Noi, il Libro e altri Vizi. Chiacchiere in libertà a spese di un problema reale

Dubito che questo pezzo abbia un senso, ma mi va di condividerlo. Suggerito da una conversazione privata, uno scambio sul tema della dipendenza, nella fattispecie dal fumo, e sull’opportunità di abbandonarla, ha dato luogo a un mio, privatissimo, momento di gioco a ritrovare, in letteratura, momenti di sostegno alla mortifera e piacevole pessima abitudine. Pezzetti d’autore che desidero condividere, in allegria, pure se il tema, poi, passando a parlare di libri, non ha alcunché di piacevole.

Alcuni giorni fa, nel corso di una conversazione – sul piacere del fumo, sull’utilità di abbandonarlo – qualcuno ha chiamato in causa “La coscienza di Zeno” – con riferimento alla famosa “u.s. – ultima sigaretta” – che il protagonista, paziente riottoso dello psicanalista Dottor S, ripetutamente fuma.

E mentre ricordavo, a mia volta, la battutaccia di Mark Twain per il quale “Smettere di fumare è facilissimo; io l’ho fatto centinaia di volte”, il mio pensiero (tenuto, sul momento, per me) è corso a un brano di “La montagna incantata”.

«” Non capisco davvero” asserì Carstop, “come si possa non fumare…ci si rimette, dirò così, la parte migliore della vita e in ogni caso un piacere squisito. Quando mi sveglio, sono lieto all’idea che durante il giorno potrò fumare, e quando mangio, di nuovo me la godo, anzi posso dire che mangio soltanto per poter fumare, anche se dicendo così esagero naturalmente un pochino. Ma un giorno senza tabacco sarebbe per me il colmo dell’insulsaggine, una giornata del tutto vuota e senza attrattive, e se la mattina dovessi prevedere: oggi non avrò niente da fumare…credo che non avrei neanche il coraggio di alzarmi, in verità, rimarrei a letto. Vedi: se hai un buon sigaro – s’intende che non deve sfiatare o tirar male, che è molto spiacevole – se hai un buon sigaro, dico, ti senti al sicuro, non ti può capitare nessun malanno. È come star coricati in riva al mare, stai appunto coricato sulla sabbia, e non ti occorre nient’altro, né lavoro né divertimento…Grazie a Dio, in tutto il mondo si fuma (…)”».

È seguito, sempre nel mio ricordo, un divertente pezzo di Mark Twain (su fumo e altri vizi), che potrebbe indure un fumatore a interrompere la sua dipendenza unicamente per la gioia di poterla riprendere, a distanza di pochi giorni.

In “Seguendo l’equatore” Twain ci fa sapere di aver trovato un buon modo per mantenersi in salute senza rinunciare ad un pacchetto di buoni solidi vizi: il fumo, l’alcool, nonché, temo, il piacere di bestemmiare (sic!). Egli aveva scoperto che, astenendosi per alcuni giorni (pochissimi!) da ogni vizio e da ogni stato di agitazione, aggiungendovi il digiuno e il riposo assoluti, poteva riprendere le sue amatissime pessime abitudini con tutto il piacere aggiuntivo della salute ritrovata.

A dimostrazione dell’efficacia del suo sistema di cura, Twain ci racconta la triste storia di una signora afflitta da una debolezza estrema che nessun farmaco riusciva a fronteggiare, e che egli aveva alquanto rincuorato assicurandole che, se avesse seguito le sue indicazioni, sarebbe perfettamente guarita.

“(…) le dissi di smettere di bestemmiare e di bere, di fumare e mangiare, per quattro giorni, e sarebbe guarita.

Ma purtroppo, il diavolo ci mise la coda:

“(…) così sarebbero andate le cose, lo so; senonché ella mi disse che non poteva smettere di bestemmiare, e di fumare e di bere, perché non aveva mai fatto nulla di tutto ciò. Ecco. Aveva trascurato i suoi vizi e non ne aveva nessuno. Ora che le sarebbero tornati utili, aveva esaurito le scorte. Non aveva nulla a cui attaccarsi. Era una nave che colava a picco senza che vi fosse alcun carico da gettare fuori bordo per alleggerirla. Diamine, sarebbero bastati un paio di viziucci a salvarla; ma era moralmente indigente”.

Il sorriso ci sta tutto. Ma il tema è serio, e per nulla divertente: la Dipendenza.

Dov’è che l’interdipendenza – lo scambio utile – diventa dipendenza – un rapporto mortifero di sudditanza?

Costantemente sul limite, noi inter-dipendiamo: da abitudini, ma soprattutto dagli altri, da coloro che hanno reso possibile la nostra vita, da coloro con i quali l’abbiamo, nel tempo, condivisa, da quelli che ci sono vicini; da coloro che la rendono ciò che è – tipo il governo del momento, di ogni momento: e come evitare che, ancora una volta, come per il tema-fumo, balzi alla nostra mente ciò che un libro ha impresso in tutti noi, anche in coloro che non lo hanno mai letto: “Tutti i maiali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri.

