“Un meritato riposo”

Oscar Wilde, “Il Fantasma di Canterville”,  Einaudi ragazzi 2009

Favole per bambini, favole per adulti, favole per tutti, da scegliere come lettura al momento adatto che, per una ragazzina/un ragazzino che stanno entrando nell’adolescenza, nel tempo difficile e vitale in cui trova casa ogni emozione cui occorrerà dare un nome, significa in ogni momento.

Ci sono autori, e Oscar Wilde è uno di questi,  la cui vita, paradossalmente, tradisce l’opera. Sono quelli la cui verità si palesa unicamente nelle opere; meglio: quelli di cui la chiacchiera sulla loro vita deforma l’opera, inquinandola di inautenticità.

Heidegger nomina l’inautenticità con la parola “deiezione”, la caduta del da-Sein, dall’esser-ci, travolto dalle piccolezze del mondano, da un rapporto con gli altri fasullo, inautentico in quanto mascherato dal pettegolezzo del momento, dalle occupazioni dell’ora e del giorno che falsificano chi siamo; nel tempo in cui ci comportiamo come  fosse possibile (e lo diventa, sia pure senza verità) prescindere da noi stessi e confonderci in un impersonale distruttivo.

Oh beh, magari io ho capito Heidegger a modo mio ma tant’è. Riceviamo sempre, falsificandolo, il pensiero altrui, a meno di non immergerci in una favola, nel luogo in cui siamo di necessità interi; là dove la nostra autenticità, nel bene e nel male, si rivela e ci mette a contatto con noi stessi.

Oscar Wilde ha scritto “favole” nel corso di tutta la sua vita. Sempre favole – si sia trattato di opere teatrali, di racconti, del suo solo romanzo – Il ritratto di Dorian Gray – considerato il suo capolavoro (in quanto “romanzo”, credo: opera sicuramente eccelsa ma non più dei suoi racconti, il genere prevalente nei suoi scritti, dopo il teatro).

Di queste, “Il fantasma di Canterville” è la sola, che a me risulti, a godere di un finale “regolamentare”: “... e vissero felici e contenti”. Paradossalmente, anche il fantasma, il protagonista che si godrà, infine, il meritato riposo.

Scritta per i suoi figli, con altre  ( Il Principe felice, L’usignolo e la Rosa, Il Gigante egoista, L’amico devoto, Il ragguardevole razzo) è una favola buona, i cui personaggi sono tutti positivi. Volendo proprio ricercare un “cattivo”, (che, dopotutto, in ogni favola che si rispetti dovrebbe esserci: ma qui non c’è) temo sarebbe proprio l’infelice protagonista, sir Simon de Canterville, il fantasma cui ogni lettore si affezionerà.

La storia è nota pure se, non so perché, forse semplicemente perché non ne sento parlare da molto tempo, mi sorge il dubbio che manchi tra le letture dei nostri ragazzi, che si perderanno così una favola unica; e tutta buona.

Sir Simon de Canterville, in versione fantasma, infesta la casa avita da quando, ucciso in modo crudele dai fratelli della moglie, lady Eleanor, da lui assassinata, non può, liberato da ogni colpa, riposare ed è tenuto a spaventare fino a farli impazzire e morire, gli abitanti della sua casa.

Ed ecco: l’ultimo dei De Canterville, decide di vendere l’avita magione, completa di terreni, mobilia e governante, avvertendo con grande onestà l’acquirente, l’ambasciatore americano Mister Otis, della presenza del fantasma.

Mr. Otis non crede ai fantasmi e, in ogni modo, non se ne preoccupa; come lui, sono del tutto indifferenti al tema i suoi familiari, moglie e figli che, dopo aver sperimentato in prima persona la realtà dello stesso, sono del tutto orientati a risolvere con interventi pratici e funzionali i disturbi che il fantasma provoca o di cui, a loro parere, soffre: la raucedine della sua voce potrà trovar giovamento dalla tintura del dottor Dobell, le catene non cigoleranno più, evitando così che disturbino il sonno della famiglia, se oliate con un adeguato lubrificante; e naturalmente:

“se rifiuta ancora di usare il lubrificante Rising Son saremo costretti a levargli le catene”

Nel mentre, la macchia di sangue sul tappeto, là dove sir Simon aveva assassinato la moglie, fino ad allora incancellabile, difficilmente avrebbe potuto resistere al moderno, americano, smacchiatore Pinkerton, costringendo il povero fantasma ad usare mezzucci per riprodurla.

Peraltro, la pragmaticità degli americani, “tutte persone che concepivano solo il lato materiale della vita e non sapevano apprezzare il valore simbolico dei fenomeni paranormali” proveniva, a ben vedere e nonostante le apparenze, proprio dalla loro ascendenza inglese. Infatti, quando la governante Mrs. Umney svenne per il rombo di tuono che seguì alla smacchiatura del tappeto da parte del maggiore dei ragazzi Otis: 

Che ce ne facciamo – esclamò Mrs. Otis – di una donna che sviene in questo modo?

“Falle pagare i danni – rispose l’ambasciatore – e vedrai che non sverrà più”

“E in effetti Mrs. Umney riprese i sensi nel giro di pochi istanti”

Belli i personaggi: costituiscono il sale della storia. Tutti, esemplari di grande autenticità. E cos’altro vale la pena di regalare al giovane lettore (e al vecchio lettore, peraltro, dato che, in lui, permane il bisogno di ricostituirsi frequentando, attraverso la fantasia, qualche universale del proprio mondo) se non qualche pilastro di sostegno per un buon rapporto con la realtà, compresa quella dei fantasmi che faranno sempre parte della vita di ognuno di noi.

