Se Dio vuole, arriverà il 9 marzo. Anche per quest’anno, sarà chiusa la faccenda. Senza che sia chiuso il problema, ma almeno non sarò nella solita difficoltà: questa mattina non sapevo, al solito, come fare: se arrivavo a casa con il mazzolino di mimose se la sarebbe presa, se non lo facevo, si sarebbe arrabbiata, mi avrebbe detto puoi pure non venire al corteo, tanto non è un problema tuo.
Ho preso una rosa e una scatola di cioccolatini. Sembra l’abbia presa meglio. Se capisco bene, per lei è come se, porgendo un mazzolino di mimose, chiedessi scusa senza prendere alcun impegno, senza farmi carico del problema.
Perché poi! Di cosa dovrei domandare scusa, io a lei. Perché mai!
Non sono uno di quelli, io. Mi avrebbe buttato fuori casa da un pezzo. Neppure ci saremmo presi, tra noi due, è certo! Voglio dire, neppure io avrei voluto una compagna che…perché diciamocelo, certe donne se li vanno proprio a cercare, certi uomini. Oddio, devo far attenzione, se lo dico a voce alta la pago cara.
C’è, però, quest’idea, in tante teste: di uomini e, maledizione, anche di donne. Che lei ti debba amare comunque, di doverlo amare comunque, che in cambio lui la protegga, da cosa non si sa. Che lei lo debba proteggere. Migliorare? Rieducare?
Che lei debba, possa, godere, dei vantaggi dell’essere protetta – libera da pensieri e responsabilità? – una bambina, coccolata e viziata: se fa la brava, naturalmente. Che poi, anche con i bambini, col cavolo che vengono premiati se fanno i bravi. Lo DEVONO fare. Punto e fine, altrimenti ti vengono fuori questi di oggi, e non parliamo dei loro genitori. Calci in culo, servirebbero! Tanti!
Cosa c’entra? Niente, si fa per dire.
Va a sapere.,se avessi sposato una così, di quelle che ti amano e si aggrappano a te. Dico io, eh. Non a voce alta, chiaro. Quella mi farebbe nero. E pure io, per la verità, l’avrei già ammazzata.
Oh Dio, che vado a pensare!
Sì, e poi cosa racconterei ai figli; a nostro figlio, che sta diventando grande e anche lui, con la madre, non se la passa facile. No, voglio dire, va bene così, ma anche per lui, con i suoi compagni, e con la madre agitata che si ritrova, che la conoscono tutti, la mamma femminista-capa del movimento (ha ragione, eh! Beninteso!) le cose non sono tanto facili. Il bullismo a scuola, le arie che tirano. Tutto difficile.
E a nostra figlia, che grande lo è già, si sa, le ragazze maturano prima, chi lo direbbe che quei due sono gemelli, e con la madre è tutto un non capirsi. Marciano insieme, gridano come pazze e poi liti a gogo perché alla madre non piace tutta, come la chiama?, sì, tutta la libertà che si prende, e i posti che frequenta e il fatto che non si sa mai se abbia un moroso o no e quale sia, e la madre si preoccupa, dice che è ancora troppo piccola.
No, è che non so cosa dire. Ha ragione. Tutto vero, per le donne è difficile, lo so, e lei sa bene che lo so e che sono dalla sua parte; anche con i ragazzi, anche quando si contraddice, quando ci contraddiciamo, è quell’età, sono grandi e sono piccoli. Ma non è che ci possa fare qualcosa, io, dico. Dovremmo parlarne, volta per volta, e non ci si riesce, finisce in rissa.
Alle manifestazioni ci andiamo insieme. Certo, non mi va, lo ammetto, di affiancarla proprio proprio in testa al corteo; non ci sto a gridare, come fa lei, a urlare slogan che poi, non dico niente ma, in effetti, non che io li trovi tutti opportuni, e neppure del tutto condivisibili.
