Bertolt Brecht, “Poesie politiche”, Einaudi 2015.
Ci sono argomenti, della quotidianità, che non possono andarsene; necessariamente, sono presenti almeno in un angolo non trascurabile della mente di ognuno: comunque la si pensi, il tormento è là.
Il tormento si chiama “gli Altri“, che si presentano non come concetto ma come corpi menti storie parole incontri, contrasti. Come domanda. E non se ne vogliono, non se ne possono andare. Ed è fatica immane il pensiero, il ricordo, di essere (stati) proprio noi quegli stessi altri, in altro tempo, altro spazio, altro dolore, altra vergogna, che si fatica a cacciare. Qualcuno si sforza di più; qualcuno troppo. Qualcuno, un poeta, insiste – la sua voce risuona nel tempo, dal passato, recente o meno – e non permettere che si dimentichi.
internopoesia.com ha proposto questa poesia di Bertolt Brecht, “Sulla denominazione di emigrante” (qui), che vorrei invitare a leggere – in un sito che, lo dico per chi non lo conosca, consente di iniziare ogni giornata con il viatico di una poesia. Non è poco.
Ogni storia di una propria patria e di un proprio tempo, ognuno dei modi che portano all’esilio, tutti diversi, ha la stessa matrice – è guerra il conflitto armato tra stati, è guerra la fame, sono guerra da cui fuggire le politiche di oppressione, è guerra il male individuale che porta ad andare.
Il modo dell’esilio che ha portato Bertolt Brecht a scrivere non è <altro> rispetto ai modi dell’oggi. Ed è il modo che, anche dentro l’accoglienza, spinge ognuno di noi a vedere alcuni altri come diversi, per la paura di vedere un sé che fa male.
Nel frattempo, in Italia è stata approvata, ancora solo alla Camera, una nuova legge sulla cittadinanza, la quale afferma (con le parole della giurisprudenza, in modo che vengano, se del caso, poco o diversamente comprese) che un popolo è formato dalle persone che vivono insieme in un territorio, dove lavorano e fanno famiglia, e stringono relazioni, e parlano tra loro la lingua dei propri figli, vale a dire del futuro, e scambiano aiuto, e progettano e realizzano; e dunque, per necessaria conseguenza, chiamano quel luogo, e la sua lingua: ‘casa’.
C’è ancora un pezzo di strada da fare, per tutti noi. E tornano bene le parole di Bertolt Brecht, poesia? racconto? dove c’è un altro – altro da lui, altro da questi che oggi arrivano, come arrivavano (arrivavamo) ieri e come sarà domani; le parole dove c’è un tale, un ‘lui’ che facilmente possiamo sentire come un ‘noi’ che, ancora facilmente, può diventare un ‘io’.
L’esame per ottenere la cittadinanza
A Los Angeles davanti al giudice che esamina
coloro
che vogliono diventare cittadini degli Stati Uniti
venne anche un oste italiano. Alla domanda:
cosa dice l’ottavo emendamento, rispose:
1492. Così venne mandato via. Ritornato
dopo tre mesi gli posero la domanda: chi
fu il generale che vinse nella guerra civile? La sua
risposta fu:
1492. (Con voce alta e cordiale). Mandato via di
nuovo
e ritornato una terza volta, rispose
ad una terza domanda ancora:1492. Orbene
il giudice, che aveva simpatia per l’uomo, si
informò
sul modo come viveva e venne a sapere: con un
duro lavoro. E allora
alla quarta seduta il giudice gli pose la domanda:
quando
fu scoperta l’America? e in base alla risposta
esatta,
1492, l’uomo ottenne la cittadinanza.
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