Ho completato la lettura di questo romanzo, ormai datato (prima edizione dell’anno 2000), di Sandro Veronesi, di cui avevo letto qualche anno fa unicamente “XY”, libro che avevo messo da parte riservandomene una rilettura (che finora non c’è stata). Mi era parso un libro che aveva delle possibilità, la scrittura era interessante, e anche l’idea poteva esserlo; non ne ero rimasta convinta ma nel contempo esitavo a rinunciare a questo scrittore. Cosa che invece, per tre anni, ho evidentemente fatto.
Non ho più ripreso “XY”. E invece ho aperto, un prestito e un consiglio di lettura tramutatosi in acquisto, “La forza del passato”: e questo romanzo ha fatto un po’ di giustizia delle mie attese deluse di allora. E rinforza in me l’idea che forse sarà possibile una rilettura attenta di “XY”, almeno per sapere cosa, in quel libro, per me non ha funzionato.
La storia: Gianni Orzan, scrittore di libri per ragazzi, inventore di un personaggio amato dai bambini di nome Pizzano Pizza (e questo nome, va detto, è una seria caduta!) la moglie Anna e un figlio, Francesco, di otto anni, conducono una tranquilla vita piccolo borghese. Sullo sfondo, non veduta, la famiglia d’origine di lui, con padre generale dei carabinieri e fervente democristiano, che al mattino andava alla messa con Andreotti e si scontrava con il figlio sinistrorso.
La storia inizia nel momento in cui il padre dello scrittore, il generale dei carabinieri Maurizio Orzan, è da poco morto e il figlio è alle prese con un tepido lutto, dato che non aveva mai avuto grandi legami con il padre, per diversità di idee politiche e per la rigidità di quest’ultimo.
Mentre il nostro si sta interrogando sul proprio lutto, nella sua vita accadono dei fatti, meglio, si rivelano dei fatti, in un crescendo che va dalla scoperta di rapporti di amicizia che non erano tali, di un’immagine di sé che all’esterno risulta totalmente diversa da quella da lui immaginata, alla grande rivelazione della verità sul padre e su chi era stato, che sconvolgono non solo l’immagine che il figlio ne aveva ma richiedono una rivisitazione di tutta una storia di vita.
Il deus ex machina che provocherà questa rivoluzione è un vecchio amico del padre (meglio: una strana persona che si dichiara tale e la cui identità resta sempre incerta o, quantomeno, multipla), persona dall’aspetto e dal carattere che mai il figlio avrebbe potuto associare al vecchio generale, e che si infila nella vita del protagonista divenendone per un verso un vero e proprio tormentatore e per altro verso un sostegno quando le cose si complicheranno e le certezze di Gianni Orzan, su di sé e sulla propria serenità familiare, rischieranno di crollare.
In breve: il padre di Gianni, il severo generale democristiano, era un agente sotto copertura del KGB, come il suo amico Gianni Bogliasco.
Per conoscere la storia, i modi e il senso di questa copertura, occorrerà leggere il libro, anche se, va detto, in una certa misura si tratta di una storia, di una trama, importante ma che non costituisce il nodo del romanzo, il cui centro sarà invece il percorso di presa di coscienza da parte del protagonista primariamente di sé e del suo rapporto con gli altri. E alla fin fine: sarà vera la storia sul padre? Veronesi sceglierà di non indagarla.
E questa, va detto, è una grande scelta. Nel bene e nel male. Anche in questa occasione, Veronesi sfiora il giallo, come aveva fatto in “XY”, che può essere considerato un libro interessante, forse, se e solo se non lo si considera un giallo, come invece è stato presentato dalla casa editrice Fandango Libri che lo ha pubblicato e, per la verità, come forse voleva essere ma non è.
Anche in “La storia del passato”, gli elementi per una investigazione ci sarebbero tutti. Ci sono i trascorsi, e la stessa identità, del padre; c’è un pezzo importante, lasciato in sottofondo, ma c’è, di storia italiana, c’è il personaggio, estremamente umano e anche, a suo modo, simpatico, di Gianni Bogliasco (ma quale sarà il vero nome del personaggio? Saperlo in effetti non è di alcuna utilità).
A questo proposito, mi si è posta una domanda: come si presenta questo racconto per chi, oggi giovane, dei fatti italiani di quei tempo, dal generale Di Lorenzo ai tentativi di colpo di stato, non ne sa niente? E nulla sa dell’attesa di guerra che, in quegli anni, era considerata doverosa dai servizi di tutto il mondo?
Ma Veronesi, a quanto pare, non è interessato a sviluppare un narrazione che investighi la storia del padre, è interessato a investigare la crisi del figlio; il suo interesse è sul personaggio, sulla sua vita interiore, in partenza apparentemente un giovane uomo, padre di famiglia, privo di ombre come di profondità, che via via la assume.
Lo scavo, alla fine, riguarderà tutte le aree della sua vita, da quella professionale, di cui riconoscerà le ambizioni taciute prima di tutto a se stesso e fallite, a quella delle relazioni, a quella familiare che costituiva per lui un fondamento senza possibilità di crisi alcuna, dentro regole di vita che sarebbero dovute bastare da sole a proteggerla.
Su questo, verso la fine del romanzo, Veronesi scrive le sue pagine migliori, quando il suo personaggio lascia la propria compostezza e si lascia andare ai sentimenti e a comportamenti che mai avrebbe in precedenza potuto conoscere come suoi.
Un tardivo, rispetto ai quarant’anni del protagonista, romanzo di formazione? Da questo punto di vista, è un romanzo che funziona e si fa leggere.