Si marcia, ecco, e quando si marcia qualche eccesso, da parte loro, ci può stare, che secondo me anche lei non è proprio che sia del tutto d’accordo; non saprei, magari invece sì.
Mi attardo, mi aggrego a qualche altro uomo, si chiacchiera, lavoro, politica, e quando se no; è anche un’occasione per incontrarsi, anche bella eh! Serve a non sentirsi imbarazzati, a sentirsi bravi, anche perché, a dirla tutta, quel po’ di imbarazzo c’è, inutile nasconderselo. Ognuno guarda la moglie dell’altro, pensa all’ultima volta che si sono visti, a quella cena, a casa di Piero, e mogli tutte in tiro, beh, in certe occasioni, ci sta. Ci vuole. Mi ha fatto mettere la cravatta, sa che non la sopporto.
Lei, invece, con le sue amiche ora sta lì, alla testa al corteo, e va bene. Malconce e straccione.
Ho forse mai obiettato? No, anzi: lo dico sempre, è proprio una brava! Ma davvero brava!
Immagino non abbia potuto evitare di alzare proprio quel cartello. Ma che immagino! L’ha preparato lei. In questi giorni, a casa, c’era la confusione massima, colla, aste, bandiere, di tutto, di ogni!
Oggi, naturalmente, c’è anche lui, mio figlio, il piccolo. E come avrebbe potuto non esserci. Con la morosa, certo, anche lei in prima fila.
Un’altra generazione. Lui può, non deve andare al lavoro lui, domani. Ritrovare i colleghi, quelli che le moglie stanno a casa.
Più bravo di me, giusto. Così dev’essere: i figli migliori dei padri. Va bene, no?
Ma te lo saresti mai immaginato? In corteo, stretto tra la mamma e l’aspirante suocera! Amiche! Si è mai visto!
Amiche, poi; va bene, quando occorre, ci sta. Ci vogliamo credere?
E lei? Crede forse che non costi, a me, il fatto di avere una moglie che urla in testa ai cortei? Con cartelli che a volte, vero, tutto vero, ma i sorrisini dei colleghi, domani, quando esce la foto sul giornale, me li prendo io. E ancora io so la fatica per mantenere la mia posizione sul lavoro; per essere considerato affidabile perché poi, se dovessimo reggere con il suo stipendio, se non ci fosse la mia “carriera”, come la chiama lei quando vuole attaccarmi, vorrei vederla, con quel che costano i ragazzi.
Che poi, al lavoro c’è pure quell’altra, la collega, con cui fare i conti. Brava, è vero. Un caratterino che te lo raccomando ma brava, siamo giusti.
È stato un miracolo se ho avuto io, e non lei, la promozione. Miracolo: beh, no, non proprio; il fatto è che, tra uomini, e poi qualcuno ha fatto circolare una chiacchiera, no, niente di male, solo che, forse, dicevano che desiderava avere un altro figlio, e allora, no, va tutto bene ma quando arriva un figlio una donna…in posizione direttiva, dove non c’è orario…si sa come vanno poi le cose.
Ecco là. Il grande cartello. L’elenco delle donne uccise.
Nomi. Nomi. Nomi.
Vite. Famiglie. Bambini.
Dolore. Tanto. Troppo. Insostenibile. Dolore per tutta la vita.
Ma che ci stavano a fare con quei mostri?
Avevano denunciato. Non è servito.
Mostri. Davvero. Tanti. Come possono essere così tanti. Oddio! Finisce che è normale.
Sono tanti. Gente che si incontra. Vicini di casa tua. Potrei essere io; o il mio amico. Ogni volta così; si sapeva, nessuno sapeva, si sapeva ma non si pensava. Si sapeva e non si è potuto far nulla.
Uomini che uccidono le mogli, le compagne; padri a cui altri padri uccidono le figlie. Bambini a cui il papà uccide la mamma.
Poi dicono la mafia. Angeli, al confronto.
Razzismo. Oddio, antisemitismo, negazionismo. Tutto quell’orrore.
