Ehi! Oltre a non aver chiacchierato per quasi due mesi su queste pagine, è un anno o forse due che non scrivo uno dei miei strampalati Avvisi ai naviganti.
Rivedendo l’ultimo (perché devo pur controllare a che numero sono arrivata) ebbene sì, ritrovo una qual forma di continuità. Mentre il mio tempo avanza, avvengono cose, i miei giorni si appesantiscono – e si librano leggeri: e non c’è contraddizione alcuna, credetemi.
Ed eccomi. A ritrovare queste pagine.
Con oggi, giorno in cui riprendo, spero, a scrivere, e calcolando quanto mi ci vorrà a mettere insieme qualcosa di sensato, avrò raggiunto oltre due mesi di non scrittura in questo spazio, causa un banale incidente in casa: alle signore anziane avviene, la notte, di alzarsi dal letto al buio, di inciampare sul tappeto e finire rovinosamente a terra. Tipo birillo: BANG!
Nel mio caso ne sono seguite conseguenze multiple, che mi hanno “inabilitato” per oltre un mese: le mie ossa hanno retto senza danni, la mia faccia (occhi, bocca, denti) e le mie braccia, no.
Risultato: salvo un andirivieni per controlli medici, ho vissuto quasi due mesi trascorrendo dal letto al divano, servita e riverita, come sul dirsi.
E sapete cosa? Se non fosse per il il carico di cura costato al mio compagno di vita, se non fosse stato per alcuni rischi da superare, fortunatamente risolti, e per temporanei (quasi risolti) problemi motori al braccio destro, avrebbero potuto essere, e in certo senso sono state, le migliori ferie della mia vita. Divano, accudimento, libri (versione e-book per aumentare da semicieca il corpo delle parole e, il tutto, senza sensi di colpa: l’hanno prescritto i medici, l’equivalente umano di “parola di dio”.
Mi avete fatto molta compagnia in questi due mesi: dopotutto, se non potevo scrivere più di poche righe, ho potuto dedicare un maggior tempo a leggervi con tranquillità – e a leggere: un bel po’ di gialli (molti in rilettura), più alcuni libri interessanti. E poesia; tanta poesia.
E passo ora ai temi di conversazione veri: i buoni libri letti e che desidero suggerire. Per ora, mi limiterò ad arredare una piccolissima vetrina della mia micro-libreria virtuale.
Senza, ovviamente, graduatoria alcuna:
- di Dipo Faloyin, “L’Africa non è un paese”, Iperborea 2024. Pubblicato con Il Post nella serie “Altre cose”.
Un libro interessante, dalla scrittura giornalistica, scorrevole, fattuale; e dialogante. Racconta fatti che, volendo, a spezzoni, già conosciamo; e pur tuttavia, in qualche modo, evitiamo di tenere insieme.
Il risultato è decisamente diverso dalla semplice somma dei fattori.
Le aree tematiche che l’autore affronta – dopo un’inquadratura storica di come tra ‘800 e ‘900 l’Africa fu occupata e catturata dalle democrazie europee (in particolare vedi Conferenza di Berlino 1884 – 1885) – spaziano incrociando tra loro aspetti diversi, aree diverse di un colossale furto di risorse, in buona parte ancora in atto, agito attraverso il tentativo di nullificare storie millenarie che identificavano popolazioni e culture diverse.
E c’è un aspetto, particolarmente segnalato, che riassume e fa sintesi di tutto il problema per cui – ognuno di noi lo può verificare da sé, se non su di sé, senza difficoltà, credo – ci viene facile dire, o pensare una persona di pelle scura che incontriamo come “africana”, tout court, senza differenziarne e accoglierne una appartenenza nazionale e culturale specifica.
E se ciò è totalmente sbagliato, c’è un senso in cui possa essere potenzialmente e colpevolmente corretto? (commento mio).
L’autore, giornalista nato a Chicago, ha vissuto in Nigeria, a Lagos, e vive attualmente a Londra.
Ne racconterò.
- A seguire, di Benjamin Labatut, “Quando abbiamo smesso di capire il mondo”. Adelphi 2021.
Un libro pubblicato da Adelphi, va detto, potrà piacere o non piacere ma è sempre un libro di qualità. Possiamo convenirne. Questo segue la regola e si fa leggere agevolmente e con interesse.
Al termine converremo, soddisfatti, sul fatto che il titolo rappresenta perfettamente il contenuto, avendoci tuttavia lasciato una sensazione di stupore: attendevamo (forse) altro, non saprei dire perché.
Si tratta di cinque “capitoli”, di cinque temi, in apparenza totalmente slegati l’uno dall’altro. Il titolo, tuttavia, e solo il titolo, fa sì che venga individuato il fattore unificante.
