Buoni libri in attesa di lettura e una non-recensione

William Saroyan

Chiuse le festività, il nuovo anno è veramente iniziato. Faccio il bilancio di quanto di nuovo c’è sul mio tavolo, in attesa di lettura: un buon piccolo gruzzolo, tre libri in particolare che desidero leggere al punto da non saper decidere con quale iniziare.

William Saroyan, “La commedia umana”, Marcos y Marcos 2010

Thomas Pynchon, “L’incanto del lotto 49”, Einaudi 2005

Klaus Mann, “Mephisto”, Feltrinelli 2007

Ho iniziato a leggere “La commedia umana” che mi sta offrendo un’emozione fortissima. Da tempo non leggevo qualcosa di tanto bello, e nello stesso tempo tanto sofferente; una scrittura perfetta, dritta al cuore del lettore, facile e insostenibile come tutte le cose perfette. Sarà, deve essere, una lettura lenta: non voglio leggere questo libro la sera, a letto. Richiede un’attenzione assoluta, proprio per la sua immediatezza, facilità, e dove tuttavia non una sola parola può essere sprecata.

Nel contempo, non mi trattengo dallo sbirciare una pagina, poi altre due, degli altri libri; poi li chiudo: non devo rovinarne la lettura, questo comportamento porta a libri lasciati o mal letti.

Thomas Pynchon. Autore che so, credo, di aver letto in un tempo molto lontano – ricordate la tesi di Umberto Eco secondo la quale anche maneggiare, semplicemente, un libro, parlarne con altri, equivale ad averlo letto? Pynchon è un autore che, in ogni caso, è sparito dal mio ricordo attivo, che da tempo meditavo di recuperare (salvo che ci voleva il momento per tornare alla narrativa americana post-moderna, con cui non sempre lego, dove giacciono tuttavia alcuni tra i libri che sono stati il mio pane, in altri tempi).

Klaus Mann, soldato in Italia nel 1944 Fonte: Wikipedia

Fuori contesto, Klaus Mann: un regalo, un libro che attendo di leggere con desiderio. Dovrò tuttavia impormi di leggere con ordine, pena il rischio di rovinare letture importanti (per me, in questo momento, oltre che di per sé).

Può essere che sia qualcosa di inevitabile, fatto sta che, nell’ultimo periodo, nel pieno delle festività e delle incombenze che portano con sé, le mie letture sono state, sicuramente, anche molto disordinate. Ho mescolato a letture che hanno richiesto impegno, una buona leggerezza: la trilogia di Elice Basso, è stata una piacevole scoperta (qui), che ho riletto integralmente, godendomi in particolare, come sempre mi accade, la seconda lettura che mi ha portato ad apprezzarne ancor più la qualità – soprattutto di linguaggio, turpiloquio compreso (quello che a tutti scappa, un po’, ma in questo caso, con quel po’ di più che ci sta con il personaggio, con il contesto, e che risulta liberatorio).

Ho mescolato anche letture un po’ al volo – tempo di pranzi importanti, abbuffate di qualità ma anche golosità balorde, di disordini alimentari del genere zampone, torrone e caramelle gommose alla liquirizia, quel po’ di ingordigia che non so se veramente ci voglia – avrà pure i suoi perché – ma risulterà inevitabile. Nel contesto, il cibo per la mente non ha fatto eccezione.

Tralasciando gialli già letti e dimenticati, un po’ di Ellery Quinn qui, un po’ di Agatha Christie là (sempre comunque apprezzabili), persino un Edgar Wallace, autore che non mi è mai piaciuto (come Conan Doyle, peraltro, non dopo aver superato i sedici anni) mi sono decisa a leggere un giallo che da qualche anno ormai vedevo riproposto: libro di successo, molto venduto e apprezzato e che tuttavia, senza un perché, non mi attirava; ma mi incuriosiva.

Joel Diker, “La verità sul caso Harry Quebert”, Bompiani, 2013.

Molto corposo: 779 pagine; e qui sta forse, almeno in parte, il motivo della mia diffidenza: troppe, per un giallo.

La storia: Un giovane autore statunitense, Marcus Goldman, il cui primo romanzo ha avuto un grande successo, è in crisi e non riesce neppure a iniziare un nuovo libro mentre il suo editore, con cui si è impegnato contrattualmente per un nuovo romanzo, preme e minaccia. Si confida con il vecchio grande scrittore, gloria nazionale, Harry Quebert, suo amico e suo professore all’università, che lo invita nella propria casa, in un piccolo paese, dove potrà scrivere in pace.

Nel periodo in cui è ospite di Harry Quebert, Marcus scopre che il vecchio maestro, trent’anni prima, aveva avuto una grande storia d’amore con una quindicenne del luogo che, un brutto giorno, era scomparsa e di lei non si era saputo più nulla.

