l’uva, un paio di fichi e la schiacciata coi grani di sale grosso, poi mi misi a mangiare un po’ tutto insieme. Mi pareva di aver sulle ginocchia una tavolozza di gusti da far invidia a un pittore. Gli abbinamenti dei sapori semplici la dicevano lunga. Quello dolcissimo della frutta con quello salato della schiacciata sapeva di voglia di fare, di cambiare. Nulla a che vedere con quello delle verdure nell’acqua, a mollo nella bollitura dei doveri. I doveri e la noia sanno di zucchine lesse…”

La storia:

Maria Vittoria, giovane signora prigioniera di un matrimonio sbagliato, alle prese con un marito fallito e nullafacente che la disprezza,  nonché con una suocera che replica il comportamento del figlio nei suoi confronti, accetta ben volentieri un’offerta di lavoro nella casa dell’anziano professore cieco che, vedovo, vive solo, assistito dalle visite quotidiane e incombenti dell’affezionata cognata Wally nonché dalla figlia Elisa, una musicista che vive in un’altra città ma va e viene dalla casa del padre e, per occuparsene, la disordina ancor di più.

A Maria Vittoria viene richiesto di curare l’abitazione ma, soprattutto, di leggere all’anziano, a richiesta, i suoi amati filosofi.

Ed ecco una casa sopraffatta da giornali e carte sparse ovunque, da un guardaroba incongruo che il professore indossa a strati sovrapposti e a casaccio; dalla richiesta, da parte di Wally, di lessare zucchine al vecchio professore che le odia mentre, da parte sua, l’anziano, conversando e con riferimento ai comportamenti dei suoi familiari nei suoi confronti, filosoficamente cercando di proteggersene, chiede che gli vengano letti brani dei suoi amati Pascal, Epitteto, Spinoza ed Epicuro.

Mentre il disordine impera nella casa, spazzata dal vento e dalla luce; mentre la sabbia della vicina spiaggia invade ogni dove, il professor Luciano indica, con precisione, a Maria Vittoria, il libro, e la pagina esatta del libro, che desidera riascoltare, da cui trarre precise indicazioni operative per la propria vita e, non casualmente, per la vita di Maria Vittoria; e per la situazione presente: lo spunto potrà indifferentemente essere la cognata Wally da contenere nella sua direttività, gli ordini della figlia da ignorare, un percorso per indicare a Maria Vittoria il significato di ciò che accade nella casa e intorno a lei.

“A proposito, Maria Vittoria, può leggermi l’inizio del Manuale di Epittèto? Dovrebbe essere là sotto i giornali…è un fascicoletto un po’ squinternato, – specificò il Professore. Lo trovai, meno male che non lo avevo buttato via con la pubblicità.

Legga dall’inizio, vedrà come fornisce le istruzioni per ogni situazione. Ha abbastanza luce? …

“Tra le cose che esistono, le une dipendono da noi, le altre non dipendono da noi. Dipendono da noi: giudizio di valore, impulso ad agire, desiderio, avversione, e in una parola tutti quelli che sono propriamente fatti nostri. Non dipendono da noi il corpo, i nostri possedimenti, le opinioni…”. Salti fino a: “In una parola tutti quelli che non sono propriamente fatti nostri”. Poi?

“Le cose che dipendono da noi sono per natura libere, senza impedimenti, senza ostacoli. Le cose che non dipendono da noi sono in uno stato di impotenza, di schiavitù, di impedimento, e ci sono estranee.”

“Professore, poi mi spiegherà meglio?”

Lui si grattò la testa bofonchiando:

“Non dobbiamo volere con ostinazione che le cose vadano come desideriamo, ma desiderare che vadano come vanno.”

La casa è frequentata, nella quotidianità, dagli amici del professor Luciano – la professoressa Aurora, Costantino e “il Prigioniero”, vecchio amico che deve il suo soprannome alla dipendenza da una moglie autoritaria che lo controlla strettamente.

Il gruppo conversa, con grande impegno, su temi etici e filosofici. L’eco delle loro discussioni raggiunge Maria Vittoria, impegnata nel tentativo di ripristinare un po’ d’ordine in casa e nel cucinare buoni e graditi manicaretti al professore; e lei ne è incantata.

C’è il rapporto con la biblioteca, che l’anziano mostra di controllare perfettamente: nello scorrere della trama, anche la biblioteca sarà uno dei personaggi, e farà la sua parte nella storia.

Talvolta il gruppo sembra discutere, con estrema concentrazione, temi difficili ma di cui è chiara, a chi ascolta, una profonda concretezza, per la vita, per un qui ed ora.

“C’era pessimismo nell’aria, domande che riguardavano la storia, la vita, la morte, le dittature, le guerre. …

“Maria Vittoria!” – mi chiamano tutti insieme.

Arrivai di corsa, preoccupata.

“Abbiamo bisogno dei dialoghi “Sull’ira” di Seneca, sono vicini all’Etica di Spinoza, lei conosce il posto”

Santo cielo, dovevo immaginarlo.

“…ci legga lei la proposizione 15 della parte prima.”

Mi ci volle un po’, – “tutto ciò che è, è in Dio, e senza Dio nessuna cosa può essere né essere concepita…” -, lo rilessi perché pareva uno scioglilingua.

“Quindi, questo è il presupposto”, – il Prigioniero sembrava perplesso.

Aurora alzò gli occhi al cielo.

“Dio, ovvero la Natura, intendiamoci…”

“La politica alla fine deriva dalle passioni umane” – Il professore allargò le braccia.

Io cercai di andarmene alla chetichella.

“Maria Vittoria!”

Oddio.

“Ci legga per favore la proposizione 23 della parte terza.”

Ci sono, per Maria Vittoria, i tempi da trascorrere al mare, prima di rientrare a casa. C’è un incontro. Ci sono gli ex allievi del professor Luciano – ed è perfetta la scelta del nome di questo protagonista, un nome che, nel buio in cui vive, ci dice della luce che lo abita.

C’è una storia che si dipana, con le azioni di questo gruppo – del vecchio professore, della figlia, della cognata, degli amici – che traduce in concretezza fattuale e amore per la vita i bisogni del vecchio amico e di Maria Vittoria.

C’è anche dolore, in questa storia; c’è una profonda malinconia: proprio come nella vita.

C’è la faticosa costruzione della saggezza, con tutto il suo peso e la sua possibile levità. C’è ironia, c’è ilarità mascherata, ci sono armi potenti a disposizione del filosofo, nella lotta, ad esempio con una figlia che vuole disporre della sua vita.

Baruch Spinoza

“(…) c’è un libro voluminoso, s’intitola Etica, è di Spinoza, e accanto ce n’è un altro su di lui. Mi guardi un po’ per piacere se in uno dei due c’è il segnalibro alla pagina della maledizione che gli mandarono. (…)

“Su decreto degli angeli e su ordine dei santi noi scomunichiamo…espelliamo, malediciamo e danniamo Baruch de Espinoza…che egli sia maledetto giorno e notte, maledetto quando si sdraia e quando si alza, maledetto quando esce e maledetto quando rientra (…)”

“Ma cos’ha fatto?”

“Ha detto quel che pensava. Ma la saggezza non paga.”

Elisa uscì sbattendo la porta.”

C’è una buona storia, anzi più storie di vita che si snodano, attraverso eventi, in questo libro; e c’è una bellissima chiusura aperta al futuro. Dove la saggezza forse costa, ma paga in moneta buona.