Tenterò di chiudere in un’atmosfera vacanziera questo agosto in cui avrei dovuto astenermi totalmente dalla scrittura su queste pagine. Vero è che non ne avevo preso impegno formale, nessuna sanzione prevista, ma a questo punto, avendo già in parte derogato, mi par giusto chiudere il mese con una chiacchierata di alleggerimento: diciamo con qualche libro da divano, meglio ancora da nanna dato che, per quanto mi riguarda, il lettino da spiaggia e l’ombrellone non sono mai stati luoghi elettivi per la lettura. Sotto l’ombrellone (che peraltro frequento poco) opto piuttosto per il giornale, la rivista; sempre ottima la Settimana Enigmistica.
In questo mese ho tuttavia “vacanzato” anche con la lettura – lo so che il verbo non è previsto dal vocabolario, ma dovrebbe. Vacanzare corrisponderà ad un preciso ed inequivoco modo di fare cose senza far nulla, in modo utile per se stessi e senza la fatica che le feste e le attività ludiche sociali portano con sé. Con qualche sforzo, ci sta anche etimologicamente.
Ho vacanzato, dicevo, anche interrompendo, nel corso del giorno, la lettura di libri “esigenti”, con una scelta ponderata di polizieschi d’antan per i momenti cardine della giornata; per quei momenti in cui è d’obbligo fare il vuoto dentro e intorno a sé; per il tempo del riposo postprandiale sul divano (quasi due buone orette: un giallo) e l’andata a letto (lettura preferibilmente breve, buona ma leggermente noiosa e disimpegnata, essendo auspicabile l’addormentarsi).
Per questa bisogna sono perfetti i gialli classici non proprio di prima fascia: ed ecco spuntare dalla ricerca una vecchia conoscenza, ampiamente carica di ragnatele; un usato-sicuro, capace di intrattenere e insieme favorire l’addormentarsi.
Ricordate il buon vecchio Earl Derr Biggers? No? Il suo nome viene facilmente (e ingiustamente) dimenticato, mentre gode di qualche ricordo il suo personaggio, il sergente, in seguito promosso ispettore, Charlie Chan della Polizia di Honolulu.
Earl Derr Biggers non mantiene la fama e la presenza in libreria di altri autori e dei loro personaggi – di uno Sherlock Holmes, di un Hercule Poirot o di una Miss Marple – ma il suo angolino, a cent’anni dal suo esordio, lo occupa ancora. A parte i vecchi consunti Gialli Mondadori che ogni vecchia libreria casalinga più o meno possiede, ma che vanno estinguendosi, va dato merito all’editore Polillo di averne recuperato a una bella edizione almeno tre su sei, restituendo a Biggers e al suo personaggio un dignitoso riconoscimento editoriale nellCollana “I Bassotti – piccola biblioteca del giallo da salvare”: copertina rossa, un simpatico logo e il formato perfetto per la mano del lettore. In questa epoca di e-book (che ringrazio di esistere, gli occhi anziani gradiscono per non parlare di altri vantaggi marginali: spazio, costi, trasportabilità), più che mai la “confezione” di un libro è, infatti, parte rilevante del contratto con il lettore. E questa piccola casa editrice occupa, senza clamore ma efficacemente, un suo posto specializzato nel poliziesco d’epoca, cui restituisce, e forse ce n’era bisogno, una giusta meritata dignità.
Dovrebbe prodursi nel salvataggio, in termini di dignità editoriale, anche dei “classici scaduti” di sir Arthur Conan Doyle, autore fagocitato dal suo personaggio, mantenuto in vita, da quando, nel 2000, sono cessati i diritti d’autore, da innumerevoli apocrifi. Pure se, va detto, nel caso di Sherlock Holmes gli apocrifi hanno preso piede fin dal 1954 ad opera del figlio dell’autore, Adrian Conan Doyle, in combutta con l’americano John Dickson Carr (praticamente un insulto alla Corona).
Dickson Carr (1906 – 1977) è stato un autore molto prolifico ma, quantomeno per l’Italia, dovrà forse anche all’editore Polillo una propria permanenza, con quella dei suoi personaggi (sir Henry Merrivale, dottor Gideon Fell) nel piccolo paradiso, se c’è, del poliziesco.
Tornando a Earl Carr Biggers (1884 – 1933), è anch’egli un appartenente a quella che viene chiamata “l’età d’oro del giallo”, vale a dire gli anni tra i due grandi conflitti mondiali del ‘900, che vede fin da subito sorgere una divaricazione tra il poliziesco vero e proprio di scuola britannica che, sulla scia di Conan Doyle (e prima ancora di Edgar Allan Poe) fonda gli intrecci sull’indagine così detta deduttiva (cosiddetta, va sottolineato) e il noir di scuola americana, capiscuola Raymond Chandler (1888-1959, con il suo personaggio, l’investigatore Philip Marlowe) e Dashiell Hammett (1894-1961, considerato l’inventore del filone hard boiled con il suo investigatore Sam Spade).
A suo modo, Biggers è tuttavia un autore anomalo nel contesto statunitense, e Charlie Chan, il suo personaggio, un cinese naturalizzato americano della polizia di Honolulu – le cui apparizioni sono solamente sei, causa la morte prematura del suo autore – si colloca in un unicum interessante. Non a caso, nelle sue investigazioni, si troverà a collaborare anche con Scotland Yard.
Nei polizieschi di scuola inglese le trame prevedono di regola il caso di morte violenta, e la conseguente ricerca del colpevole, quasi sempre in contesti d’élite; spesso negli ambienti dei villaggi e delle ville di campagna della piccola nobiltà inglese (Christie, ma non solo), da concludersi d’obbligo vittoriosamente da parte dell’investigatore, che per lo più, se non vi apparterrà formalmente, agirà in perfetta collaborazione con la polizia.