Esplode il caso: nel giardino della casa di Quebert verrà scoperto il cadavere della ragazza e il vecchio scrittore sarà incarcerato per omicidio, mentre l’opinione pubblica si scatena per la rivelazione di un amore scandaloso.

Marcus Goldman, non curandosi di venir implicato e mal giudicato, indaga. La verità emergerà.

Un buon giallo. Ben costruito. Scritto con tecnica indubbia, tensione narrativa ben gestita, che non cade mai nonostante la lunghezza del libro; un numero di personaggi adeguato che permette, come deve avvenire in ogni buon giallo, di esercitarsi a capire chi possa essere l’assassino; ambientazione e personaggi di contorno ben risolti. Soluzione d’effetto, ben costruita. Eppure.

Troppo lungo, 779 pagine non vanno bene per un poliziesco di tipo classico (premessa, fatto di sangue, investigazione, soluzione).

Una storiella d’amore francamente banale, dove il tema della differenza d’età – meglio: dell’età adulta di lui a fronte di una giovane adolescenza di lei – non è trattato se non nei termini impropri di un romanzetto rosa, con passione disperata improbabile.

Un’ambientazione ben condotta per quanto riguarda il paesino degli U.S.A.  in cui i fatti si svolgono, ma con inserzioni di contesto più ampie che ci stanno come i cavoli a merenda – è il 2008, tempo di campagna elettorale e del confronto Hillary Clinton – Barack Obama, schieramento del protagonista a favore del Partito Democratico. Uno sforzo di ambientazione “americana”, e di “colorazione positiva” del protagonista (dalla personalità un po’ fragile e incerta) un po’ ingenuo da parte del giovane autore svizzero, leggermente costruito su luoghi comuni.

Una mamma del protagonista, che talvolta compare, all’interno di brevi cammei, manco a dirlo, ebrea, che travalica tutti ma proprio tutti gli stereotipi previsti fino all’assurdo. Dovrebbe ma non fa ridere, risultando comunque, come l’adesione al Partito Democratico, appiccicata alla storia senza un perché.

Un quadro dell’editoria americana che potrebbe essere accettabile unicamente se contenesse una denuncia ma non è così.

Domanda: ma perché l’ha ambientato nella provincia americana? Un cadavere sepolto in giardino ci poteva stare anche in un altrettanto inventato paesino svizzero.

Un personaggio, anzi due, protagonista e coprotagonista, che più banali, più eticamente confusi, non si può: mi risulta francamente difficile empatizzare con un tale che desidera essere uno scrittore solo per essere famoso; con un tale che, avendo scelto di essere uno scrittore, è praticamente travolto unicamente dal desiderio di primeggiare.

Dicevo tuttavia che il libro è ben costruito, la tensione, di pagina in pagina, si mantiene: e infatti, con un po’ di noia e qualche sbuffo, me lo sono letto tutto.

Diciamo così: se mentre stavo leggendo questo libro avessi, che so, perduto il libro in autobus o al parco, sicuramente non l’avrei riacquistato per sapere come finiva la storia. Sarei sopravvissuta al lutto senza difficoltà alcuna.

Avviene: un libro è addirittura brutto, magari pure scritto male e tuttavia, qua e là, una frase, un concetto, anche al di fuori del contesto, risultano interessanti, si legano a te. Scatta la sottolineatura (nel mio caso: sono una rovina-libri, pur se con cura, matita leggera, cancellabile). In questo libro, scritto formalmente bene, niente che abbia meritato, da parte mia, di essere recuperato, ricordato.

E tuttavia, indiscutibilmente, è un buon giallo.  E mi pongo una domanda.

Se “questa è una libreria”, quella dei miei desideri, volendo mantenere il gioco che amo e che ha dato vita a questo spazio, è di ogni evidenza come non ci possa stare un giudizio negativo su di un libro: ne dovrebbe derivare che, di questo libro, io non parli e che non appaia all’interno dei miei scaffali.

Tuttavia: come ho anche detto, è sicuramente un buon prodotto, e parte delle mie riserve appartengono alla categoria del gusto personale.

Mi chiedo se leggerò, prima o poi, qualcos’altro di questo giovane autore. Non lo escludo. Mi resta, da questa lettura, una qualche curiosità per uno scrittore che, certamente, sa confezionare un prodotto di buona qualità formale. Mi ha fatto incontrare una storia e dei personaggi che non hanno lasciato, in me, un particolare piacere di averli conosciuti? Si tratta in ogni caso di un libro che è stato apprezzato, meritatamente, da un pubblico vastissimo.

Avrà dunque il suo posto negli scaffali.