Quando dire “No” è un “Sì” alla vita.

il-tempo-migliore-della-nostra-vitaAntonio Scurati, «Il tempo migliore della nostra vita», Bompiani 2015

Leone Ginzburg dice “no” l’otto gennaio del millenovecentotrentaquattro. Non ha ancora compiuto venticinque anni ma, dicendo “no” si incammina verso la propria fine.”

“Illustre professore, ricevo la circolare del Magnifico Rettore, in data 3 gennaio, che mi invita a prestare giuramento, la mattina del 9 corrente alle ore 11, con la formula stabilita dal Testo Unico delle leggi sull’Istruzione superiore. Ho rinunciato da un certo tempo, come Ella ben sa, a percorrere la carriera universitaria, e desidero che al mio disinteressato insegnamento non siano poste condizioni se non tecniche o scientifiche. Non intendo perciò prestare giuramento”[i]

Indirizzata a Ferdinando Neri, preside della facoltà di Lettere e suo relatore di laurea

Questa è stata una lettura che mi ha molto coinvolta; e che è difficile definire. Riduttivo, e in parte improprio, definire questo libro “un romanzo”. Non è neppure, del tutto, una biografia. È la traduzione in “storie” della “Storia”: di quella grande, che ha coinvolto il mondo e delle grandi e piccole vite che hanno vissuto quel tempo, dei piccoli e grandi luoghi che le hanno ospitate; è una narrazione di quella “Storia” cui le “storie” danno forma e sostanza, rivelando la materia di cui si compone – vite singole, famiglie, quartieri, attività, affetti, progetti, futuro. Gente. Nomi e Cognomi. Luoghi di vita. Attività. Sogni.

Pagina dopo pagina, i racconti di quelle vite, degli accadimenti, delle scelte, ne rivelano, ponendoli in situazione, i valori di eticità, e li palesano quale elemento costitutivo della vita, pietra d’angolo su cui la Storia, piccola e grande, viene costruita.

Ha una struttura molto particolare, questo “romanzo”. Si apre iniziando a narrare la breve vita di Leone Ginzburg, uno che “(…) a nemmeno venticinque anni, entra nella ristretta comunità di quegli uomini dai quali dipende la sopravvivenza di tutti gli altri.”

Poi, al secondo capitolo, l’autore darà il via ad un nuovo incipit, proponendoci una storia della sua famiglia; meglio, le storie, plurali, delle famiglie le cui vite sono confluite in lui – e nel suo destino: anche, di narratore?

“La mattina in cui a Torino Leone Ginzburg pronuncia il suo “no” al fascismo, Luigi Scurati è da poco venuto al mondo.”

A capitoli alterni, almeno fino a un certo punto, ci immergeremo in storie parallele, che si snoderanno, lungo tre generazioni, senza incontrarsi, nulla condividendo se non “La Storia”, contenitore comune che, da sfondo, assurgerà a tema.

Leggeremo la storia della famiglia Ginzburg, ebrei russi, di Odessa; la storia di Leone, di quel ragazzo che mostrerà subito, fin dagli anni del liceo, di essere una persona molto speciale, un <diverso>:

leone-ginzburg-la-stampa-20-settembre-2016
Leone Ginzburg, da: La Stampa, 20 settembre 2016

“Alto, crespo, nero, peloso, occhialuto, con le mani rosse, il torace angusto e le gambe storte, non si può certo dire che sia bello Leone ma, sebbene parli lentamente per vincere la balbuzie, parla come un libro stampato. (…) A scuola sbalordiva compagni e maestri: destava una punta di invidia, persino di irritazione momentanea”.

Poi, a capitoli alterni, altre storie familiari inizieranno, avranno un seguito, incroceranno altre vite.

La famiglia Scurati, vite in parallelo con lo sviluppo del ventennio fascista, la falsa normalità di quegli anni (ammesso che la normalità non sia sempre tale per chi ci si deve barcamenare), l’esperienza del vivere e sopravvivere.

La famiglia Ferrieri, napoletani, commercianti di carne, benestanti, salvo che la vita può portare rovesci di fortuna, ma ci si riprende; la famiglia Guarino, gente di teatro, girovaghi; venuti inizialmente da Verona. Recitano la commedia dell’arte, su canovacci che si tramandano di generazione in generazione.

