Igiaba Scego, “La linea del colore”, Bompiani 2020
Ho incontrato sul mio percorso un libro molto bello, e importante. Un romanzo, tuttavia ben radicato nella Storia, che apre una porta speciale alla conoscenza di noi stessi in quanto italiani, alla conoscenza degli avvenimenti e della cultura da cui proveniamo: con una esigenza di assumerne il male e il bene, come necessario, per appropriarci nel profondo di una identità e di una appartenenza.
Il libro: Difficile farne una sinossi, e per certi versi improprio (o quantomeno è così per me), pur se, dal punto di vista narrativo è una storia che non si fa lasciare; che cattura il lettore e lo trasporta, dentro un tempo da cui proveniamo, fino a raggiungere una nuova percezione del tempo in cui viviamo.
Come una linea su una tela, tracciata da un pennello dai molti colori, seguiremo la vita di Lafanu Brown attraverso il tempo e lo spazio, incrociando coprotagonisti e comparse, di un tempo da cui proveniamo e non così lontano. Sarà una linea segnata dal colore: della pelle, della discriminazione, delle emozioni, dei pensieri, che danno corpo e voce alla vita.
Lafanu Brown, pittrice, americana nata nella seconda metà dell’800, è figlia di padre nero e di madre nativa ojibwa[i], e vivrà la sua vita adulta a Roma, negli anni che vedranno avviarsi la politica coloniale italiana.
Lafanu ripenserà-racconterà la propria vita a Ulisse Barbieri (patriota, poeta, figura storica), conosciuto il giorno in cui una folla inferocita la aggredirà, in quanto nera, essendo giunta a Roma la notizia del massacro, a Dogali, di un contingente italiano sopraffatto dalle truppe etiopi in Eritrea (26 gennaio del 1887).
“Erano giovani i nostri soldati” gridò una voce femminile. “Erano italiani. E la tua gente negra li ha uccisi. Perché, negra, ci hai uccisi? Perché far male ai nostri ragazzi? Ora noi ragazze chi sposeremo? Le loro ossa stanno marcendo in Africa orientale, stanno marcendo a Dogali”
“Perché ci hai uccisi, negra.”
Ulisse Barbieri la sottrarrà alla folla e, riparandola in una carrozza, griderà:
“Ma non capite, branco di cretini, che i veri patrioti sono gli abissini?”
Lei sentirà di dovergli, e dovere a se stessa, lo scrivere la propria storia, regalandola così a noi. Una storia iniziata nella discriminazione e nella violenza subite in patria, fino a consentirle di giungere, lei e la sua arte, ad una propria casa a Roma, divenuta la sua città; che vedeva cambiare.
La voce di Lafanu si intreccerà, ricongiungendo il tempo passato al presente, con la storia di due coprotagoniste, in un rincorrersi di piani e di prospettive che costruiranno la profondità del quadro.
Incontreremo, oggi, Leila e la sua storia di donna che ripercorre la sua vita di ragazza italo-somala. Sarà un altro pezzo di storia del colonialismo italiano; e un altro pezzo di un’italianità caratterizzata, storicamente, nei secoli per non dire nei millenni, dal meticciato; iscritto da sempre nella nostra cultura, nelle arti, nella varietà dei mondi che compongono l’Italia; nelle tante rappresentazione di noi che sembriamo scordare.
Leila ricorda la sua difficoltà, da ragazza, ospite a casa di una compagna di scuola, per la Festa dell’uva di Marino, a dire alla bionda madre della sua amica che no, alla sagra lei, musulmana, non avrebbe mangiato un panino con la porchetta; che preferiva pane e formaggio; che era un’italiana “diversa da lei”.
“Era così difficile spiegarsi ogni volta. Spiegare la pelle, i capelli, le natiche grosse. Ero sempre impicciata con la mia melanina. Sempre a rispondere a commenti scemi come “Ah, ma lo sai bene l’italiano”.
“Ma se c’ero nata in quella lingua, accidenti! Certo che l’italiano lo sapevo bene. Spesso lo sapevo meglio di chi si riteneva più italiano di me. Ma la gente non si capacitava che c’eravamo pure noi neri italiani in giro. Nel 1992 eravamo invisibili, degli spettri. (…) L’Italia non si era accorta che noi eravamo avanti e che già mischiavamo i mondi. I nostri e i loro. Che l’Italia, quella nazione nata solo il secolo prima, ribolliva già nel nostro sangue creolo. Un’Italia che correva nuda e pazza tra Mediterraneo e oceano Indiano.”
Dimenticava, dimentica, L’Italia, di esser stata da sempre un popolo creolo, crogiolo di culture, e che questa è stata, nei secoli, la sua grande forza.
Diverrà una curatrice d’arte, Leila, e si impegnerà nel recuperare la figura e la storia della pittrice Lafanu Brown per una mostra, da portare alla Biennale di Venezia.
Con lei, entrerà nella storia una terza coprotagonista – altro elemento prospettico che ci condurrà ancor più dentro la contemporaneità in cui oggi tutti noi viviamo.
Binti, la giovane cugina di Leila, è in fuga dalla Somalia; sta affrontando il viaggio attraverso il deserto, via Sudan, fino in Libia e a un barcone.
Chi legge la storia di vita di Lafanu Brown ha la percezione, chiarissima, di star leggendo una storia, vera; che incrocia altre storie (Leila, Binti), che potremmo chiamare veritiere, in quanto portatrici di veridicità e che aiutano a collocare dentro una verità storicamente data il personaggio di invenzione di Lafanu.
