L’anno del pannolone per adulti Depend

Giacomo Leopardi, “Dialogo di un folletto e di uno gnomo”. In: “Operette morali”.

D.F Wallace, “Infinite Jest

Così, al volo. Mentre sto scrivendo altro (o no? Ci dovrò pensare). 

Ier l’altro sera ho assistito – RAI TV, primo canale – alla prima di due puntate sulla vita di Giacomo Leopardi: posso dire che mi è parso di ritornare alla mia adolescenza, se non ancora infanzia; ai pregevoli sceneggiati tv di un tempo bello, in cui mi innamoravo perdutamente del protagonista di turno; specialmente se moriva, credo.

Una produzione, quella attuale, che non è stata, per la verità, di mio gradimento, pur se ben recitata, ben sceneggiata – dovendo lasciar perdere l’interpretazione offerta di un Giacomo Leopardi fragilino, delicatino, di poca salute ma decisamente, improbabilmente belloccio.

Va bene, diciamolo, al tempo me ne sarei innamorata. Ora no: e forse per questo non l’ho apprezzato.

Difficile ritenerne responsabile l’interprete: il ragazzo <È>, in effetti, belloccio, ed è difficile truccare la gioventù; senza dire che, quantomeno nella prima puntata, appare sempre nelle vesti di un adolescente malatino che si rifiuta di crescere: quale ragazzina non ne sarebbe affascinata, finendo preda di una feroce sindrome della crocerossina? Poi passa, certo. Talvolta no.

Ma poi, che dire, senza sbagliare, della figura di un Leopardi poeta immenso mischiata al Leopardi filosofo delle Operette (meno frequentato ma ugualmente immenso), mischiata ad un apparentamento incerto tra l’adesione a un suo improbabile (e infatti negato) impegno politico di tipo romantico risorgimentale e il materialismo di stampo illuminista che dava forma al suo pensiero; ambedue inaccettabili nel suo piccolo mondo di Recanati.

Che dire di un Leopardi vissuto in una cittadina isolata dalla storia, in un’epoca di grandi cambiamenti; in una famiglia con la quale poté vivere unicamente lo scontro, dopo averne accolto, e gravemente patito, bambino, le scelte, in primis paterne.

Che dire dello scontro tra la sua formazione, sostenuta dal suo ingegno, da autodidatta già dall’infanzia; sostenuta dalla sua sensibilità, nella salute malferma che lo affliggeva, caricato di una prescrizione a dover prendere i voti sacerdotali (decisamente respinta), in una famiglia segnata dal conservatorismo più feroce, prona alla censura clericale su tutti gli aspetti del sapere su cui aleggiasse il solo sospetto di immaginare un cambiamento dell’ordine sociale costituito, primariamente ecclesiastico.

A Recanati, cittadina appartenente allo Stato Vaticano,  il romanticismo che segnava ormai l’ambiente intellettuale internazionale, era impossibile da far convivere con la clausura sociale e la rigidità familiare dei conti Leopardi; come peraltro lo era, forse persino di più, una mentalità illuminista.

Tutto ciò non poteva non riflettersi nel pensiero e nella scrittura del giovane Leopardi, nel suo mondo emozionale che la malattia – e la famiglia – costringevano vieppiù all’isolamento.

Mi sono ritrovata a pensare il giovane Leopardi come molto più simile di quanto si possa pensare, caratterialmente, al padre cui si opponeva con tutte le sue forze. 

Chiacchiero, fuori tema, al mio solito. Oltretutto in un campo che non mi appartiene: rivendico, per giustificarmi, il mio diritto – incontestabile – di lettrice, a farmi, nella testa, tutte le favole che voglio; e naturalmente a respingerle in seguito, a mio diletto!

Fatto si è che, guardando la puntata, e un po’ sbuffando (l’interprete era carinuccio, dopotutto; e, volendo,  recitava pure bene), mi è tornato alla mente il “Dialogo di un folletto e di uno gnomo”: imperativo, oggi, riprenderlo, ridendo amaro, nel mondo che ci ritroviamo così come abbiamo contribuito a ridurlo.