L’investigatore statunitense è invece, per lo più, un “privato”, che si muove negli ambienti marginali della società, al confine con sottoculture delinquenti, in contesto urbano.
Fanno eccezioni e, con Biggers costituiscono quasi dei trait d’union tra il modello inglese e quello U.S.A. i più noti S.S. Van Dine (pseudonimo di Willard Huntington Wright, 1887 – 1939), con il personaggio del newyorchese Philo Vance, ricco intellettuale, studioso misogino che opera avendo al fianco, come segretario e collaboratore l’autore stesso, nella veste di narratore; Rex Stout (1886-1975) papà di Nero Wolfe e di Archie Goodwin; e per finire il più giovane duo Frederic Dannay (1905-1982]) e Manfred B. Lee (1905-1971) che, sotto lo pseudonimo di Ellery Queen fanno vivere il personaggio omonimo, scrittore di professione, investigatore per passione e per contagio paterno, essendo figlio di Richard Queen, capo della squadra omicidi di New York.
Biggers viene certamente buon ultimo, tra questi “grandi”, anche per l’esiguo numero di romanzi – sei in tutto – che la sua breve vita ha potuto regalarci, mentre i suoi colleghi hanno sfornato storie a spron battuto e i loro personaggi sono sopravvissuti ai padri, in varie forme, in film o serie televisivi, nonché attraverso romanzi apocrifi (Sherlock Holmes fa scuola, e su, fino a Robert Goldsborough che ha proseguito la serie di storie con Nero Wolfe dopo la morte dell’autore, venendo anche premiato per il suo lavoro), mentre il povero, discreto Charlie Chan, con i suoi undici figli (il numero salirà di romanzo in romanzo) che pure aveva avuto grande successo, anche cinematografico, in patria, non ha oggi la visibilità che, nel suo piccolo, merita.
Me lo sono goduto, dal divano, o a palpebra semichiusa come buonanotte, trovando per lo più piacevole sia la sua Honolulu, sia le storie in cui, in trasferta negli U.S.A, nel deserto o nella grande metropoli (S. Francisco? Los Angeles? Francamente mi sfugge) ci restituisce uno sguardo critico finto-esterno, peraltro benevolo, sulla vita occidentale veduta da un cinese-americano (le Hawaii sono uno stato U.S.A., ma vero è che i cittadini statunitensi continentali, almeno le classi di età antecedenti il presidente Obama, sembra tendano a scordarsene.
“Pensavo, Charlie… che ora mi pare di capire perché nel deserto provo un senso di disagio. È perché mi sento dannatamente piccolo. Guardo me e poi fuori dalla finestra e mi dica come faccio a darmi delle arie.”
“Non è una brutta sensazione da provare da parte di un uomo bianco – lo rassicurò Chan”
Sono storie nelle quali l’indagine si sviluppa a suon di pazienza e di saggi principi finto-confuciani, ammanniti in salsa americana, al punto da non apparire, come sono, piacevoli luoghi comuni; ma anche attraverso dialoghi e incontri che interpretano godibili tipologie umane ovviamente stereotipate.
Come nascerebbero gli stereotipi, dopotutto, se non contenessero una <verità>, per sua natura tale in quanto riconoscibile, essendo culturalmente certificata?

Sempre nel deserto, non mi chiedete quale, dalle parti della California, immagino, incontreremo il vecchio, fallito (ma anche no), cercatore d’oro.
“il dottore, a Redlands, mi ha detto…”ti servono gli occhiali” mi ha detto.
“Ho già visto tutto” gli ho detto io, e sono venuto via.”
O, ad Honolulu, una rigida bibliotecaria che, avvertita da Charlie della manomissione di una raccolta di giornali cui sono state strappate alcune pagine (forse dall’assassino, per nascondere a Charlie un’informazione dei tempi andati) quando quest’ultimo cerca di allontanarsi per proseguire le sue indagini, risponde inviperita.
“In questo momento sono molto impegnato con un caso di omicidio – spiegò Chan.
“Non mi importa del vostro omicidio (…). Questa è una cosa seria!”
Conosceremo figure di giornalisti, avviliti e insieme entusiasti; e ci troveremo a, forse, rimpiangere un mondo (fasullo ma dal dolce gusto un po’ rétro) tutto sommato semplice e vivibile.
“Voglio comprare un piccolo giornale in una qualche città di provincia e fare la fame per mandarlo avanti. Questa sarebbe una bella fine.”
E fa niente se il giornalista che parla appartiene a una storia o a un’altra. Fa niente anche se arrivano perle di saggezza che l’oriente non l’hanno certamente mai visto. Come ci potremmo riposare dai nostri giorni senza qualche utile pensiero prêt à porter?
“ Ah, Charlie, ci troviamo davanti a un muro.”
“Molte volte, in vita mia, mi sono trovato esattamente in stesso posto – rispose l’investigatore. – Che cosa accade? Vi batto contro vecchia testa finché fa male e allora mi assale splendida idea: giro intorno.”
Riposante.
Poi, il mese di agosto si chiude (o un qualunque altro segmento di tempo dedicato) e si esce dalla favola: ma c’è qualcosa di bello quando, anche dentro a un poliziesco, avviene di incontrare un po’ di fiaba: al gusto di plastica, d’accordo (e stavo per scrivere OK), ma perché no. Le intenzioni non erano malvagie.
Dopotutto, tra le riflessioni di Charlie, invitato a non perdersi in meditazioni orientali, c’è anche questa:
“Se mi fermassi a pensare davvero (…) sarei l’uomo più solo di questo nuovo mondo.”