Incontri e avventure cartacee da diporto…

…dove si finirà per parlare di libri che “venivano stregati per far sì che dessero un’immediata dipendenza, in modo da spingere le persone che li leggevano a provare lo spasmodico desiderio di attaccarne subito un altro.” ***

Questa non è una recensione; e non è neppure un consiglio di lettura anche se, perché no, potrebbe indurre a… non so.

Accade infatti che, in questa difficile fine estate, io mi sia letta tutta una ingarbugliata trilogia fantasy,  senza venir sfiorata, nonostante sbuffi vari, da alcuna tentazione di lasciar perdere: con la scusa (perché potrebbe essere stata una scusa) di vedere come l’autrice, che peraltro scrive bene, avrebbe gestito quel caotico tutto.

Così, mentre scommettevo sul no, non ce la farà, mi sono bevuta l’intera trilogia: e, dico la verità, con il terzo libro, mi ci è voluta una qualche forte ostinazione aggiuntiva. 

Ma vediamo la cosa dall’inizio, perché il punto, ciò su cui mi interrogo, dovrebbe trovarsi altrove: e arrivarci, al momento, è solo una speranza.

Così, ecco un diario di lettura con aspetti anomali (ma neppure tanto) e un’autrice da intrattenimento che, dopotutto, forse ci dovrà stare nella mia libreria virtuale: non potrà mai, infatti, mancare uno scaffale dedicato al genere. Non si può vivere di soli capolavori: magari di soli libri ben scritti, ecco, questo sì. 

Ed ecco: una visita a Scarlett Thomas, accompagnata da chiacchiere varie. 

Circa due anni fa e, ora, di nuovo, in queste ultime due settimane, sono incappata, sotto la voce letture da diporto, in questa autrice a me quasi sconosciuta ma, a quanto pare, ben nota e dall’ampia e “acclamata” produzione; ampiamente tradotta in giro per il mondo.

Avevo già letto il primo libro di una sua trilogia – genere fantasy per ragazzi – “Il drago verde”: tema magia, protagonista una ragazzina, Euphemia Truelove detta Effie e i suoi amici; cui faranno seguito “Il potere del drago” (titolo originale “The choosen one”, motivazione del titolo italiano sconosciuta, dato che, dopo il primo libro, nessun drago apparirà più tra i personaggi della saga) e “Il gatto dell’altro mondo” – e sì, qui un gatto, anzi una intera colonia di gatti, ci sarà. 

Il libraio.it, sotto la voce Biografia, dice di lei quanto segue.

“È nata a Londra nel 1972. Insegna scrittura creativa presso la University of Kent. Nel 2001 l’«Independent on Sunday» l’ha segnalata tra i venti migliori giovani scrittori inglesi. È stata candidata al premio Orange e al South African Boeke Prize e i suoi libri sono stati tradotti in più di venti lingue. La Newton Compton ha pubblicato numerosi bestseller, tutti accolti con grande favore dal pubblico e dalla critica, tra cui Il gatto dell’altro mondo, il terzo capitolo della trilogia per ragazzi iniziata con Il drago verde e Il potere del drago, e Oligarchia. (qui)

Circa due anni fa, avevo espresso un giudizio con decisa riserva sul primo libro della saga, pur citandolo in un Parliamone (qui) ); e avevo escluso la possibilità sia di proseguire nella lettura della saga sia di leggere qualcos’altro dell’autrice peraltro prolifica, apprezzata dalla critica e confermata dalle vendite. 

Può essere che il mio giudizio sia stato, vogliamo dire supponente e ingiusto? Che dire: i libri da diporto, nel mio caso “per la notte”, si leggono, talvolta, a palpebra cadente; e nessun libro andrebbe valutato se non confermato da una seconda lettura: a meno che non si tratti di un caso di assoluta evidenza. 

Sta di fatto che mi sono riletta “Il drago verde” senza neppure, come da programma, addormentarmi rapidamente e serenamente, occhialetti che permangono sul naso e libro che tonfa a terra. 

Ne ho concluso che, dai, non è la saga di Harry Potter ma neppure è così male. Ha qualche spunto simpatico, a iniziare dalla protagonista, ragazzina undicenne la cui mamma, forse strega, ma non si sa, è sparita, forse morta forse no; il cui padre aborre la magia mentre un amatissimo nonno materno pare essere un mago cui è stato proibito di esercitare: e soprattutto di invogliare la nipote ad occuparsi del tema.

A casa del nonno c’è una interessante e astrusa biblioteca; e nella storia i libri e il loro potere sono centrali.

Un mondo distopico che non dispone più di tecnologia ma funziona. C’è dunque quanto basta per desiderare di leggere il tutto.

Decisamente incuriosita dall’autrice, tra il secondo e il terzo libro, ho tuttavia scelto di leggere un altro suo romanzo – il primo pubblicato, credo e, parrebbe, con successo: “Che fine ha fatto Mr Y?”. Ancora un fantasy, in questo caso decisamente per adulti. Protagonista una ragazza, dottoranda in filosofia, il cui relatore scompare.

La protagonista, Ariel Manto (I am not real, per chi ama gli anagrammi) ritrova un libro, che si dice sia “maledetto”, su cui stava lavorando il suo professore e, attraverso esperimenti mentali o giù di lì finisce nella “Troposfera” (un altro tempo? altri luoghi? Lo ammetto: non ci ho capito molto né peraltro ho compiuto, temo, grandi sforzi per capire).

Mentre chi legge cerca di seguire una storia che richiederà un rispolvero di Platone insieme a Heidegger e al buon Derrida e – udite udite – nozioni di omeopatia e dintorni, il libro è a tratti, direi spesso, volgare, segnato dal racconto di performance sessuali prive di giustificazione alcuna.