Il tutto senza che neppure valga la pena di chiederselo, perché è una lettura che non si lascia.
Spero di riuscire a raccontarne.
Ancora:
- Inevitabile, per me, non trascurare l’ultimo libro di Carlo Rovelli , “Buchi bianchi – Dentro l’orizzonte”, Adelphi 2023.
Il desiderio di proporlo c’è tutto, ma dovrò pensarci. Ho già proposto tre suoi libri, e forse esagererei proponendone un altro. Resta il fatto che si tratta di un libro bellissimo; forse, almeno per me, il più godibile per (vedi Labatut) riprendere a capire il mondo nel senso che è bello anche il non avere certezze, e scommettere sul dubbio.
Ne racconterò, dunque? Forse. Dovrò prima rileggerlo – è sempre il tempo della seconda lettura che rende davvero tuo un libro.
Dopodiché, e inevitabilmente, la sera, l’addormentamento avviene più facilmente con un buon giallo – meglio ancora con una buona serie: in rilettura, anche in questo caso, che è il modo per godersi una storia, investigativa ma non solo, senza ansia: dopotutto, l’assassino di turno è già noto e c’è modo di godere, avendo ben scelto, di una buona scrittura, e della frequentazione di personaggi interessanti. E dunque, via alla ricerca tra gli ebook già letti, ed ecco:
- Giovanni Ricciardi, “Le indagini del Commissario Ponzetti”, 2011.
Vedo il titolo del primo romanzo – I gatti lo sapranno (e già il titolo è bello) – e mi tornano alla mente i due primi deliziosi capitoli del romanzo, fatti di pensieri, di conoscenza del protagonista narratore – Commissario Ponzetti – e del quartiere Esquilino di Roma che, al momento in cui si avvia il racconto, il nostro Commissario è in procinto di lasciare, con nostalgia, per un trasferimento ai Parioli.
E. semplicemente, l’incipit, è accattivante.
«Mi ritrovai nel cortile che avevo già la sigaretta in bocca. Ero stanco e triste, mentre i frammenti dolorosi di quella storia si ricomponevano nella mia mente. Quando ero più giovane, la soluzione di un caso mi dava una gioia potente, una soddisfazione che mi riempiva di orgoglio. Ora volevo solo andarmene e chiudere tutto in poco tempo, per tornare alle mie ordinarie manie.
“Chiamatemi pure sbirro. Sono vecchio del mestiere. Per queste cose non mi offendo più”.
C’è qualcosa di Ismaele nella figura del Commissario Ponzetti? Nella curiosità, nel pensiero, nel modo del narrare? Beh, eccessivo ma, dopotutto, perché no.
Per non dire del titolo, che riprende una bellissima poesia di Cesare Pavese. Cosa di meglio.
Quando, al terzo capitolo, si avvia la storia “gialla” con la morte della gattara, la lettrice è catturata.
Ne ho letto quattro storie. Perché non continuare? Ce ne sono altre.
Davvero, credo che l’autore e il personaggio delizieranno altre mie notti. Nel caso ne riparleremo.
Un tempo a sé, dunque, questa mia estate – e mi sono dilungata anche troppo a raccontarlo. Perché un tempo a sé significa di necessità Poesia.
Ancora saltello tra versi di due opere che, al momento, ho solo assaggiato, e apprezzato; che non lascerò, ma, al momento, resteranno in parziale attesa.
- Paola Cannas, “Respiri e sospiri”, Guanda 2022
- Mahmud Darwish, “Vorrei che questa poesia non finisse mai”, editore emuse 2024 – Traduzione dall’arabo di Sana Darghouni
Due poeti da riprendere; la cui lettura è stata, al momento, interrotta da un coro di importanti voci poetiche che mi nutrirà a lungo, chiedendo per sé un proprio tempo, concluso, nel giorno.
- AA.VV., “Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza”, Con Prefazione di Ilan Pappé, con interventi della scrittrice e poeta Susan Abulhawa, e del giornalista e scrittore U.S.A Chris Hedges – Fazi Editore 2025
Versi importanti, di verità immortale. Versi dolcissimi nella tragedia.
Versi che cercano di non avere fine, che non hanno fine.
Versi che, come sempre chiede la poesia, continuano e continuano anche quando si chiudono e lasciano che continui a parlare il silenzio.
Un solo breve incipit (il testo è molto lungo) con la voce del poeta palestinese Marwan Makhoul.
New Gaza
Non c’è più tempo,
quindi non indugiare nel ventre di tua madre, figlio mio, affrettati a venire / non perché ti desideri, / ma perché la guerra è scoppiata e temo che tu non possa vedere la tua patria come l’ho desiderata per te.
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