“Non sta al porco dire che l’ovile è sporco”

Florent Couao-Zotti, “Non sta al porco dire che l’ovile è sporco”, 66THAND2ND 2012

Traduzione dal francese di Claudia Ortenzi

 

Questa storia è così vera

che l’ho inventata di sana pianta.

 

Un esergo che, senza bisogno di utilizzare citazioni altrui, dice molto di questo libro.  Mostra, dipinge, la verità di un mondo marginale, dove prosperano sottoculture delinquenti, e tuttavia in divenire; la verità di un mondo che può contare, per il proprio presente-futuro, su radici culturali profonde.

Raccontando, l’autore ci restituisce un mondo che egli osserva, in modo interno-esterno, con occhi disincantati e insieme comprensivi: capaci di prendere dentro tutto e inserirvi, per chi voglia accoglierlo, uno sguardo lungo.

Un prologo, breve, informerà il lettore, con efficace sintesi, sul luogo – la città, il quartiere-giungla – e il momento ove accadranno i fatti, ancora sconosciuti, di cui il libro si appresta a narrare.

“Esterno notte:

Da una parte i binari, due parallele di ferro che si univano per poi perdersi nel paesaggio umido di Cococodji, il quartiere-giungla di Godomey; dall’altra i tetti delle case e i cantieri – lamiere arrugginite, tegole, cemento – che salivano come ombre dentellate e irregolari, alternandosi alle scompigliate cime degli alberi.”

Godomey, banlieu di Cotonou, nella Repubblica del Benin, è una città nella città, segnata da realtà sociali diverse, da quartieri dove la miseria nutre e si nutre di malaffare e violenza che, nel corso del libro, nascondono la vita quotidiana dei suoi abitanti, nella sua ordinaria ricerca di tranquillità, di una vita migliore.

“Al centro, una ventina di uomini e donne armati di machete e coltelli, minacciosi e determinati, i volti che trasudavano odio. Non parlavano, non si muovevano, aspettavano solo un segno per (…) gettarsi sui tre individui attorno ai quali avevano formato un cerchio compatto.

Tre individui. Un uomo e due donne”

E’ una ricerca che può giungere all’esasperazione. E che ci dice qualcosa a proposito della situazione – che il libro anticipa in apertura, attraverso un flashback – in cui verranno a trovarsi i protagonisti di una vicenda di cui ancora nulla sappiamo se non, per l’appunto, che si troveranno a vivere un momento critico.

“L’uomo, a quanto pare, aveva due particolarità: era yovo[i] e monco. Gli occhi vitrei, il respiro rotto dalla corsa, i vestiti lacerati e insanguinati, sembrava riemerso da una tomba con tutto lo schifo del caso. (…)

Accanto a lui, le due donne. Due gioiellini da bordello. Due sbocconcellatrici di verghe. Due star (…)”

Siamo, come detto, in Benin, giovane Repubblica dell’Africa Occidentale che si affaccia sul Golfo omonimo, la cui capitale è Porto-Novo ma di cui Cotonou è la città principale, con i suoi oltre due milioni di abitanti, dove ha anche sede il Governo e dove si svolge la storia a tal punto vera da dover essere inventata. E che, peraltro, potrebbe essere collocata in una qualsiasi delle tante banlieue di una qualsiasi grande città del mondo; ma che si rivelerà impregnata della specificità di una terra, della sua storia e della cultura che la esprime; e che, infine, mostrerà una normalità, una speranza, stanca, esacerbata ma non vinta.

L’autore ci offre lo spaccato di un mondo, illuminando di volta in volta un protagonista, quasi utilizzando, come in una scena teatrale, un occhio di bue che centra, a turno, il punto di vista e le vicende di un personaggio,  di una vita da mostrare nel suo interno-esterno; e se non saranno personaggi propriamente da amare, il lettore non potrà esimersi dal provare una qualche empatia per il loro arrabattarsi, e anche qualcosa di più mentre, lentamente, senza grandi attese ma con qualche speranza, quasi un’ombra che percorre la trama di quelle vite, si respirerà una speranza fantasmatica, illusoria e balorda come la vita: l’attesa di risalita ad una vita migliore, ad una società pacificata. Pure se, per i protagonisti, tutto sembra crollare, di passo in passo; mentre:

“Finché non siamo morti, gli sovvenne di colpo, la vita è gratuita. E la gratuità non ha prezzo. Bisogna difenderla fino alla fine questa vita di merda. Difenderla”

In questa storia saremo invitati ad abitare un mondo dove la violenza è di casa, senza venir vissuta come dramma – dopotutto, cosa più violento della povertà estrema, di una povertà che coinvolge la speranza di un futuro, senza ucciderla ma facendola piccola piccola – mentre in ordito emergono le, anch’esse, forse, piccole ma importanti cose ordinarie: la musica dei giovani, la scansione dei proverbi locali, il perdurare del riferimento a una cultura radicata, a indicare una continuità culturale che vince sul rischio di anomia del degrado; che apre al futuro una società tesa a vivere: nonostante tutto.

