Da un po’ di tempo le mie letture sono, per lo più, riletture; non so il perché, a meno di banalizzare dicendo che non trovo libri che soddisfino il mio bisogno del momento. Anche di questo si tratta, in parte, ma soprattutto del fatto che, a tratti, si ha voglia di sicurezza, di potersi riposare con un libro che si conosce, che non si leggeva da molto tempo e che, dunque, ci darà sicuramente un piacere senza sorprese, con il vantaggio di poterlo leggere con nuovi occhi.
Così, sto leggendo, a pezzi, ora questo ora quello, “L’anello di Re Salomone” di Konrad Lorenz (per chi non lo avesse letto, una compagnia meravigliosa); poi, pezzi di “Armi acciaio e malattie” di Jared Diamond. E ieri ho acquistato un Jared Diamond non ancora letto, “Il mondo fino a ieri” sottotitolo “Cosa possiamo imparare dalle società tradizionali”. Anche se, da questo libro, mi aspetto un ripasso di cose già lette di questo scrittore, che tuttavia amo molto, rimanendo sempre disponibile a riascoltarlo.
Insieme, tanto per mancare totalmente di coerenza, mi sono ribevuta, del genere leggi e passa via, Millennium, la trilogia di Stieg Larsson, una storia che, al tempo, mi era piaciuta, con qualche riserva, limitata tuttavia a elementi che il genere richiede e giustifica. Meno scusabile da parte mia l’aver compiuto, a seguito, l’operazione sciocca di acquistare (Kindle) Millennium 4, il seguito, scritto ovviamente, essendo morto Larsson, da altro autore. Sapevo bene, era ovvio, che si trattava di una cavolata, ma, in qualche modo, ho deciso che dovevo vedere cosa avevano combinato gli eredi dell’autore. Una vergogna. La verità è che speravo, credo, non fosse veramente morto Larsson, pur tenendo conto del fatto che un seguito, anche scritto dall’autore, sarebbe stato quasi sicuramente scadente, e avrebbe fatto scadere complessivamente l’opera. Un po’ quello che succede ai gialli del Commissario Montalbano che, di volume in volume, diventano una brutta copia di se stessi, rovinando la serie – li acquisto comunque per il bisogno nevrotico di avere la serie completa (e la speranza, ci casco sempre, di ritrovare le storie che amavo). Oppure ciò che potrebbe succedere alla saga di Harry Potter quando arriverà il seguito – notizie discordanti in merito, mi pare, ma temo arriverà e, sicuramente, maledizione a me, lo acquisterò.
Detto questo, se qualcuno non ha ancora letto la Trilogia di Millennium (“Uomini che odiano le donne”, “La ragazza che giocava con il fuoco”, “La regina dei castelli di carta”) e ha voglia di farsi una maratona genere giallo, spy story, ma non proprio, con qualcosa d’altro, nel regno del non proprio verosimile ma anche sì, è una buona lettura.
In tutto questo disordine, l’abitudine, il bisogno direi, di cercare nuovi libri non mi lascia e così, nell’ultimo periodo, rovistando librerie, siti, rovistando anche tra i libri delle amiche, è capitata la fortuna di poter leggere, e a seguito procurarmi, due libri (più notizia di un terzo che ancora mi manca) molto particolari e decisamente interessanti.
Il primo è un piccolo romanzo, “Lettera di Bazel alla chiromante”, autore Gianni Guaita, editore All’insegna del pesce d’oro, MI 1971. Uno strano romanzo, in verità, racconta un periodo di vita e di crisi con complicazioni, forse, di geopolitica (?) fantasiosa, di uno scrittore, forse non grande quanto lui crede, certamente molto noto e spocchioso. Ottima scrittura. Interessante e fuori dagli schemi. Solo Scheiwiller poteva pubblicarlo.
Saltiamo al 2001; un’autobiografia, “Isola perduta”, Rizzoli 2001, firmata Gianni e Orietta Guaita, che racconta trent’anni di vita di coppia e di storia italiana, e siciliana, dal periodo fascista al primo dopoguerra, a due voci cui, nel prosieguo, si aggiungono le voci dei figli. Un libro che, corredato di foto, racconta, oltre che un pezzo, importante, di storia italiana, un grande amore, e qualcosa di più. Ambedue, volendo, si trovano ancora online.