C’è, nell’ambasciatore Otis, molto buon senso e la dote aggiuntiva di un carattere accomodante. E mentre è impegnato a scrivere una storia del Partito Democratico (sarà per questo che mi è tornato alla mente, in questi giorni, questo bellissimo racconto?) la sua signora pare non soggiacere a dubbio alcuno circa se stessa quale fonte dell’ordine e del significato delle cose, della sua casa e del mondo, che dovranno essere e stare nel giusto modo. Mrs. Otis è un personaggio che si segnala, discretamente ma perentoriamente, in funzione regolatrice della vita familiare; e in aggiunta per la propria ottima salute, in difformità da quanto accadeva alle signore della buona società del tempo che, pare, ritenevano l’essere costantemente sofferenti di qualcosa un tratto di raffinatezza.

La coppia americana ha quattro figli: il maggiore, un giovanotto di nome Washington, pare sulla via che lo porterà a percorrere le orme del buon senso paterno, solo ancora un po’ inquinate da un residuo di allegra effervescenza infantile mentre la sorella Virginia, quindicenne, è in via di diventare una giovane debuttante di successo – e già il giovane Duca di Chesire sta spasimando per lei: come potrebbe una bella favola mancare di una storia d’amore? – mentre a completare la figliolanza si segnalano, per allegra bricconaggine e ilare sprezzo del fantasma cui giocheranno scherzi feroci in tutta allegria, due gemelli.

I due ragazzini, di cui non conosciamo il nome, venivano chiamati, in famiglia, Stelle e Strisce a motivo del fatto che assaggiavano spesso la frusta: era il tempo in cui la più serena delle famiglia utilizzava strumenti educativi molto concreti, in tutta tranquillità: sui risultati non è dato sapere, così come, peraltro, non si sa bene come funzionino le nostre attuali pedagogie. 

Dimenticavo: incontreremo anche un gruppo di zingari cui veniva permesso di accamparsi sui terreni della tenuta di Canterville, pure loro, come giusto, tutte bravissime persone.

Che dire. Si tratta di una favola – romanzo breve (circa settanta pagine) perfetto come pochi altri per regalare a una/un preadolescente il passaggio a letture di maggior respiro, che si caratterizza, come tutte le opere di Wilde, per una scrittura falsamente facile, scorrevole, capace di offrirsi, come favola per ragazzi, a una lettura fattuale e di offrire livelli di lettura diversi al lettore adulto.

Quest’ultimo sarà deliziato dall’umorismo e dalla buona ironia dell’autore, capace di regalare una morale (altrimenti che favola sarebbe?) ben temperata dalla concretezza di vite allegramente “americane” ma non solo: vedi Mrs. Umney.

Il lettore adulto sarà altresì deliziato dall’incontro con il povero fantasma che vorrebbe tanto poter riposare; e acconsentirà, temo, al suo modo di veder le proprie colpe, e il doverle espiare, espresse da un feroce, concreto “buon senso”: come non comprendere, ci dice l’autore, l’insofferenza per una moglie di nessun valore, anche se conclusa con un omicidio, a fronte delle dolorose squalifiche che si trovava a subire dopo trecento anni di valorosa infestazione del castello.

Sarà la giovane Virginia a intervistarlo:

“Mrs. Umney ci ha raccontato che avete ucciso vostra moglie. (…) Uccidere è sbagliato – sentenziò Virginia”

“Oh, detesto la severità a buon mercato dell’etica astratta! Mia moglie era una donna insignificante, le mie gorgiere non erano mai inamidate come si deve e non sapeva cucinare per niente.”

“Vorrei andare a dormire e non posso. … … Non dormo da trecento anni, e sono così stanco…”

Ovvio: DOVEVA venir salvato da una bionda fanciulla di buoni sentimenti, capace di offrire il proprio aiuto a partire da un dialogo improntato a sincerità e buon senso pratico.

Virginia aveva peraltro suggerito a Sir Simon anche la possibilità di trasferirsi in America, dove avrebbe avuto un sicuro successo, assicurandolo che suo padre, Mr. Otis, avrebbe potuto organizzare facilmente il tutto…

“… e benché ci sia una pesante imposta da pagare per gli spiriti di tutti i tipi, alcolici o meno, non ci saranno problemi alla dogana, dal momento che i funzionari sono tutti Democratici.”

Il finale, rigorosamente  di buoni sentimenti, pure tinto di rosa, vedrà tutti felici: il lettore adulto cui, dopotutto, un buon finale fa sempre piacere e il ragazzino/la ragazzina che avrà assaporato diversi livelli di ironia anche non cogliendoli consapevolmente, come qualcosa che darà frutto nel futuro.

Ebbene sì: è un racconto/romanzo breve ben noto che, tuttavia, forse, oggi ci stiamo dimenticando di offrire ai nostri ragazzi. 

Mi è giunta notizia di una presenza di quest’opera (temo in versione ridotta) in testi scolastici per la scuola elementare: fatto che, temo, confermerebbe il rischio di una pietra tombale (vedere il destino de “I promessi sposi”: cosa non può fare la scuola!) su una lettura imperdibile, scritta innanzitutto semplicemente perché se ne possa godere.