C’è una apparente incoerenza tra la vita di Oscar Wilde e la sua opera: quest’ultima appare contraddittoria rispetto a ciò che quel ragazzo prima, uomo poi, ha fatto dei suoi anni e della sua vita.
Scrittore di favole dolci e tristi (Il principe felice, L’usignolo e la rosa, ma anche Il fantasma di Canterville, favola felice, intrisa di umorismo) le sue opere si segnalano per una costante, magari sottile ma indubbia caratterizzazione morale, critica rispetto alle ipocrisie della morale vittoriana; del tutto assente la componente del sarcasmo che spesso si accompagna alla chiave ironica, in Wilde sempre – posso dire – “buona”?
La chiave morale si confermerà nella raccolta “La casa dei melograni“, opera indirizzata, anche in questo caso, alla lettura infantile e tuttavia (pur se Wilde lo negava), decisamente rivolta a lettori adulti che avevano ed hanno tutto da guadagnare dal genere: farà eccezione, forse, il bellissimo “Il delitto di Lord Arthur Savile”, ironia e umorismo puri di cui, peraltro, ricordo una lettura altamente goduta in età decisamente ancora vicina all’infanzia.
Scrittore prolifico di opere teatrali, tragedie, commedie, tutta la sua produzione è caratterizzata critica all’ipocrisia della classe borghese del suo tempo e, nel contempo, impreziosita dalla scrittura, dalla briosità dei dialoghi, carica di umana simpatia, sotto il segno di un umorismo buono che mai avvicina il sarcasmo.
Ci sono le “Poesie in prosa” (che mancano, tra le mie letture) scritte per il giovane André Gide che aveva avuto occasione di conoscere.
C’è anche poesia tra le sue opere ma, chissà perché, non ho mai desiderato avvicinarla: dovrei farlo.
Ci sono infine “le opere della caduta” – così le chiama Andrea Sirotti, nella sua Prefazione al “De Profundis” e a “La ballata del carcere di Reading”: nel primo caso, una lunga lettera a Bosie, Lord Alfred Douglas, per il cui amore Wilde subì il disonore e il carcere, la distruzione della sua vita: destino alla cui realizzazione contribuirono peraltro il suo carattere e le sue scelte che non tenevano conto dell’ipocrisia (ovvia, prescritta) propria di ogni società cosiddetta civile, che mai avrebbe potuto tollerare la rottura della regola per cui “si fa ma non si dice”.
“Non c’erano alternative. Per un profondo, anche se mal riposto, affetto per te; per una grande pietà per i tuoi difetti di temperamento e di carattere; per la mia proverbiale bontà d’animo e celtica pigrizia; per la mia avversione alle scenate volgari e alle parole grosse; per la mia incapacità, che allora mi contraddistingueva, di portare un qualsivoglia rancore; per l’avversione di vedere l’esistenza resa più amara e sconveniente da quelle che ai miei occhi, attenti a ben altre cose, sembravano mere sciocchezze, troppo meschine da meritare più di un minuto di riguardo o di interesse; per tutte queste ragioni, per quanto semplici possano sembrare, mi arresi sempre a te. (…)”
In “La ballata del carcere di Reading”, sottotitolata “In memoria di C.T.W, già soldato delle guardie reali a cavallo morto nel carcere di Sua Maestà, a Reading, Berkshire” Wilde narrerà, in versi, la morte per impiccagione di un suo compagno di sventura, Charles Thomas Wooldridge, colpevole dell’omicidio della moglie.
Egli non porta il suo abito scarlatto
perché rossi sono il sangue e il vino,
e il sangue e il vino erano sulle sue mani
quando lo trovarono con la morta,
la povera donna che egli aveva amato,
che egli aveva ucciso nel suo letto
………
Eppure ogni uomo uccide ciò che ama
…………….
Alcuni amano troppo brevemente, altri troppo a lungo,
alcuni vendono e altri comprano;
alcuni uccidono con molte lacrime,
ed altri senza un sol singhiozzo:
perché ogni uomo uccide ciò che ama,
eppure nessuno di loro deve morire.
…………
Nessuno si desterà sul far dell’alba per vedere
la propria stanza popolarsi d’orribili figure
il Cappellano tremante avvolto nel bianco
il Prefetto severo con tristezza
e il Direttore in lucido nero
con il giallo volto della Condanna.
Ed ecco chiarita la solo apparente incoerenza tra la vita e le opere di Oscar Wilde. Ecco la vicinanza, nella disgrazia, e sia pur di lontano, della moglie, Lady Constance, a un uomo “buono”, a un uomo che i suoi scritti rivelano, là dove la finzione non può esserci; a un uomo che, come ognuno, porta sulle proprie spalle il peso del caso, che lo fa nascere in un certo tempo, in una certa famiglia, perché no, pure buona, in una certa società, che produce incontri di un temperamento con un ambiente e una vita.
Una carriera scolastica regolare e vincente, la sua; una produzione letteraria che lo innalzò rapidamente agli onori della fama. Viaggerà, Oscar Wilde; terrà cicli di conferenze negli Stati Uniti.
Ci sarà il matrimonio (via maestra per “sistemarsi” anche economicamente) con una donna che lo affascinò dal giorno in cui la vide: Constance Lloyd fu, come lui, una outsider, una giovane donna che leggeva e declamava Dante in italiano; che scriveva e amava la libertà.