A questo punto occorre parlare dell’autore che, a novembre di quest’anno compirà 100 anni e, segnala un articolo dell’ANSA, “a 100 anni usa app per imparare l’inglese” . Una sua intervista, che ce lo fa un po’ conoscere, è uscita sul blog di Babbel.
Non basta: è importante sapere chi sono, questi due anziani che, a 85 anni lui e 80 lei, hanno saputo regalarci una storia affascinante, e salvare attraverso la scrittura in comune, tra loro e con i figli, i loro anni insieme e un reportage da quegli stessi anni.
Gianni Guaita, classe 1915, è un figlio della borghesia, vissuto a Firenze dove ha frequentato l’Università, sposato con Orietta – un matrimonio durato 76 anni, la prima parte dei quali trascorsa in Sicilia, terra di cui si è innamorato. E’ seguito il trasferimento della coppia al nord, il lavoro come insegnanti per ambedue e il lavoro di scrittore per lui. Ha al suo attivo, oltre ai libri qui segnalati, una significativa produzione, in diversi campi.
La moglie, Orietta Guaita Alliata, figlia di Enrico duca di Salaparuta, è sorella della pittrice Topazia Maraini Alliata, moglie di Fosco Maraini, il grande etnologo e scrittore, e dunque zia di Dacia Maraini, che di Topazia e Fosco è la figlia.
Orietta è purtroppo venuta a mancare, ma la sorella, Topazia Alliata, classe 1913 ha dato alle stampe quest’anno – dunque all’età di 102 anni! – a firma sua e del marito, venuto a mancare nel 2004, “Love Holidays. Quaderni d’amore e di viaggi”, libro raccolta di diari, foto, documenti di due vite straordinarie e dello straordinario legame che li ha uniti per molti anni.
Imperdibile il video dell’intervista che la signora ha rilasciato, che trovate qui. Ora, non mi resta che procurarmi il libro in effetti un po’ costoso (Euro 44, 00 di copertina), come lo sono sempre i libri che riproducono foto e immagini. Dovrò decidere di farmi un regalo (e dunque porne il costo come extra rispetto al budget per i libri!).
Nel frattempo, sto leggendo “Una nave per Kobe. Diari giapponesi di mia madre”, Rizzoli 2003, di Dacia Maraini. Forse ne racconterò, qui, ancora non so.
Di questo libro viene detto, nella sinossi: “Ormai adulta, Dacia Maraini riceve in dono dal padre Fosco i quaderni ritrovati della madre Topazia Alliata: un diario scritto tra il 1938 e il 1941, che racconta il lungo viaggio in nave verso Kobe e i primi anni di permanenza della famiglia in Giappone. (…)” Un diario in cui Dacia può confrontarsi con sé bambina di pochi anni e con una fase importante, dai ricordi incerti, della sua vita.
“Una nave per Kobe“, peraltro, non riproduce se non brevi brani, a scandire il tempo, del diario da cui è tratto, ed ha la forma del racconto, nelle parole della figlia. Una figlia che, oggi, ha invece prefato con un suo scritto “Love holidays. Quaderni d’amore e di viaggi” che, con il ritrovamento e il riordino dei diari e delle foto seguito alla morte di Fosco Maraini, a cura di Mieko Namiki, sua seconda moglie, ha potuto essere composto e regalarci (è la mia attesa) la storia di una coppia straordinaria e di una donna straordinaria che ha saputo, in un tempo difficile, rompere gli schemi che legavano le donne, vivere straordinarie esperienze, realizzarsi nella sua arte e, cosa più importante, nella sua vita. Spero ne parleremo.
In chiusura: In corso di lettura c’è anche, di Maya Angelou, “Io so perché canta l’uccello in gabbia”, Superbeat (Neri Pozza) 2015. Autobiografico. E importante. Cercherò di raccontarne.