Ci sono anche i marchesi Izzo, ma può avvenire che un figlio si innamori di una bella figliola che calca le scene, e che finisca ripudiato dalla famiglia, in povertà. E poiché la storia si ripete, non uguale, no, ma – come ben sanno gli attori della commedia dell’arte, i canovacci sono sempre gli stessi, ne basta uno per costruirci sopra molti spettacoli – capita che di quel mondo, dei Guarino, dei bassi del Rione Sanità di Napoli, faccia parte anche un bambino, Antonio Clemente, figlio di N.N., di cui si sa, nel rione, che la madre è l’amante, la compagna, di un tal Marchese de Curtis, di cui Antonio, che la mamma chiama Totò, è figlio. Il Marchese, infine, la sposerà, riconoscendo quel suo figlio che darà al padre una piccola notorietà marginale diventando il Principe della risata senza dimenticare la vita dei bassi di Napoli. Uno di loro. Una storia diversa, o, quantomeno, una delle tante varianti che i canovacci del teatro dell’arte prevedono.

E ancora storie, che si dipanano in nodi e collegamenti.

E mentre chi legge segue il percorso di vita di Leone Ginzburg, e dei grandi protagonisti della lotta al regime, il tutto intercalato dalle storie di vita dei comprimari, il libro cambia ancora la sua struttura, e pone in primo piano gli anni di guerra: le campagne, le città bombardate, La Grande Storia, intessendola ai racconti: 1940, 1941, 1942, 1943…e sarà il tempo, quel tempo, a dare struttura alla narrazione.

napoli-1944
Napoli 1944 – Festival del Cinema di Roma – 13-23 ottobre 2016

Poi, gli avvenimenti precipitano, e ”l’Italia libera”, il nuovo giornale della Resistenza, sarà il mezzo con cui Leone Ginzburg continuerà la lotta; mentre Napoli – è il settembre 1943 – si trova ad essere in prima linea, distrutta dai bombardamenti, e a Roma, il 16 ottobre, si avrà il rastrellamento del ghetto.

Leone Ginzburg, a Roma, scrive. “Per tutta la vita ha tenuto il suo posto di combattimento e lo ha tenuto senza mai, in tutta la vita, impugnare un’arma”.

Leone Ginzburg lotta. Egli è l’uomo che non ha mai impugnato un’arma; che, da poco laureato, ha reso possibile, insieme a Cesare Pavese, la nascita della Casa Editrice Einaudi (era il 15 novembre 1933); è ancora l’uomo che, poco dopo, in quanto associato al gruppo “Giustizia e Libertà”, fu condannato a quattro anni di reclusione (scontandone due, per sopravvenuta amnistia) per  “delitti di propaganda antifascista, di costituzione, appartenenza alla setta Giustizia e libertà che ha per fine l’abbattimento del Fascismo con mezzi violenti”; è anche uno che ha trovato modo, nel frattempo, di innamorarsi profondamente, ricambiato, di Natalia Levi e sposarla, nel 1938 – e con lei trascorrere due anni al confino nel piccolo paese di Pizzoli, in Abruzzo, con i due figli, che in quel periodo diverranno tre; è quel tale che, dal confino, ha lavorato a scrivere, a tradurre, a correggere bozze, con cura maniacale, per una nuova edizione di “Guerra e Pace”, e non solo.

Di “L’Italia libera”, rientrato dal confino dopo l’8 settembre, arriverà a far uscire tredici numeri. Verrà arrestato il 20 novembre 1943.

La fine è nota. A Regina Coeli. Torturato perché riveli la rete, i nomi dei compagni, resisterà.

È in condizioni disperate. “Al principio di febbraio i compagni riescono a farlo ricoverare in infermeria. Si spera, da lì, di riuscire a farlo fuggire. Gli americani sono sbarcati ad Anzio, sul litorale romano, ma lì dove Leone si trova, non li può sentire.

“Il 4 febbraio sta male tutto il giorno. Verso sera un infermiere gli pratica un’iniezione di canfora. Leone sembra trarne giovamento. Chiede carta e penna e scrive. Scrive a Natalia, sua moglie. Poi muore durante la notte.”

La guerra finisce. Il tempo di tutti riprende a scorrere e l’autore ci offre alcune riflessioni, su di loro, su di noi: che dovremo leggere, perché questo è un libro che <deve> essere letto. Per non dimenticare. Per pensare. E perché è molto bello, avvincente.

_______________________________________

 

[i] Testo del giuramento richiesto:

“Giuro di essere fedele al Re, ai suoi reali successori e al Regime Fascista, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello stato, di esercitare l’ufficio di insegnante e adempiere tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla Patria e al Regime Fascista”

Soltanto tredici professori ordinari di università statali si rifiutano apertamente di giurare perdendo cattedra, pensione e stipendio. Tredici su quasi milletrecento.