Quel matrimonio non sarà facile, per nessuno dei due; e tuttavia rimarrà apparentemente saldo. Fu un matrimonio che patì le esuberanze di lui, il suo sperperare il denaro, il suo bisogno di recitare e stupire; la sua infedeltà e la sua omosessualità. La sua promiscuità.
Il matrimonio resisterà, forse anche in forza del fatto che, a suo modo, anche lei era dotata di una personalità eccedente rispetto alle regole sociali. Era una donna colta e bisognosa di una libertà, intellettuale e sociale, che il marito certamente non ostacolava. Il matrimonio con Wilde le consentirà, forse, di non sottostare agli obblighi borghesi che impastoiavano (e impastoiano, sia pur con tutte le differenze del caso) la vita delle donne; le consentirà di scrivere, di dirigere una rivista femminile, di impegnarsi per la libertà delle donne.
Con la nascita dei figli, tuttavia, i problemi tra i due si faranno maggiormente acuti: pur senza porre in discussione il legame, diventava sempre più faticoso reggere i comportamenti socialmente rischiosi di lui.
Non ho (ancora?) letto il libro di Laura Guglielmi “Lady Constance Lloyd. L’importanza di chiamarsi Wilde”, edito da Morellini, nel 2021. Potrebbe riservarmi delle sorprese.
Due figli maschi, dunque, Cyril e Vyvyan, per i quali Oscar Wilde fu un padre amorevole, per i quali fece anche qualche tentativo di sistemarsi con un lavoro regolare, ovviamente fallito.
L’omosessualità, fino al 1981 reato per la legge inglese**, era nei fatti punita unicamente in quanto “pubblico scandalo”, vale a dire nel caso non venisse gestita “con riservatezza”: l’ipocrisia, come detto, è una regola che ogni società, tanto o poco, impone e la riservatezza, o ipocrisia borghese che dir si voglia, era totalmente al di fuori del comportamento di quel, peraltro bonario, fustigatore della stessa, nonché amante, a suo modo, del dedicarsi a stupire i benpensanti, che fu Oscar Wilde.
Tra le sue storie d’amore quella con Bosie, Lord Alfred Douglas, fu devastante. Il loro, per quanto appare, fu un “grande amore”, segnato da abbandoni e riconciliazioni, e che incontrò, da parte del padre di Bosie, marchese di Queensberry, un’opposizione feroce.
Il marchese aveva già perduto un figlio in un incidente di caccia che si sospettava mascherasse un suicidio causato da una relazione omosessuale.
Wilde, anche spinto da Bosie, scelse di rispondere ai biglietti di insulti e alle pubbliche accuse diffamatorie del marchese, denunciandolo per calunnia: il risultato fu la terribile condanna che gli fu comminata. Rilasciato nel 1897, morirà, per le complicazioni di un’otite, tre anni più tardi, in Francia.
La moglie scelse di non divorziare da lui. Si trasferì con i figli in Svizzera, poi in Germania, scegliendo, per proteggerli dallo scandalo, di cambiare loro il cognome, che divenne Holland, nome che apparteneva alla sua famiglia.
Di Oscar Wilde rimase e rimane la qualità e la mole di scritti che, nei suoi quarantaquattro anni di vita, ha dato alle stampe e rappresentato in teatro.
Le sue vicende di vita rimangono invece note, temo, unicamente per quanto riguarda, per l’appunto, la condanna che subì, nel 1895, a due anni di lavori forzati.
Nato a Dublino il 30 novembre 1854, Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde morirà dunque a Parigi il 30 novembre 1900.
Posso tuttavia dire che, al di là del mero dato temporale, Oscar Wilde ha avuto una vita molto lunga? per intensità, per presenza, per un lascito di opere di cui poco, e solo forse, morirà.
Sepolto inizialmente nel cimitero di Bagneaux, la sua salma fu in seguito trasportata al Père Lachaise di Parigi, dove, a cura dell’amico ed ex amante Robert Ross, suo esecutore testamentario, fu realizzato, con fondi di amici ed estimatori un, al tempo controverso, monumento.
Nella stessa tomba furono in seguito deposte le ceneri dell’amico Robert Ross.
Nella sua vita, Oscar Wilde suscitò sicuramente grandi ostilità e tuttavia gli amici non lo abbandonarono mai.
Sulla sua tomba al Père Lachaise divenne un rito baciare la stessa, con il rossetto, per lasciare il segno, al punto che dovette infine venir posta una protezione di vetro sulla lastra “incriminata” per proteggere dai baci la scultura.
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*Uscirà, il 1 aprile 2023, il libro di Vyvyan Holland, “Figlio di Oscar Wilde”, La Lepre Edizioni. E’ inoltre reperibile nell’originale inglese e in traduzione francese, di Merlin Holland, nipote di Wilde, “Le procès d’Oscar Wilde”, che ho ora sul tavolo, da leggere, ed. Le livre de Poche.
**In Gran Bretagna l’incriminazione dei comportamenti omosessuali, notoriamente radicata nel puritanesimo e nelle politiche demografiche dell’epoca vittoriana, è venuta meno soltanto nel 1981, con la celebre sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Dudgeon, che ha ravvisato nella previsione del reato di sodomia un’interferenza dello Stato nella sfera privata del cittadino. In: OMOFOBIA E LEGGE PENALE Possibilità e limiti dell’intervento penale di Giuseppe Riccardi: (qui)