Come scegliere, tra i libri che leggo, i libri da mettere nella vetrina della libreria? Come scegliere un libro da proporre ad altri?
Ho almeno un libro, più o meno preannunciato, in lettura. Ne sono convinta?
Poi, per la sera, per quel po’ di svago aggiuntivo, c’è quel confuso spiacevole sentimento che dice “non ho niente da leggere” – intendendo “niente di particolarmente interessante per me, per il mio qui ed ora”.
Il desiderio di svago si giustappone al desiderio acuto di indagare qualcosa: di questo mondo, forse di me stessa, di non so bene cosa in realtà; unito al desiderio di potersi addormentare rimestando nel pensiero pagine piacevoli, quelle ultime righe che dicono fermati, chiudi il libro, rimuginale e goditele, vedi dove ti possono portare, che siano luoghi buoni. Ed è già mattina.
Oh, per lo scopo andrà bene un saggio tanto quanto un buon romanzo, o un giallo, dove incontrare un personaggio interessante, con cui intessere una relazione; da conoscere meglio; con cui conversare mentre il sonno ti raggiunge. Qualcosa del genere.
Per poi proporlo? Questo resta da vedere. C’è il libro che parla a me sola – tanti i motivi – magari neppure un libro di particolare pregio, che tuttavia proprio là, dentro quella pagina, si lega ad un ricordo, ad un tema. C’è il libro da cui provengono emozioni che chiedono di venir condivise. C’è il capolavoro assoluto: del tutto improponibile, ovvio.
Nel mentre, caparbiamente e fuor di logica, insisto nel ricercare libri che mi regalino una crescita, una scoperta, un progetto: una spinta a camminare, non importa verso dove, verso cosa.
Forse, ma solo forse, oggi – in questo tempo erroneo, mio e di ognuno – è difficile immergersi in libri che regalino lo stupore di una luce laggiù, in fondo al tunnel in cui stiamo acquattati, in attesa, in difesa. Non ci credo; non li trovo; non appartengono a questi giorni. Sono (io, loro) fuori tempo?
Anzi, no, importa, eccome! Se non fosse che…ecco, un ricordo, tempi di altre letture, quando mi incuriosivano le teorie di Wilhelm Reich, e la sua “lettura” della presbiopia, di quel disturbo che, negli anziani, respinge il vedere ciò che è vicino – la bellezza perduta, le rughe, i capelli bianchi, il corpo fragile: una prossima morte? – e preferisce allungare lo sguardo, ancora limpido, all’indietro, al ricordo di un altro tempo; oppure, perché no, verso un futuro per il mondo, per i figli, per i nipoti, per le cose che ognuno ha contribuito a costruire e che non dovranno andarsene con lui.
Oggi, in un mondo che ci chiede, per sopravvivere, la presbiopia associata alla miopia – per tutto ciò che vediamo-temiamo vicino e che fa paura – a quali pagine possiamo rivolgerci? Nelle diverse età della vita?
Dentro le pagine di un libro abita la possibilità di allontanarsi dal presente, di raggiungere un altrove, di trascorrere dentro il tempo. Sta la possibilità di cercare una via, un sentiero che consenta una deviazione: perché niente è già scritto, c’è sempre una via, un sentiero a lato che val la pena di ricercare e, perché no, di percorrere indirizzando i nostri passi verso un domani possibile, buono e bello.
Da presbiti, soprattutto: capaci (solo), e bisognosi, di guardare lontano.
Sono tanti, persino troppi, i buoni libri – la possibilità di scelta non manca, l’editoria sforna pagine su pagine. Molte, va detto, sono persino di buona qualità.
Sono troppe, tuttavia; si accavallano, si ripetono. Sono foreste. Nascondono strade, sentieri; occultano traguardi.
Ricordo il tempo, lontano, in cui un libro era davvero costoso, quando non esistevano molte edizioni economiche, e ogni libro acquistato apparteneva (nella nostra fantasia) alla categoria del “per sempre”.
Ricordo, al tempo della vecchia TV bianco e nero (almeno la mia lo era), un’intervista a Valentino Bompiani sul fatto, penso, dei pochi lettori italiani (vecchio attuale tema persistente) – riporto uno scambio con mie parole:
Intervistatore: Il problema sembra essere che i libri sono molto cari.
V. Bompiani: è vero, sono carissimi a chi li possiede. Molto.
Il libro era, un tempo (lontano, certo, ma è ancora in vita chi lo ricorda) un acquisto oculato. Avrebbe seguito la famiglia per tutta la vita; sarebbe stato tramandato. Almeno nelle intenzioni.
Le persone che leggevano, le persone che, soprattutto, regalavano libri ai loro bambini, erano poche; erano – vogliamo dirlo? – un’élite intellettuale, non necessariamente almeno benestante, ma anche sì, in certa misura; persone che, in casa, possedevano già o iniziavano a costruirsi una biblioteca privata, magari piccola ma selezionata; erano spesso persone che in quella casa avevano veduto nascere e crescere i figli e i nipoti; che avrebbero trasmesso perché venisse ampliata una biblioteca composta da libri scelti con cura; da libri che sarebbero stati ancora letti, più e più volte. Erano persone che non si dovevano chiedere cosa sarà dei miei libri quando non ci sarò più.