Un noir. Ventiquattro brevi capitoli, ognuno dei quali avente come titolo un proverbio locale che ne propone una chiave di lettura.

Il titolo del libro corrisponde al cap. 5, nel quale entra in scena la polizia, c’è la scoperta del dovuto cadavere e si entra al centro della storia: dalla parte dei balordi, trafficanti, di droga e di ragazze. Dalla parte della polizia? Parrebbe, forse, si vedrà.

È tuttavia, a me pare, improprio classificare questo romanzo come noir. O solo come noir. Ed è sempre più frequente veder così caratterizzate storie che, come questa, lo sono molto poco, o sono anche molto altro, pur essendovi l’accadimento di una morte violenta (di cui in questo caso si sa già tutto), la presenza delle forze di polizia e, addirittura, di un investigatore privato (strana figura, nel contesto, che mostra qualche difficoltà a chiarire, a se stesso oltre che ad altri, la propria professione e la propria collocazione tra le parti).

E il noir, sempre sul punto di definirsi, si sfalda, senza aver mai davvero preso consistenza come tale, proprio sugli elementi – pennellate, sprazzi di colore – che mostrano in primo piano, da protagonista, un mondo: che possiede storia, identità, e una sua coesione.

Ci sarà la musica – “Premier gaou” (“Un grande sciocco”, che narra di un ragazzo lasciato dalla sua go, la sua ragazza, ma che per sua fortuna sa cantare, e lo si sente alla radio, alla tele, ed ecco, il premier gaou non è forse tanto gaou, se non capisco male), una canzone, del gruppo musicale ivoriano Magic System, primi anni 2000 o giù di lì, e un ritmo sul quale i giovani si riconoscono; e la discoteca, come luogo di una identità, è lì, a metà tra vita quotidiana e malaffare, un po’ questo un po’ quello. E mentre tutto avviene, la vita continua. Esiste.

I proverbi: sintesi, per ogni capitolo; morale benevola; insegnamento. Parte essenziale della narrazione e non solo: come sentire una vecchia voce – e il commissario di polizia chiamerà “papà”, ringraziandolo per un suo intervento, l’anziano capo-quartiere che, vestito unicamente dal suo <pagne>, il pareo tradizionale, e circondato dagli abitanti del quartiere, risulta maestoso.

Perché è così che funziona, in un mondo che possa avere un futuro: occorre una società giovane, occorrono un piccolo gruppo rispettato di anziani, occorrono le pietre miliari dei proverbi, a sintesi di istruzioni per l‘uso della vita. E fa lo stesso se, tra i tanti, molti si contraddicono.

“Un saggio parla secondo l’occasione e il momento”, dirà il vecchio Capo-quartiere.

Di capitolo in capitolo, il lettore potrà riflettere, magari meglio a libro finito, su questo o quel proverbio.  È strano, ma anche no, come ognuno di essi si riveli declinabile universalmente. Come qualcosa su cui potremmo convenire tutti, a qualsiasi cultura si appartenga.

Di suo, la narrazione, in qualche modo, sembra non prender parte, e fa parteggiare il lettore, tanto o poco, per ogni personaggio, sia il buono sia il cattivo sia quello così così, ognuno veduto a partire dalle proprie ragioni – e sappiamo tutti che nessuno al mondo ha torto, dal proprio punto di vista. Mentre possiamo forse convenire sul fatto che, dopotutto, non sta al porco dire che l’ovile è sporco, così come che solo chi ha bisogno di sedersi sa a cosa servono le chiappe.

Allo stesso modo,  concorderemo sul fatto che la pecora bruca dove viene messa a brucare, con tutte le conseguenze del caso; e sul fatto che non è mai il caso di giudicare perché se mentre ti facevi il bagno sei sfuggito al coccodrillo, dovrai stare attento al leopardo che ti aspetta sulla riva.

Non dimenticando, inoltre, mai che chi si abbassa per guardare il culo del vicino non sa di mettere il suo in bella vista.

Non si potrebbe dire meglio. E si tratta di una lettura che lascia il lettore soddisfatto, e anche sorridente.

Florent Couao Zotti 2011, Wikipedia

Florent Couao-Zotti, nato nel 1964, è un autore che ha al suo attivo una grande produzione, come drammaturgo, scenografo, autore di fumetti, tuttavia non conosciuto in Italia. Questo mi risulta il suo primo libro tradotto n italiano, e neppure molto di recente. È sperabile che, a seguito di quest’opera, che la casa editrice 66THAND2ND 2012 ha pubblicato “con il sostegno dei Programmi di aiuto alla pubblicazione dell’Institut français”, facciano seguito altre traduzioni.

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[i] Yovo: persona di razza bianca nelle lingue fon, guen, goun e adja. Il libro contiene un certo numero di parole in lingua locale, e, in chiusura, il necessario glossario.