Ma non c’è gara. Cose che suscitano sdegno, quello vero. Ma questo: diventa, è, normale. Ed è ovunque, il peggio del peggio.
Normale. Qui? Nella nostra società?
È che non so spiegarmi, mi fa sentire in colpa, mi sento in colpa e non so come dire, io a lei, che il problema è mio, è diverso e uguale, ma è anche mio, voglio dire, capisco che prima di tutto è suo ma è mio. E non so da dove prenderlo.
Che faccio, me la prendo “con la società”? Me la prendo con i miei capi, sul lavoro, che hanno promosso me e non quell’altra? Ha fatto comodo anche a mia moglie, no? Lei, se la sogna la promozione, e i conti di casa sono duri e i ragazzi costano.
Mi sento in colpa e non capisco perché. Non è colpa mia se la donna è lei.
Lei crede che sia bello sentirsi trattato da, da cosa? Da, non lo so da cosa, da potenziali violentatori, da prevaricatori, da infami e comunque da quello che bello comodo lui!
No, è che i figli, lei ci ha rimesso il lavoro, certo; la “carriera”, e non è poco, è ingiusto, è umiliante; ma io ci ho rimesso i figli, vogliamo dirlo? I MIEI FIGLI! la loro infanzia, i giochi e le coccole, e quel tempo che non tornerà più. E CI HO RIMESSO BUONA PARTE DELLA MIA VITA CON LEI, CON LORO.
E fa male. E oltretutto devo tacere, far la parte di quello che ci guadagna. Perché?
E quando, la sera, ritorno a casa e, per la strada, non c’è nessuno: eccola, una donna mi viene incontro. Sento il ticchettio dei passi che si affrettano e so che ha paura; di me. E so che ha ragione; a mia figlia direi sta attenta, se incontri un uomo la sera, e per la strada non c’è nessuno.
Cambio marciapiede, passo dall’altra parte per farla sentire tranquilla e no, non è giusto, io sono una brava persona. Vorrei dirglielo. Non posso.
Ha IL DOVERE DI ALLARMARSI. Tanto più se provassi a rivolgerle la parola.
Ma in che mondo viviamo. Dove neppure posso dire “Tranquilla, signora, ha ragione di essere in allarme. Posso accompagnarla?.
Che schifo. Perché dovrei accompagnarla? Ha diritto ad andare per i fatti suoi, non ad essere accompagnata. Dal mostro. Perché sono proprio quelli, i mostri. Quelli che offrono protezione, come i mafiosi.
No, non può continuare così. Fa troppo male.
Anche mio figlio sarà padre, spero, un giorno. Ha diritto ad avere il congedo, obbligatorio, di paternità. E che siamo? Un paese di ragazze madri?
Ma che uomini siamo? Quelli che portano le mimose e capiscono, e il problema non è loro ma sostengono le donne in lotta, e pure a disagio?
Il problema è nostro! E forse – non è un diritto, no, non ce lo siamo guadagnato – ma ci scommetterei che loro, le donne, ci aiuterebbero se una buona volta volessimo lottare: per noi, non per loro. Ci aiuterebbero.
Per poter vivere bene con una donna. Senza farle male.
Per essere padri.
Per poter crescere i nostri figli.
È un nostro diritto. E un dovere irrinunciabile.
Devo essermi distratto. Sono finito in testa al corteo. A fianco della mia pazza moglie.
Pesa, quel cartello. Te lo tengo io? Sono anche più alto. Se lo alzo io si vede meglio.
Anche la mia voce che urla è più sonora della tua.
Ci sono anche un paio di libri, piccoli, brevi. Vecchi libri, perché non è da oggi che, se lo si vuole sapere, si sa tutto:
John Stuart Mill, “Sulla servitù delle donne”, BUR 2011; e perché no, tanto per cambiare, ci può stare anche Ètienne De La Boétie, “Discorso sulla servitù volontaria”, ed. chiarelettere 2015 – magari ne parleremo.