Il confine con la dipendenza, vincolante – dalle nostre abitudini, da rituali, da cose; da relazioni malsane, in generale – è, ad ogni momento, oltrepassato?

Un tema interessante. La dipendenza: una vale l’altra? E quanto ai danni che, si direbbe, ogni dipendenza, causa, ebbene, si ritiene che non possiedano tutte lo stesso peso; si conciona su quale sia accettabile e quale non lo sia, sui danni che l’una o l’altra causano. Si distinguono le dipendenze in base al loro grado di dannosità per l’individuo e/o per la società. Alcune dipendenze decadono, divenendo culturalmente obsolete; altre, o altre forme, subentrano. Alcune non vengono rilevate, altre sono culturalmente prescritte. Ambiti diversi: fumare, bere alcolici, giocare d’azzardo; ma anche coltivare un’igiene ossessiva, una cura abnorme del proprio corpo; dipendere da altri in forma parassitaria o, all’inverso, esigere dipendenza da chi vive con noi.

E leggere. E no, non si tratta di una forzatura. Anche leggere, ossessivamente, è un modo di dipendere: per necessità di fuggire qualcosa, di evitare l’ansia; per una necessità (pseudo)difensiva di frapporre un medium tra noi e l’altro.

Quando questo avviene, la nostra libertà di scelta svanisce; viene coartata; e ci si trova in balia di qualcosa che impegna il bisogno in luogo del piacere: e un libro (libercolo) vale l’altro. È la differenza che passa tra il piacere del buongustaio e il bisogno del bulimico, tra cibarsi e ingurgitare – cibo per il corpo cibo per la mente.

Capita anche con i libri: quando il bisogno incontra la moneta cattiva, questa scaccerà quella buona. Come diceva il nostro buon Carstop, lassù, a Davos, parlando del suo sigaro?

 “S’intende che non deve sfiatare o tirar male, che è molto spiacevole”

È un buongustaio, non un bulimico. Il suo è ancora un piacere, non una dipendenza.

Oggi, non possiamo considerare la lettura, di per sé, così come l’avremmo considerata solo alcuni decenni fa. Siamo in presenza di un mercato editoriale (mondiale) che produce libri-merce; una fattispecie a sé di libro: per cui un instant book, o un romanzetto di infima qualità, per non dir altro, verranno editati, tradotti in decine di lingue e venduti a masse di “lettori” nel mondo.

Siamo invasi da merci editoriali che non dovrebbero chiamarsi libri. E chi le pubblica non dovrebbe chiamarsi editore. Non li dovrebbero vendere le librerie. Così come il ristorante stellato mai venderebbe il panino del McDonald. Che ha le sue ragioni per essere venduto, ma è altra cosa dal pasto di un ristorante.

Ci sono i tanti perché del leggere. Non lo stesso per ognuno, nello stesso momento; non gli stessi per tutti.

Si suole ritenere che i diversi motivi che conducono alla lettura, i diversi usi del libro che ognuno fa in un certo momento siano, in ogni modo, sempre usi buoni, utili. Persino coloro che non leggono mascherano, nei limiti del possibile, la propria non frequentazione motivandola con una scusante – sempre la stessa, di massima: purtroppo, non ho tempo per leggere. Tra l’altro: pur non potendo essere vera in assoluto, la mancanza di tempo da trascorrere in compagnia di se stessi, come il libro richiede, in molti casi è pure un fatto reale. Viviamo in una società affaccendata, che mitizza un bisogno ansioso di produrre cose, fatti, relazioni. Che produce fattispecie varie di dipendenza, per l’appunto.

Per questa via, tra i non lettori e i (pochi) lettori si sta formando una estesa classe di consumatori bulimici di <oggetti a stampa> a forma di libro: che vengono chiamati “libri”.

Finirà per valere, anche per il libro, la negatività che ogni dipendenza porta con sé.

Oggi in Italia si legge poco? Peggio: si leggono troppi <non-libri> da ingurgitare velocemente allo scopo di occupare un tempo residuale. Parallelamente, si lascia cadere l’abitudine alla scrittura; e addirittura il dialogare assume sempre più la forma del post segnato dall’anonimato sui vari social, in sostituzione della relazione interpersonale; nel dialogo, nel piacere del confronto – anche online, certo – di un proprio pensiero con il pensiero altrui.

La dipendenza parassitaria uccide l’interdipendenza vitale: ma sono sorelle siamesi, impossibilitate a definire, e rispettare, il confine che le separa.

In realtà, non lo so. Qualcuno direbbe che cerco scuse, svio il discorso, per poter continuare a fumare in pace. Sono un’esperta di alibi e chiacchiere.

Ma il tema, anche se non lo so porre nel giusto modo, è reale.