Per chi non conoscesse le “Operette morali”, e il Dialogo in questione, in esso Leopardi immagina uno Gnomo che, su incarico del padre, esce dalle sue sotterranee residenze per cercare notizie sugli umani di cui, da tempo, non giungono notizie. 

Tale silenzio, da parte umana, è sospetto: non staranno tramando qualcosa di pericoloso? 

Lo Gnomo incontra il Folletto, che lo ragguaglia: 

Folletto Voi li aspettate invan: son tutti morti (…) e la razza è perduta.”

Gnomo. “Oh cotesto è caso da gazzette. Ma pure fin qui non s’è veduto che ne ragionino.”

Folletto. “Sciocco, non pensi che, morti gli uomini, non si stampano più gazzette?” 

Gnomo. “Tu dici il vero. Or come faremo a sapere le nuove del mondo?

Folletto. “Che nuove? che il sole si è levato o coricato, che fa caldo o freddo, che qua o là è piovuto o nevicato o ha tirato vento? Perché, mancati gli uomini, la fortuna (…) se ne sta colle braccia in croce a sedere, guardando le cose del mondo senza più mettervi le mani; non si trovano più regni né imperi che vadano gonfiando o scoppiando come le bolle, perché sono tutti sfumati; non si fanno guerre, e tutti gli anni si assomigliano come uovo a uovo.

(…)

Gnomo. “Ma come sono andati a mancare quei monelli?

Folletto. “Parte guerreggiando tra loro, parte navigando, parte mangiandosi l’un l’altro, parte ammazzandosi non pochi di propria mano, parte infradiciandosi nell’ozio, parte stillandosi il cervello sui libri, parte gozzovigliando, e disordinando in millecose; in fine studiando tutte le vie di far contro la propria natura e di capitar male.”

Che dire. Che, ma solo forse, già allora, neppure sarebbe occorso Leopardi per dirlo. 

Che forse occorreva proprio uno come lui (che peraltro dubito sia stato il primo a così profetare). 

Che è totalmente inutile affannarsi a dire ciò che ognuno sa ma che ognuno è ben deciso a non voler sapere.

Tant’è che, continuando a  commentare sul tema della fine degli uomini (senza particolare nostalgia; solo riprovazione per una specie che, come si direbbe oggi, se l’è andata a cercare), il dialogo prosegue. 

Gnomo. “(…) essi credevano che tutto il mondo fosse fatto e mantenuto per loro soli.”

Senonché, pare esserci qualcosa di umano anche negli gnomi e nei folletti. Ed ecco:

Folletto. “E non volevano intendere che esso è fatto e mantenuto per li folletti.

Gnomo. “Tu folleggi veramente se parli sul sodo” (…) Eh, buffoncello, va via. Chi non sa che il mondo è fatto per gli gnomi?

David Foster Wallace

Le cose stanno per mettersi male senonché, e per fortuna, Gnomi e Folletti non appartengono alla specie umana e dunque, a un passo dal trasformare il dibattito in uno scontro, il Folletto chiude l’argomento.  

… “lasciamo stare questa contesa, che io tengo per fermo che anche le lucertole e i moscerini si credano che tutto il mondo sia fatto a posta per uso della loro specie. E però (…) per parte mia ti dico solamente questo, che se non fossi nato folletto, io mi dispererei.”

Gnomo. “Lo stesso accadrebbe a me se non fossi nato gnomo.”

I due concordano sulla possibilità che, dato un certo tema, a seguito di un confronto, ognuno possa ben rimanere del proprio parere e lasciare che l’altro si tenga il suo. E proseguono a riflettere sull’accaduto e sui comportamenti tipici della specie umana di ogni tempo. 

Concluderanno, con la voce del folletto, sul fatto che il mondo, con tutte le sue creature meno una, stava proseguendo sulla propria strada, come nulla fosse accaduto.