La domanda “cosa leggo ora, stasera” significava spesso “cosa rileggo”; quando ogni rilettura sarebbe stata, in qualche modo, una nuova lettura: la prima era stata troppo veloce, travolta dal desiderio imperativo di vedere come il tutto si sarebbe concluso – e se era una storia d’amore la domanda sarebbe stata “morirà lui? Morirà lei? Moriranno ambedue? O vivranno felici insieme per sempre?”
Solo una seconda, se non una terza lettura, avrebbe potuto consentirci di gustare davvero ogni pagina, ogni frase.
A distanza, anni dopo, un io divenuto una persona diversa avrebbe ancora riletto quel libro, ritrovandolo nuovo, mai in precedenza conosciuto se non per il più o meno vago ricordo di un banale fatto di trama – sempre quelle, dopotutto: Vladimir Propp insegna.
Ogni lettura ci avrebbe detto cose nuove. Non sarebbe stato più di nostro interesse il libro che in un altro tempo ci aveva appassionati; sarebbe risultato una felice scoperta il libro che non avevamo apprezzato: mantengo un permanente senso di colpa per non aver mai concluso – ero ancora bambina, poi ragazzina – la lettura di “La piccola Dorrit”, avendo tentato parecchie volte di riprenderla (per senso di colpa: nessun libro doveva andare sprecato! Oggi, tuttavia, Daniel Pennac mi ha bellamente liberato dal senso di colpa, anche se mai dal dispiacere per i soldi buttati.)*
Ora, quando sono (ancora) tentata di leggerlo, lascio perdere: mi è ben chiaro che Dickens, proprio lui, non sta nelle mie corde: a parte (ma non del tutto) il David Copperfield.
La lettura estende il nostro tempo, lo sappiamo bene; la lettura ne rallenta lo scorrere, regalandoci vita e vite. La lettura non è – non dovrebbe mai essere – oggetto di consumo del genere usa e getta e tuttavia lo sta diventando – parlo per me, in parte dissentendo da Pennac, ma credo di non essere sola in questo giudizio.
So che dovrei liberare i miei scaffali di pagine e pagine che mai più leggerò, che neppure riesco a regalare (perché a nessuno interessano).
L’idea mi coglie d’improvviso: Dovrei, potrei – qui, in questo spazio – inaugurare uno “scaffale degli autori ingiustamente dimenticati”? Autori che non appartengono necessariamente alla categoria dei “Grandi”; sicuramente a quella, importante, dei Buoni Autori; degli autori che ancora parlano al loro lettore. Tra cui esiste il vasto mondo delle “autrici” d’antan, sconosciute-dimenticate.
Rubo ancora, in proposito, da Vitamine vaganti: (qui):
“Rimane poi aperta l’annosa questione del canone. I testi che consideriamo letteratura sono il prodotto di una selezione che nei secoli ha indicato modelli e maestri abbandonando all’irrilevanza e alla dimenticanza moltissimi prodotti, alcuni dei quali sono anche stati recuperati con il variare del canone. I manuali di letteratura in uso delle scuole hanno ulteriormente irrigidito e sclerotizzato l’elenco degli autori considerati classici, riducendo spesso interi secoli a “trittici” di grandi maestri.”
Come dire, inauguriamo una micro-battaglia contro il Canone? Meglio, contro il Marketing, sospettando che, tra i due campi, esista oggi, se non collusione, sicuramente un predominio del secondo sul primo cui la – si può dire classe intellettuale? – può, in buona parte, venir sospettata di essere “organica”: al Mercato, intendo; e, in modi diversi da quelli di un tempo, ma ancora e sempre, al Patriarcato.
Povero Gramsci! Dovrei scusarmi per l’uso improprio del suo assunto; ma anche no, non del tutto improprio. Dovrei pensarci bene.
Nel post citato, Vitamine vaganti ci regala una eccellente mappa per orientarci sul tema: e lo fa, giustamente, attraverso un Libro.
”C’è un’altra storia. Antologia letteraria e artistica al femminile”, realizzata da Barbara Bellani, Iolanda D’Angelo e Nadia Verdile per la “marisa pacini fazzi editore” (C.E. che i lettori toscani credo conoscano bene), 2021.
Questo volume, che ora si trova sul mio tavolo, sarebbe uno strumento – posso dire necessario? – per la nostra scuola. Vi troveremo raccolte, con la storia del tempo, dal Medioevo ad oggi, vite e produzioni delle maggiori e note letterate e artiste: un universo sconosciuto, di cui spesso non è rimasta quasi traccia nel comune sapere condiviso.
Nel frattempo, sperando di riuscire a “studiare” quest’antologia, regalandomi un’immersione, genere amarcord, nella mia antica vita scolastica, saccheggio, per i miei bisogni relativi al “cosa leggo ora?” i consigli di lettura della contemporaneità consigliati dal mio mondo di blogger – dopo tutto abito, per l’appunto, i miei giorni, al cui interno la critica, chiamiamola ufficiale, pare ormai di poca se non di nessuna utilità: sovente abitata, temo, da una nuova forma di intellettuali diversamente organici.
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