Scrivendo questo libro (ma dovrò leggere i due precedenti, essendo questo il terzo libro a tema di Igiaba Scego) l’autrice ha compiuto un’operazione di formidabile potenza, completandola per mezzo di un capitolo finale dal titolo “Making of” – “Realizzazione”? – in cui darà conto della veridicità della sua narrazione con il riferirla, facendone sintesi, alla storia di vita di due donne afroamericane, che hanno ispirato il suo personaggio:
Edmonia Lewis (New York, 1844 – Londra, 1907), scultrice, che trascorse parte della sua vita a Roma e le cui opere sono riconosciute nella storia dell’arte U.S.A.;
Sarah Parker Remond (Salem, 1826 – Roma, 1894), medico ostetrica e militante per i diritti civili.
La storia di vita del personaggio Lafanu Brown ricalca, nei fatti salienti, la vita di Edmonia Lewis mentre Sarah Parker Remond è stata una militante, internazionalmente nota, della “Società Americana Contro lo Schiavismo”.
Dall’Inghilterra, dove si era recata per conferenze sul tema dell’abolizionismo, e dove conobbe Giuseppe Mazzini, si trasferì in Italia, dove si laureò in ostetricia, vivendo e lavorando infine a Roma. È sepolta nel Cimitero protestante di Roma.
A chiusura del libro, un apparato fotografico di opere scultoree, che riprende elementi da cui il libro ha raccolto forza di narrazione.
Titolo “NOI NELLA PIETRA”, fotografie di Rino Bianchi.
La storia – le storie – saranno punteggiate da, vorrei dire, altri protagonisti: monumenti, per l’appunto, luoghi, richiami storici, momenti di scrittura particolari.
Non mi resta che lanciare qualche seme
Roma: mai, uscendo da Stazione Termini, mi ero chiesta a cosa dovesse il suo nome Piazzale dei Cinquecento. Ora lo so. E ne sento tutto il disagio.
La fontana dei Quattro Mori di Marino: “realizzata nel 1632 su progetto di Sergio Ventura per commemorare la vittoria della flotta pontificia guidata dall’Ammiraglio Marcantonio Colonna nella battaglia di Lepanto (1571) …sia Leila sia Lafanu si soffermano a osservare con angoscia gli schiavi incatenati ai piedi della colona di marmo bianco (pag. 60 e 307).”
“Sia Leila sia Lafanu sentono di essere le donne della fontana: è una sorta di dolore nella sorellanza”.
Il monumento dei Quattro Mori di Livorno, che Lafanu incontrerà (pag. 235). Incontrato da poco, a Livorno, il disagio si tocca davvero con mano.
Il tema del passaporto: la riflessione sull’esistenza di “passaporti forti” che permettono ciò che ad ogni persona dovrebbe, DEVE, essere riconosciuto: il diritto a muoversi è un diritto fondamentale della nostra specie; il diritto ad andare e tornare; il diritto a scegliere il luogo della propria casa; a esercitare la specificità che le altre specie animali non possiedono, di adattarsi e fare proprio ogni ambiente.
Un brano, per chiudere questa storia, questa linea del colore; e restituire un briciolo di una scrittura importante.
Ci sono stati violenza e stupro nella giovane vita di Lafanu Brown. Doveva essere una bella serata, da trascorrere a un concerto. Si era fatta bella, Lafanu. L’abito elegante.
“So solo che quella sera mi hanno strappato quasi tutti i colori di dosso. Sì, quasi tutti.”
“Il primo colore a volare via da lei fu il giallo. Il vestito giallo che si era confezionata con tanta cura (…) Del giallo, quel giallo che le faceva sentire il sole dentro il petto, non rimase che il simulacro. Poi se ne andò via il verde della speranza. Tutti quei piccoli sogni che coltivava per la sua vita evaporarono in quella furia di dolore e oblio (…) E uno dopo l’altro fuggirono da lei anche gli altri colori. Il blu orchidea, il viola melanzana e i petali di rosa brinati con cui si era cosparsa il capo per assomigliare a una ninfa. La lasciarono anche l’amaranto, il cardoville e il ciclamino, L’arancione la guardò un attimo prima di fuggire (…) L’arancione tra le lacrime non riuscì a sostenere lo sguardo spento della ragazza che solo un minuto prima era così vivo. Le voltarono le spalle pure il mandarino, la malvarosa e il fiordaliso. Per non parlare della vigliaccheria dell’oltremare…Ogni cosa le fu cancellata di dosso.
Le rimasero una vaga traccia di madreperla negli occhi spaventati e il nero della sua pelle d’ebano. Il nero non la voleva abbandonare. “Non ti lascerò mai”, le prometteva, resistendo ai fendenti che gli arrivavano da ogni parte con ferocia E Lafanu si aggrappò con tutte le sue forze a quella sua pelle di africana mezzo nativa, come se fosse l’unica scialuppa di salvataggio a disposizione nei paraggi.”
Non lascerò presto questa autrice, e spero di poterne ancora restituire qualcosa.
Per ora, sul mio tavolo, c’è, appena arrivato: “Future. Il domani narrato dalle voci di oggi”. A cura di Igiaba Scego”, pubblicato da effequ, 2019.
“Un’antologia di racconti di undici autrici afro-italiane. (…) Un’antologia che parte da dove viviamo, l’Italia, e guarda altrove (…). Che vuole marcare un passo verso il domani, narrandolo, inventandolo, osservando il presente e il passato.”
[i] tribù di nativi americani appartenente al gruppo linguistico algonchino, un tempo stanziata nell’odierno stato del Michigan…. chiamati impropriamente dai bianchi Chippewa.