“… la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non sono stanchi di correre, e il mare, ancorché non abbia più da servire alla navigazione e al traffico, non si vede che si rasciughi.”

(…) E il sole non s’ha intonacato il viso di ruggine; come fece secondo Virgilio per la morte di Cesare: della quale io credo ch’ei si pigliasse tanto affanno quanto ne pigliò la statua di Pompeo.”

Ho un po’ spoilerato il Dialogo, lo ammetto. Ho addirittura chiuso questa piccola restituzione con l’excipit ma, credetemi, ci sta. Rimane tutta da leggere; con gli altri dialoghi.

Il confronto-riflessione tra lo Gnomo e il Folletto si avvale di altre godibili osservazioni sul comportamento e sulle credenze umane, dove l’ironia, neppure troppo amara, la fa da padrona, e dove l’uomo viene giudicato nella sua totale inessenzialità per la Vita senza, a ben vedere, espressioni di particolare astio da parte dei due dialoganti: pur se già allora, e da sempre, la specie umana ha disturbato, e non poco, le vite delle altre specie. 

L’uomo viene infatti chiamato, “monello”, epiteto che contiene tolleranza, e persino un briciolo di simpatia.

Ne esce una umanità che, di sé, rivela il non aver, diciamo così, mai raggiunto l’età adulta, e la conseguente capacità di assumersi la dovuta responsabilità verso le altre specie – e verso se stessa. Proprio come accadrebbe a dei ragazzini, che solo l’età giustifica nelle loro malefatte.

Certo, difficile, persino improprio, isolare questo Dialogo dal contesto complessivo delle “Operette Morali”, in cui il pensiero del Leopardi filosofo si compendia, attraverso una prosa che sa di poesia, portando a massa il suo pensiero filosofico laico, la sua immagine pessimista del mondo e della vita. 

Ed ecco: mentre scrivo, vengo catturata da un’altra suggestione.

Difficile pure non avere almeno un retropensiero, in questi giorni – e dico solo <retropensiero> perché pensarlo nitidamente è troppo difficile, angosciante e allucinante – a proposito di quel tale che a giorni sarà al comando della maggior nazione occidentale, e che sogna, preannuncia, minaccia, suppone, blatera di poter operare per – l’acquisto? La confisca a proprio favore? a mano armata? – della Groenlandia, del Canale di Panama, (Messico a seguire?), di cos’altro?

Difficile non sentir riecheggiare, nella testa e nella pancia, là dove ha luogo la paura, la “fantasia” di D. F. Wallace in Infinite Jest su di un vicino futuro in cui Messico, Stati Uniti d’America, Canada si ritrovano uniti nella O.N.A.N (Organisation of North American Nations), e il Quebec è stato trasformato in un’immensa discarica di rifiuti, tossici per definizione.

Il tutto mentre, da un po’ di tempo, una fissazione dell’O.N.U. di dedicare un numero in crescita di giornate ogni anno a questa o quella categoria iellata o supposta tale, mi riporta alla mente – ed è ancora Infinite Jest – quel mondo dove gli anni, invece di seguire cronologicamente l’uno all’altro, verranno sponsorizzati da multinazionali per il lancio di un loro prodotto di punta. 

In “Infinite Jest” il lettore si troverà infatti catapultato nell’”Anno del pannolone per adulti Depend”

Era il 1996, quando Infinite Jest venne pubblicato.

Era il 1824 quando Leopardi scriveva le Operette Morali; il 1835 quando furono pubblicate integralmente, mentre la censura imperversava sull’opera.

Che dire. Concordare con Leopardi sull’inutilità del mondo umano come luogo per una possibile felicità? Accogliere la fantasia-predittività di Wallace che lascia comunque, come sempre, il finale aperto (ma più che altro circolare, come nel film  “Ricomincio da capo”)?

Non so che dire, se non che mi è preso l’uzzo di scrivere questa cosa.