Posso solo dire che già non ricordo come la storia si sia conclusa. In aggiunta, e mi contraddico: non lo rileggerò una seconda volta; e sì, in questo caso, questa è davvero una stroncatura e forse, se non ne rammento la conclusione, dev’essere perché devo averla raggiunta saltando pezzi e sbirciando a caso.

Dopodiché, decisamente perplessa, ho iniziato il terzo e ultimo romanzo della minisaga; e sì, la vicenda si è chiusa in gloria, come dovuto, ma del tutto in stato confusionale: o quanto meno, in tale stato ci sono finita io.

Devo tuttavia confessare, ed è una confessione pesante: se mai, dico se mai, l’autrice dovesse produrre un seguito della saga, ebbene, temo proprio che me lo leggerei. Subito!

Non potrei proprio non sapere cosa sarà avvenuto di Effie e dei suoi amici, undicenni all’inizio della storia (proprio come Harry Potter!): e che vogliamo fare? Lasciarli, proprio ora che comincia l’età davvero interessante?

Un quasi assaggio, per farmi capire, anche se non credo ci riuscirò.

Da “Il drago verde”, il primo libro, sicuramente il migliore (e, volendo, abbastanza autoconclusivo).

“La signora Beathag Hide era la classica insegnante che fa venire gli incubi ai suoi alunni. Alta e magra, aveva dita straordinariamente lunghe, simili ai rami affilati di un albero velenoso” – incipit che, se pure non sarà ricordato tra i classici indimenticabili, induce comunque a proseguire, abbarbicandosi ai propri ricordi scolastici. Si prosegue, dunque, scoprendo che la professoressa Hide insegna all’«Accademia Tusitala per Ragazzi Dotati, Problematici e Bizzarri».

Ora, se ciò che si cerca è un fantasy del genere Rowling, per ragazzi, soprattutto, ma non solo, il gioco è fatto.

Ed eccomi , forse, al dunque. 

Il fatto è che i libri producono davvero una forma di dipendenza, dannosa, e molto quando, come da regola economica, la moneta cattiva scaccia quella buona. E la responsabilità del tutto non può venir assegnata agli autori – almeno non solo, non tutta. 

Poniamo che un bravo editor avesse potuto intervenire e aiutare l’autrice a rivedere i compiti? La C.E. se ne è fatta il dovuto carico? Ha avuto cura del proprio prodotto, tenendo ferma la barra sulla qualità?

Dai libri di questa autrice sarebbe potuto uscire un buon lavoro, ecco tutto: Scarlett Thomas non scrive male. Rinunciando, che ne so, o almeno riducendo qualche fuoripista in eccesso di tipo filosofico o giù di lì, la storia, l’ambientazione, i personaggi hanno un loro perché. Ti resta la voglia di saperne ancora qualcosa. Diciamolo pure: creano dipendenza.

Da questo genere di libri, dalla loro diffusione, e proprio perché hanno una loro capacità di farsi leggere, deriva l’assuefazione dei giovani lettori ad una qualità (di scrittura, di stampa) sempre minore.

Provo ad arrivare ad un dunque. Difficile che ci riesca ma ci provo.

È ovvio che, per coprire la diffusa domanda di lettura del nostro mondo, non bastano i capolavori, ed  è necessaria una produzione elevata di <buoni-libri-non-capolavori> che tutti peraltro apprezziamo. Ma come sarà possibile richiedere uno standard di qualità minimo condiviso? E a chi andrà richiesto?

Ovviamente, non solo agli autori: principalmente alle C.E. 

Perché le cose stanno così: noi diciamo che in Italia si legge poco ed è vero, ma solo perché confrontiamo il dato con l’idea che <tutti>, dai sei anni fino all’età della demenza, dovrebbero essere lettori. In realtà, nelle nostra società si legge comunque molto.

È un diritto del lettore (senza voler aggiungermi al decalogo insostituibile di Pennac) anche usufruire di letture passatempo ben costruite, narrate attraverso una buona scrittura, stampate bene. Niente di più: ma niente di meno. 

A ben vedere non fa niente, oggi, da un certo punto di vista, la differenza tra il grande romanzo, tra l’opera d’arte che resisterà nel tempo e una buona letteratura da intrattenimento. Si tratta di prodotti diversi che si collocano su di uno stesso continuum. E la narrativa da intrattenimento ha, e ha sempre avuto, da Boccaccio in poi, una propria area di alta qualità.

L’Ulisse di Joyce può sopravvivere benissimo pur se ben pochi lo leggono: è un’opera che ha a che fare con la temperie culturale di un’epoca e con i suoi sacerdoti. Ma potrebbe venir travolto dalla cattiva moneta se il giudizio, sul libro, verrà dato sempre più sulla base delle semplice vendita; se le C.E. inseguiranno i lettori in luogo di educarli, rinunciando a tutelare il proprio prodotto e la propria funzione.  

Potremmo chiedere alle case editrici di svolgere bene il proprio lavoro; il che significa far lavorare bravi editor (ma anche curare la qualità della stampa, far operare bene i correttori di bozze, per non dire dell’attività di scouting). 

Dovremmo inoltre, e con forza, chiedere alla critica di recuperare la propria missione, da tempo confusa, in molti casi, con una funzione di ufficio stampa delle C.E. 

Mi sbaglio? Ne sarei felice.

Io so che, per quanto mi riguarda, devo ringraziare il mondo dei blogger per poter usufruire di una guida nella foresta delle pubblicazioni che ormai nasconde i grandi alberi perenni; i sempreverdi. Come pure i caducifoglie capaci di dare frutto, di appassionare ed educare alla lettura.

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*** “Scarlett Thomas, “Il gatto dell’altro mondo”, cap. 10, pag 128, Newton Compton 2017